Nimby e lo spazio negato

L’acronino Not In My Back Yard (non nel mio cortile), identifica la sindrome “Nimby”, una malattia sociale di cui sarebbero affetti quanti si oppongono all’occupazione degli spazi di vita
28 aprile 2008
Pandosia

capro Marco Caldiroli (Inceneritore nuoce, rivista del Manifesto, n. 56, 2004) fa notare come oggi “chi si scaglia contro gli oppositori degli inceneritori usando la clava del Nimby, adotta un modello di pensiero che considera l'opposizione una forma di malattia. Questo modo di spregiare l'opposizione, qualifica chi lo usa e non chi lo subisce. Va considerato però – scrive Caldiroli - che «a motivare l'opposizione del pubblico agli inceneritori non è stata la preoccupazione per la santità del proprio cortile, ma piuttosto la qualità dell'ambiente che gli oppositori condividono con il resto della società...». Il termine non a caso venne coniato nel 1980 negli Stati Uniti per etichettare quanti si opponevano allo smaltimento di rifiuti pericolosi “nel cortile di casa”. Successivamente venne utilizzato in altri contesti, man mano che le attività industriali dalla città si spostarono verso la campagna. L’estrema degenerazione della sindrome Nimby, ha portato a coniare altri acronimi quali ad esempio BANANA, Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything (non costruire assolutamente nulla vicino a qualsiasi cosa) con il proliferare di una serie di altri acronimi di significati analoghi quali , CAVERNA (abitante delle caverne),GOOMBY (get out of my backyard), LULU (locally unwanted land use), NOTE (not over there, either) NOPE (not on planet earth), etc.Le motivazioni profonde dell’opposizione delle comunità all’occupazione dello spazio comunitario da parte dell’industria e dell’edilizia devono però essere ricondotte alla rottura della circolarità tra lo spazio interiore e spazio esterno. L’ambiente, il territorio, il paesaggio, i beni culturali – scrive Asor Rosa - rappresentano capron3forse la vera emergenza nazionale. E’ a rischio un patrimonio secolare, anzi millenario. Questo, oltre a fattori d’ordine antropologico e politico, riflette forse anche una mutazione nei caratteri strutturali dei capitali d’investimento in Italia: nell’aggressione all’ambiente si manifesterebbe anche una distorsione economica di grande peso, cui corrisponde la costruzione di un ormai consolidato blocco d’interessi, che ruota intorno all’edilizia e, più in generale, ai processi di distruzione dell’ambiente. Speculazione edilizia, problemi della salute e della vivibilità, salvaguardia dell’eredità culturale, s’intrecciano ormai in un nodo indistricabile, che va affrontato nel suo complesso ovunque, dall’alto e dal basso, dal centro e dalla periferia.I fautori odierni della cosiddetta ”soft economy” credono alla possibilità che il capitalismo possa rinunciare al possesso dello spazio, al consumo del territorio e delle sue risorse.

Credono che sia davvero praticabile un’auto-responsabilizzazione sociale dell’impresa, libera di “pensare locale ed agire globale”, auspicando la non interferenza tra stato ed impresa nelle possibili limitazioni all’uso illimitato dello spazio secondo un principio liberista.La radicalità del capitalismo attuale continua invece a sottrarre spazi pubblici e risorse territoriali crescenti alle comunità locali ed agli individui. Il fenomeno potrebbe paragonarsi all’enclave, secondo il significato tardo latino del termine “Inclavus-chiudere a chiave” ovvero la privatizzazione degli spazi collettivi e/o individuali per renderli disponibili all’esigenza espansionistica del profitto privato. Inceneritori, centrali elettriche, opere edilizie, al di la del loro obiettivo produttivo, vengono sempre più localizzati in contesti periferici, agricoli ed in ambiti protetti, alimentando la deregulation legislativa basata sull’uso illimitato del territorio con il principio della “pubblica utilità” che in molti casi è invece una vera e propria privatizzazione. Le concessioni demaniali sono un esempio di cessione di territori a privati da parte dello Stato e delle Regioni, dietro un pagamento di un canone o di royalties. Spesso ci si affida a negoziazioni territoriali basate su “compensazioni ambientali” che sono trasformate in “compensazioni monetarie” con l’obiettivo di convincere e piegare, nel modo più rapido e semplificato, le possibili resistenze dei locali. L’assenza o la deformazione dell’informazione può essere indicata come una delle cause di quello che, in modo improprio ma interessato, viene definita “sindrome Nimby”. Il Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 195, che recepisce in Italia la Direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale è infatti molto spesso ignorata o non applicata.Ma sono però i modelli culturali e il comportamento sociale che determinano le condizioni di subalternità con la conseguente espansione spaziale del profitto privato.Il controllo e la gestione del territorio –scrive Leo Stilo (L’evoluzione di un predatore,alle radici di una devolution criminale, AmbienteDiritto, 2006) chiodo fisso di ogni organizzazione criminale piccola e grande (ndr ma non solo delle organizzazioni criminali) oggi si possono ottenere efficacemente senza una reale presenza fisica: basta disporre delle conoscenze necessarie per utilizzare al meglio le nuove tecnologie informatiche e della comunicazione e di qualche insider, consapevole o inconsapevole, posto nei punti nevralgici del flusso di dati di cui la società dell’informazione necessita per esistere”.

Il gioco della falce, spazio mitologico e spazio vitale

Nell’area del Mediterraneo la mietitura ha rappresentato nei misteri eleusini, la morte, la rinascita e il ciclo delle stagioni: Persefone, rapita da Plutone, fu portata nell’ade (inferno). Demetra, sua madre, irata per il rapimento, finché non le fosse restituita la figlia, non consentiti ai semi del grano di germogliare. Lo spazio arcaico e la dimensione mitologica del “gioco della falce”, praticato nell’area del Pollino sino al secolo scorso durante la mietitura, possono oggi far riflettere circa l’importanza di ridefinire attraverso la cultura la nuova dimensione dello spazio sociale. Il predestinato mietitore, divenuto capro, si rifugia nell’ultimo covone che può essere reciso solo a seguito della sua uccisione che rappresenta anche la morte dello spirito del grano (J.G.Frazer,Il ramo d’oro dalla magia alla religione, 1907). La morte dello spirito del grano permette alla terra di rigenerarsi, producendo nuove messi. “I mietitori avanzano al suono della zampogna, mimando la mietitura:si muovono a ritmo, come se danzassero, oppure si arrestano improvvisamente…ben presto la pantomima si complica: i mietitori fanno le viste di combattersi tra loro, variamente raggruppandosi a due o a tre, ed eseguendo con la falce varie figure antagonistiche …con la punta della falce lo spogliano…”.

Ernesto De Martino, Furore simbolo valore, il Saggiatore, Milano, 1962) Le foto di Franco Pinna furono eseguite nel 1959, durante le campagne antropologiche condotte in Lucania, nell’area del Pollino. Filmografia: Lino del Fra, il cerimoniale dell’ultimo covone (1960)

PeaceLink C.P. 2009 - 74100 Taranto (Italy) - CCP 13403746 - Sito realizzato con PhPeace 2.7.15 - Informativa sulla Privacy - Informativa sui cookies - Diritto di replica - Posta elettronica certificata (PEC)