L'istanza lucana, presto una vertenza?

L’ambaradam confuso e parcellizzato che richiama anche alle menti più pigre l’evidenza di forti interessi economici e strategici posatisi su tutta la nostra regione, richiede una doverosa riflessione collettiva
5 maggio 2008
Comitato NoOil Potenza

mappa basilicata Decisamente, le dichiarazioni allarmanti sul Parco della Val d’Agri, le insufflazioni cerebrali su come spendere il pretium doloris delle royalties, le remore del sistema contro quel po’ di chiarezza che la vicenda marinagri pure necessiterebbe, l’ingresso della regione Puglia in Acqua s.p.a., le privatizzazioni delle fonti, il forte condizionamento ad intervalli di fisarmonica del territorio a discariche, siti di stoccaggio, centrali eoliche selvagge e tutto l’ambaradam confuso e parcellizzato che richiama anche alle menti più pigre o restie l’evidenza di quei forti interessi economici e strategici posatisi all’insaputa di tanti sulla nostra regione, su tutta la nostra regione, richiede una doverosa riflessione collettiva che può sintetizzarsi in un solo punto fondamentale…ma chi deve decidere il futuro di questa regione?

Risulta evidente come, sommando le cartine geografiche di questo o quel settore economico, di questa o di quella emergenza ambientale o strutturale, sia l’intero territorio regionale ormai ad essere diventato oggetto di morbose attenzioni esterne che, dall’energia ad un certo modello di turismo, condizionano pesantemente ogni ipotesi di uno sviluppo armonico e stabilito in loco, che pur le leggi dello stato e le convenzioni internazionali recepite dall’ordinamento giuridico vorrebbero di competenza delle popolazioni interessate, non piuttosto dettate soltanto dall’agenda dei pasti di multinazionali e coacervi a volte poco chiari di interessi che si dispiegano sul territorio in forma di comparizie più o meno silenti, più o meno invasive delle decisionalità e delle opinioni, nel più perfetto stile di condizionamento che si addice ad una terra nei fatti colonizzata un silenzioso, ma molesto mal di pancia generale comincia a farsi sentire nella popolazione lucana, creando disagio e quella netta sensazione che qualcuno stia giocando sporco sulla nostra pelle…ci si comincia a render conto, da Lavello a Terranova, da Paterno ad Irsina di quanto alle parole ed alle promesse di sviluppo e benessere di questi anni non siano seguiti che miserevoli fatti e misfatti, incapaci di risolvere problemi ultradecennali di malgoverno spesso voluto e praticato con retropensieri devastanti, ma capaci però di aggravare con le loro conseguenze, se possibile, il quadro generale di una società ancora costretta ad emigrare per poter sopravvivere, ancora costretta a svendere la propria terra in cambio di promesse irrealizzabili, ancora costretta a chiedere come favori ciò che pur le spetterebbe come diritto

Questa regione ed i suoi abitanti non stanno affatto meglio di come stessero quaranta anni fa, se si conviene che del concetto di benessere quello economico (pur nella ristrettezza semantica e materiale che il termine assume da queste parti, visti gli indicatori di reddito) è solo una parte, mentre tutto il resto è fatto di somma di diritti da praticare ed assicurare alla generalità della popolazione, perchè si possa davvero parlare di benessere…tra questi diritti vi è anche il diritto alla speranza, non certo e non solo a quel sentimento fideistico puntellato sulla fede religiosa, non certo a quel dogma genericamente ottimista dei cultori di un progresso che da scientifista si è trasformato in mercantile, traslando il valore della scienza in quanto tale, nel valore aggiunto che da questa deriva o potrebbe derivare ad un certo modello di organizzazione economica, ma alla speranza intesa come ragionevole presupposto di un cambiamento che sappia mettere non il consumo acritico ed indotto ed il conseguente modello produttivo basato su di esso al centro dell’universo, ma l’uomo, la natura ed i rapporti naturali tra essi intercorrenti in un concetto di unità da ritrovare in fretta e necessariamente…quale sviluppo e quali speranze infatti avrebbero senso se non costruiti e praticati intorno all’uomo ed all’ambiente come soggetto di diritti intangibili e non monetizzabili, o in altre parole risarcibili, vista la tendenza giustificazionista di un sistema che si auto-assolve dai suoi atti di distruzione sistematica del pianeta e delle sue risorse con la facile scusa del progresso che hai i suoi costi?

La Basilicata vive ovviamente dinamiche comuni ormai a tutto il mondo, ma le vive con la coscienza indotta dalla retorica dell’isola felice, quella dove - si, va tutto male, ma almeno si vive tranquilli!!! - dimenticando che il suo problema economico e sociale comincia, come facilmente intuibile a chiunque, da un sistema politico che permea come un cancro ogni falda di nascente coscienza democratica sui territori, diffondendo le tossine della piramide degli interessi particolari, ed è proprio su questi interessi particolari, organizzati in vassallaggi e signorie esprimenti una classe dominante trasversale alla stessa politica, che il sistema delle multinazionali costruisce ed impianta la sua strategia di dominio, sottomettendo una intera terra ai propri appetiti di risorse, concedendo ulteriori fette di potere a chi già quel potere detiene sui territori o nella relazione tra di essi ed uno dei tanti centri da cui si governa la società, espropriando nei fatti la popolazione dalla disponibilità della propria terra e di un futuro da concretizzarsi in ciò che essa crede questa debba essere o possa diventare a partire dall’oggi…ecco cos’è la realtà colonizzazione…un affare lucroso per alcuni, un girone infernale per tutti gli altri

La parcellizzazione delle istanze in una miriade di interventi di sfruttamento e destinazione del territorio regionale, apparentemente sconnessi gli uni dagli altri, ha lo scopo di non permettere una visione globale di questa colonizzazione che si basa invece proprio sulla stretta connessione tra essi, in una lampante e tragica evidenza resa invisibile attraverso il contagocce di una informazione a volte connivente, a volte troppo pigra, in ogni caso inefficente…ciò che risulta evidente agli occhi di chi riesce a superare l’immediatezza della contestualità è che da marinagri al pozzo di monte grosso, dalla Val d’agri a Ferrandina, dal Vulture a Rotondella, tutto è strettamente legato insieme, in una logica di funzionalizzazione del nostro territorio a dinamiche economico-strategiche esterne alla società lucana e di cui la società lucana non deve prendere coscienza… perchè prendere coscienza collettivamente che ognuna delle istanze che si aprono nella nostra regione è collegata a filo doppio a tutte le altre, significa svelare le trame del processo coloniale e rendere possibile quella visione d’insieme che sola permette la comprensione del tutto, da cui potrebbe partire la lotta contro il destino per noi segnato di damigiana energetica e sacco della spazzatura a cui una certa visione della società organizzata ad uso e consumo di un modello di sviluppo cannibale e distruttivo, di cui paghiamo tutti e già da oggi le nefaste conseguenze, ci ha consegnati in guisa di vittime sacrificali al tempio del produci-consuma-crepa, allo stesso modo di qualsiasi altro paese del mondo che, dall’Iraq alla Somalia, paga per tutti il prezzo stabilito da pochi

La Basilicata ha invece bisogno di prendere coscienza del problema, organizzando tutte le sue istanze in un’unica istanza da trasformare in una vertenza generale, la vertenza lucana, la presa di coscienza definitiva che in questa regione sono i suoi abitanti, e solo i suoi abitanti, a stabilire come il loro futuro vada organizzato

Una vertenza generale da affermare e vincere e da cui ripartire per pensare ad un altro modello di futuro organizzato su un altro modello di sviluppo, quello di una terra consapevole che il vero benessere non si misura solo in indicatori economici freddi ed asettici, e che proprio al modello attuale danno torto, ma che a partire da un nuovo concetto di equilibrio sostenibile tra uomo e risorse naturali, su cui basare gli stessi desideri umani e la possibilità di soddisfarli senza comportare la distruzione della nostra terra e l’esistenza delle generazioni che verranno, possa ribadire che pensare al locale significa determinare il globale e che, costruendo giorno dopo giorno, vertenza dopo vertenza, un globale fatto dal locale, dalla miriade di locali che compongono la società umana, il bisogno e la necessità di costruire un altro mondo passi anche e soprattutto attraverso la sfida di costruire un altro uomo.

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