Conflitti

Il lato oscuro della democrazia

Intervista con Michael Mann. L' autore del libro "Il lato oscuro della democrazia" parla della "peggiore manifestazione del male nella civiltà umana": il genocidio.
21 ottobre 2006
Khatching Mouradian
Tradotto da per PeaceLink

Michael Mann è docente di sociologia presso l' Università della California di Los Angeles (UCLA). Inglese di nascita, è stato lettore alla London School of Economics and Sociology dal 1977 al 1987 ed ha conseguito il dottorato in Sociologia presso l' Università di Oxford. E' l' autore di "Sources of social power" (Cambridge, 1986, 1993), di "Fascists" (Cambridge, 2004) e de "The dark side of democracy: explaining ethnic cleansing". (Il lato oscuro della democrazia: la pulizia etnica)(Cambridge, 2005)

Quest' ultimo libro è stato recensito ed accolto favorevolmente dalla critica che lo ha definito un' opera "profondamente innovativa" nel campo degli studi sui genocidi. Il tentativo è quello di dare una spiegazione alla peggiore manifestazione del male nella civiltà umana, attraverso lo studio di alcuni casi particolari, compreso il genocidio armeno, l' Olocausto ed il genocidio nel Rwanda.

Nella seguente intervista, via telefono da Beirut, discutiamo alcuni degli argomenti salienti de "Il lato oscuro della democrazia".

Khatchig Mouradian: Nella prefazione del suo libro "Il lato oscuro della democrazia", lei scrive: "Il male non arriva dall' esterno della nostra civiltà, da un mondo separato che siamo tentati definire 'primitivo'. Il male è generato dalla civiltà stessa". Potrebbe spiegarlo?

Michael Mann: Ogni civiltà crea nuovi problemi agli esseri umani. A volte l' uomo riesce ad affrontarli e superarli, mantenendo un sufficiente grado di umanità. A volte no. Esiste una corrente di pensiero secondo la quale la pulizia etnica ed il genocidio sarebbero commessi da 'alieni'. In realtà, chi si rende colpevole di queste atrocità lo fa nel tentativo di affrontare gli stessi problemi che la nostra civiltà (occidentale) si è trovata a dover affrontare in passato, riuscendo ad ottenere, in alcuni casi, gli stessi risultati disastrosi. Dovrebbe essere, quindi, più facile per noi capire i nazisti ed i Giovani Turchi, se ci rendiamo conto che i problemi che loro non sono riusciti ad affrontare e risolvere nel modo giusto, sono problemi con i quali l' intera umanità è costretta a doversi continuamente confrontare.

K.M.: Lei dice: "Ai nostri giorni l' epicentro della pulizia etnica si è spostato al sud del mondo. E, a meno che l' umanità non metta in atto nel frattempo una manovra diversiva, continuerà a diffondersi fino a che le democrazie, si spera non etnicamente pulite, governeranno il mondo". Ritiene che la situazione in Darfur, ed in Africa in generale, siano un esempio di questo spostamento?

M.M.: Il concetto di popolo che si auto-governa diventa potenzialmente problematico quando più di un gruppo etnico reclama lo stesso territorio condiviso. L' Africa è fortemente multietnica e questo è anche il suo problema. Le aree più a rischio sono, in genere, quelle in cui coesistono due grandi fazioni. In Sudan, per esempio, convivono due diverse sfere di influenza, quella degli arabi e quella degli africani. La lotta per il territorio li ha schierati gli uni contro gli altri. Nel Rwanda c' erano solo due gruppi etnici importanti, gli Hutu ed i Tutsi, e la rivalità etnica ha scatenato il genocidio.

K.M.: Lei ha intitolato il libro "Il lato oscuro della democrazia". I massacri compiuti in nome della pulizia etnica, però, raramente sono commessi da democrazie consolidate, come già lei, ed altri, avete precisato. Piuttosto, la "zona ad alto rischio" sembrerebbe essere quella della fase di transizione da un regime non democratico ad uno democratico. Può succedere che durante questa transizione, se i diversi gruppi etnici continuano a trascinarsi problemi irrisolti, si creino situazioni tali da rendere possibile il verificarsi di episodi di pulizia etnica. Lei pensa che l' Iraq stia oggi correndo il pericolo di questa "fase di transizione"?

M.M.: Ha ragione, il problema è per lo più nella fase di transizione. Una volta consolidato il sistema democratico, si assiste ad un declino della pulizia etnica. L' Iraq è un esempio perfetto di quanto ho sostenuto nel mio libro. Le elezioni, in un contesto bi o tri-etnico come quello dell' Iraq, garantiscono solo una cosa: che gli Sciiti voteranno per certi partiti, i Sunniti ed i Curdi per altri. Gli Stati Uniti hanno voluto a tutti i costi introdurle ed il risultato è stato disastroso. La polarizzazione degli schieramenti ne è stata ulteriormente accentuata e non è da escludere si possa arrivare alla pulizia etnica.

Genocidio e democrazia sono logicamente incompatibili. Quello su cui voglio attirare l' attenzione è il processo di democratizzazione, durante il quale le idee rischiano di venire distorte e falsate. Basta vedere più da vicino le storie di alcuni dei colpevoli. All' inizio del processo di trasformazione costituzionale, i Giovani Turchi erano alleati dei nazionalisti armeni del tempo. Poi, nel corso degli eventi, l' idea è stata, in un certo senso, corrotta. Non credo che le democrazie siano perfette, ma il problema vero è il processo di democratizzazione. In situazioni di multietnicità, dove esiste un ' aspirazione alla democrazia, dopo la caduta di un impero, si verificano quelle circostanze che possono portare alla pulizia etnica o al genocidio. La democrazia fornisce agli esecutori una specie di alibi-idealistico, che fa loro credere di farlo per un motivo valido.

K.M.: Molti studiosi dell' argomento affermano che il fattore che maggiormente contribuisce alla manifestazione di intenti genocidi, sia la guerra. Qual' è la sua opinione in proposito?

M.M.: La guerra porta allo scoperto le posizioni più radicali. Questi casi estremi nascono di solito da situazioni di turbolenza geopolitica ed anche dalla guerra. Non credo che ci sarebbe mai stato un genocidio degli Armeni se non ci fosse stata la 1° Guerra Mondiale. Ovviamente, questo non significa che contro gli Armeni non fossero mai state commesse atrocità prima della Grande Guerra. La pressione esercitata dalla guerra determinò semplicemente il contesto, come è anche successo in Rwanda ed in Sudan. Non penso che la pulizia etnica sia un episodio frequente, ma è, di sicuro, persistente.

K.M.: Lei scrive: "Il mio non è un tentativo moralistico di sfumare i concetti di bene e male. Nel mondo reale, sono interconnessi." Come spiega questa connessione?

M.M.: Il senso portante di quella frase è: primo, suscitare un' ombra di dubbio sul concetto di responsabilità collettiva, cioè, su quel concetto per cui tutti i Turchi sono da ritenersi responsabili del Genocidio Armeno o che tutti i Tedeschi siano responsabili dell' Olocausto.
Secondo, cercare di mettere in dubbio L' idea di 'intenzionalità' assoluta. Secondo me, gli esecutori dei crimini sono arrivati progressivamente ai loro piani di repressione o eliminazione del nemico "etnico", come conseguenza del fallimento di piani precedenti. Non è che fin dall' inizio avessero l' intenzione di ammazzare tutti.

Scrivo anche che qualsiasi gruppo etnico è capace di commettere atrocità. Gli Ebrei sono stati vittime dell' Olocausto, ma il modo in cui Israele tratta i Palestinesi ricorda molto da vicino i Nazisti. Non accuso Israele di commettere genocidio, naturalmente. Ma mi chiedo: "Se io fossi stato un docente di sociologia nella Germania del 1920 o agli inizi del 1930, sarei forse potuto essere nazista?

K.M.: E' qui che entra in campo la questione degli osservatori neutrali. Non è mai facile dire quale lato della natura umana prevalga quando si assiste ad un genocidio e come i Turchi durante l' Impero Ottomano, per esempio, reagirono all' ordine di deportare ed uccidere gli Armeni.

M.M.: Giusto. Questa è sempre la parte più difficile da spiegare, perchè le prove di cui disponiamo non sono proprio rincuoranti. Cito una vasta gamma di motivazioni che i colpevoli di genocidi potrebbero aver avuto. Alcune piuttosto banali: avidità ed obbedienza all' autorità sono motivi scontati. In queste situazioni anche il cameratismo diventa un fattore importante. Poi, ci sono i pregiudizi che, in presenza di conflitti, si rafforzano ulteriormente. C'è da dire poi che, nel corso di un genocidio, il numero di persone del gruppo dominante, quello che opera le uccisioni, non si avvicina neanche lontanamente ad essere la maggioranza. Così, la colpa della maggior parte dei Turchi, è stata quella di essere degli osservatori neutrali, dei passanti che stavano a guardare mentre gli Armeni, davanti ai loro occhi, marciavano diretti verso la morte.

K.M.; Lei è un po' riluttante ad usare il termine "genocidio" quando parla di pulizia etnica. Come nel caso della Cambogia. Cosa intende, lei, per "genocidio"?

M.M.: La definizione che do io del termine "genocidio" è molto ristretta e ben definita e non la applicherei nella maggior parte dei casi che si riferiscono a paesi comunisti. Sono stato accusato di minimizzare le atrocità comuniste solo perchè non ho usato il termine "genocidio". Ma io non ho nessuna intenzione di minimizzare il numero delle persone che sono state uccise. Voglio solo dire che le uccisioni non erano etnicamente mirate. Penso che il termine "genocidio" sia stato usato troppo superficialmente negli ultimi anni. Non credo che in Jugoslavia ci sia stato un genocidio. Per me, genocidio è il tentativo di eliminare fisicamente un intero gruppo etnico. La definizione data dall' ONU si riferisce ad una distruzione anche "parziale" di un gruppo etnico. Credo si debba usare un altro termine se si vuole indicare la volontà di espellere un gruppo da un certo territorio. Non è altrettanto grave e abominevole come il cercare di cancellare un intero gruppo etnico dalla faccia della terra.

K.M.: Quelli che negano l' Olocausto, quando parlano degli Armeni, degli Ebrei o altri casi, sostengono che furono proprio le vittime a provocare i massacri. Gli studiosi, però, hanno sottolineato come, nella maggior parte dei casi di genocidio, la "provocazione" fosse in realtà insignificante e che si arrivasse poi ad un punto in cui il genocidio veniva visto come inevitabile, pur in mancanza di qualsiasi provocazione.
Cosa ne pensa di questa cosìddetta "tesi della provocazione"?

M.M.: Penso che questo ultimo riferimento sia particolarmente calzante per quanto riguarda l' Olocausto: gli Ebrei non avevano fatto proprio niente per provocare i Tedeschi. Sono assolutamente d' accordo con quella tesi, ma il concetto di provocazione deve essere anche considerato nel contesto generale della situazione. Non è solo una questione di quanto e come gli Armeni avesssero provocato i Turchi, si deve anche considerare la posizione della Russia, la guerra, le attività di alcuni gruppi nazionalisti armeni. Dicendo questo, non intendo assolutamente giustificare o approvare il punto di vista degli assassini. Sto solo cercando di comprenderlo. Gli Armeni non hanno provocato direttamente i Turchi e, se anche alcuni Armeni fossero stati coinvolti in qualche sorta di "provocazione", l' attacco (turco) non fu diretto ai provocatori, ma all' intero gruppo etnico.

K.M.: In una nota a piè di pagina del suo libro, in uno dei capitoli dove parlava del Genocidio Armeno, lei scrive: "Non disponiamo di testimonianze dirette e oneste da parte dei Turchi. Sappiamo più delle vittime, il che porta a farci propendere per la versione armena degli eventi. Fino a che i governi turchi continueranno a negare il genocidio, fino a che i loro archivi rimarranno in gran parte chiusi e fino a quando la maggior parte delle versioni raccontate da Turchi rimangono implausibili, continueremo a propendere per l' altra parte. L' unico a venire danneggiato da questo comportamento è lo stesso popolo turco ". Potrebbe sviluppare questo argomento?

M.M.: Siamo a conoscenza di ben poche circostanze attenuanti. Il quadro della situazione è decisamente deprimente. Nel caso dell' Olocausto sappiamo che ci sono stati Nazisti che si sono opposti. Nel caso del Genocidio Armeno, abbiamo solo alcune note del tempo che parlano di differenze di posizioni interne ai Giovani Turchi. L' apertura degli archivi e la fine della campagna negazionista in Turchia ci darebbe la possibilità di saperne di più sulle diverse prese di posizione del popolo turco durante il Genocidio. Molti, naturalmente, hanno aiutato gli Armeni. L' esecuzione del genocidio è stata decentralizzata e sicuramente le reazioni e gli atteggiamenti sono stati diversi nelle diverse parti del paese. E, a parte tutto, è pericoloso considerare i Turchi, in generale, ugualmente responsabili per il Genocidio Armeno. Comunque, fino a che gli archivi non saranno aperti e non vi sarà un' ammissione onesta della verità storica, molti non avranno la possibilità di andare oltre gli stereotipi di quel tipo.

K.M.: In questi ultimi anni, si è visto un numero crescente di studiosi turchi venire allo scoperto, nel tentativo di mettere in discussione la politica negazionista del loro paese.

M.M.: Questa è una delle cose più ragionevoli e positive degli ultimi anni. Questi studiosi stanno lottando con grande forza e convinzione. Ma la strada da fare è ancora lunga.

K.M.: Lei conclude i capitoli sul Genocidio Armeno con le seguenti, potentissime, parole, che descrivono il legame "organico" tra passato e presente: "(I Giovani Turchi) hanno sbagliato, non solo dal punto di vista morale, ma anche all' atto pratico. Gli Armeni non costituivano una grande minaccia e la loro eliminazione ha finito per indebolire l' impresa bellica ottomana. Il Genocidio ha contribuito alla sconfitta. I capi fuggirono all' estero, dove caddero sotto i colpi di assassini armeni. Qualcuno potrebbe dire che il genocidio sia stato un successo a lungo termine, considerato che la scomparsa degli Armeni ha reso più facile, nel dopo guerra, unire e centralizzare la Turchia. Eppure, il paese soffre ancora adesso a causa di quel retaggio, che si esprime nell' autoritarismo militare ed il nazionalismo organizzato, con i quali vengono, oggi, repressi i Curdi invece degli Armeni. I Giovani Turchi, con il loro nazionalismo sfrenato, hanno indebolito fatalmente il loro paese e i loro successori stanno seguendo faticosamente la loro stessa strada." Concludiamo questa intervista con un suo commento su queste parole.

M.M. Prima di tutto, mi faccia spiegare cosa voglio dire quanto affermo che "il genocidio ha contribuito alla sconfitta". Naturalmente il Genocidio non è stato la causa diretta della sconfitta. Ma se c'erano qualche migliaio di Armeni a combattere con i Russi, ce ne sarebbero stati centinaia di migliaia nell' esercito turco e non ci sono indicazioni riguardo ad un loro possibile cambiamento di fronte. Uccidere quegli Armeni ha indebolito la loro potenza bellica. Inoltre, le deportazioni ed i massacri hanno richiesto un notevole impiego di risorse. Quello che voglio dire quando scrivo "i loro successori stanno seguendo faticosamente la loro stessa strada" è che il Genocidio ha rafforzato la natura autoritaria e la "chiusura" della Repubblica Turca, ha generato un senso comune di colpa o vergogna ed ha creato, e continua a creare, moltissimi problemi alla società turca. Se gli Armeni fossero sopravvissuti, si sarebbero potuti trovare metodi migliori di confronto con le minoranze etniche, in particolare con i Curdi. Credo che i Curdi abbiano sofferto enormemente a causa del Genocidio Armeno.

Khatching Mouradian è uno scrittore, traduttore e giornalista armeno-libanese. E' anche editore del quotidiano Aztag, pubblicato a Beirut.
Può essere contattato presso khatchigm@gmail.com

Note: Tradotto da Patrizia Messinese per www.peacelink.it
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