Conflitti

Missione incompiuta

Gli Usa si ritirano dal sud dell'Afghanistan. Sarà la Nato a combattere i talebani

5 gennaio 2006
Enrico Piovesana
Fonte: Peacereporter

I talebani cantano vittoria. E non a torto. Infatti, come molti temevano, con la scusa dell’elezione del parlamento afgano e quindi della formale conclusione del processo di ‘costruzione della democrazia’ in Afghanistan, le forze armate statunitensi (che nell’ultimo anno hanno subito il maggior numero di perdite dall’inizio della guerra quattro anni fa) hanno deciso di abbandonare il campo di battaglia proprio nel momento in cui la resistenza talebana sta guadagnando forza e terreno. E proprio sul fronte di combattimento più difficile: quello meridionale. Una decisione che ha destato preoccupazione e nervosismo nei governi alleati della Nato, perché adesso toccherà a loro mandare a combattere, e a morire, i propri soldati nel sud dell’Afghanistan.

2.500 soldati Usa lasciano il fronte meridionale...
Come annunciato dal Pentagono, entro marzo i primi 2.500 soldati Usa lasceranno le montagne e i deserti delle province di Kandahar, Helmand, Uruzgan e Zabul, vale a dire le roccaforti talebane dove nel 2005 si sono registrati i più violenti combattimenti e i più sanguinosi attacchi della guerriglia – costati la vita a cento soldati Usa (molti di più secondo i talebani), trenta soldati Isaf, 450 soldati afgani, oltre 300 civili e almeno un migliaio di guerriglieri. Rimarranno sul terreno 16.500 soldati americani, sparsi per tutto il resto del Paese e sul fronte meno ‘caldo’ della guerra ai talebani, quello orientale della provincia di Kunar. Ma la previsione è di smobilitarne altri entro la fine dell’anno e di sostituirli anch’essi con truppe di altri Paesi Nato.

…Sostituiti da 6.000 soldati di altri Paesi Nato.
A prendere il posto degli americani sul fronte sud saranno 6 mila nuovi soldati della Nato sotto comando della Gran Bretagna, che da sola invierà 3 mila uomini. Gli altri 3 mila saranno canadesi e olandesi. Queste nuove truppe arriveranno nelle prossime settimane, ma le prime avanguardie inglesi (la 16^ aerobrigata d’assalto e il 3° battaglione paracadutisti) sono già sul posto per preparare il dispiegamento. A Kabul, nel nord e nell’ovest dell’Afghanistan la Nato ha già 10 mila uomini, quelli del contingente Isaf, che però mantengono esclusivamente compiti di peacekeeping. Ma non sarà così per i nuovi soldati in arrivo nel sud, anche se a Londra, Ottawa e Amsterdam i politici evitano di affrontare l’imbarazzante argomento per evitare le prevedibili reazioni delle locali opinioni pubbliche, a cui è stato detto per quattro anni che la guerra in Afghanistan era finita.

Consapevolezza e preoccupazione negli ambienti militari.
Gli unici commenti sono arrivati dagli ambienti militari, che invece ben conoscono la situazione sul campo in Afghanistan, in particolare nel sud del Paese.
“E’ chiaro che questa non sarà una missione di pace: siamo coscienti che laggiù dovremo affrontare un’insurrezione armata”, ha dichiarato nei giorni scorsi il colonnello canadese S. J. Bowes, spiegando che le forze del suo Paese – che prenderanno il comando della provincia di Kandahar – sono ben consapevoli della natura offensiva di questa missione.
L’intelligence militare britannica, dal canto suo, ha messo le mani avanti facendo trapelare sulla stampa inglese un rapporto che prevede pesanti perdite per le forze armate di Sua Maestà – che prenderanno in carico invece la provincia di Helmand: gli esperti militari avvertono che la Gran Bretagna dovrà essere pronta a sostenere in questa missione militare un costo umano paragonabile a quello sostenuto nella guerra della Falkland del 1982, quando morirono 255 soldati.
I più preoccupati sembrano gli olandesi, che hanno addirittura messo in dubbio la propria partecipazione alla missione.
In giallo la zona di dispiegamento della Nato


La guerriglia talebana è sempre più aggressiva.
I soldati della Nato si troveranno a combattere contro una guerriglia talebana che non è mai stata così forte come lo è oggi. I miliziani del mullah Omar hanno nuove sofisticate armi (mitragliatrici, lanciagranate, missili, bombe radiocomandate, visori notturni, apparecchiature radio), ben più efficaci di quelle artigianali usate finora e prodotte nelle fabbriche di Dara Adam Khel, nelle Aree Tribali pachistane. E ben più care. Ma adesso i soldi per comprarle non mancano grazie al contrabbando di oppio, che l’anno scorso ha raggiunto un valore stimato di 2,7 miliardi di dollari, e che rappresenta la prima fonte di finanziamento della guerriglia. Oltre alle nuove armi, i talebani hanno anche nuove tattiche di guerriglia ‘importate’ dall’Iraq (in particolare il sempre più frequente ricorso ai kamikaze e agli ordigni telecomandati) grazie a ‘istruttori’ di al Qaeda appositamente mandati in Afghanistan da al Zarqawi. Almeno così dice la Cia, che parla anche di sostegno logistico e addestramento militare da parte dell’Iran, e non più solo del Pakistan.

Per i talebani, il ritiro – seppur parziale – delle truppe Usa costituisce non solo una simbolica vittoria (se non sono andati senza aver vinto, anzi) ma soprattutto una concreta occasione di avanzamento poiché si troveranno davanti una forza meno esperta, senza un comando unico, frenata dai ‘caveat’ sulle regole d’ingaggio (diversi per ogni comando nazionale) e soprattutto dalla paura di subire perdite e di dover quindi ammettere che la Nato ha iniziato una nuova guerra in Afghanistan.

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