Conflitti

Diario da Kabul #6

Italiani una faccia, una razza

"Vedete quelle donne, una volta indossavano il burqa ora non portano
neppure bene il velo!".
Il nostro autista dicendo questo ci indica Simona e Stefania....
11 maggio 2003
Luca Lo Presti

Quando eravamo ragazzi andavamo in vacanza in Grecia, la gente
accogliendoci diceva: "italiani una faccia, una razza!". Bene qui e' di
fatto la stessa cosa, le nostre faccie si assomigliano al punto che
l'autista non pensa che Stefania e Simona possano essere italiane.

Solo alcune donne nel centro di Kabul escono semplicemente velate, nella
periferia e nei dintorni della citta' invece e' quasi la totalita' ad
indossare il burqa. Le donne temono ancora le punizioni degli uomini della
famiglia cosi' come della polizia.

La mentalita' integralista e' dura da sradicare.

Un giornalista poco prima della nostra partenza disse ad una trasmissione
radiofonica che le donne in Afghanistan grazie alla guerra hanno avuto la
possibilita' di "buttare il burqua alle ortiche"... grazie alla guerra!
Oggi per la strada abbiamo incontrato un padre con una figlia di circa 5
anni, dico circa perche' non abbiamo avuto la possibilita' di vederla, era
coperta da un piccolo burqa in miniatura!

In un contesto a tratti umanamente desolante a consolarci e' l'incontro con
le donne della associazione AWEC, che lavorera' con la Fondazione Pangea
sul progetto di microcredito insieme ad HAWCA e ad altre due associazioni
locali.

Visitiamo i centri dei loro progetti e con grande sorpresa scopriamo che
tengono un corso di cultura alla PACE!

Sicuramente il primo di tutto l'Afghanistan se non dell'intera Asia centrale.
Una cultura di pace!? Chiediamo stupiti e subito ci rispondono sorridendo,
certo cultura di pace!

Occorre spiegare a giovani e vecchi, uomini e donne che la pace va
conquistata giorno per giorno cominciando dalle piccole cose: gli afghani
sono purtroppo abituati alla violenza, alla brutalita' dei regimi che sono
passati da qui che non hanno mai preso in considerazione i nostri diritti e
ci hanno solo imposto brutalmente dei doveri, ora abbiamo la possibilita'
di riuscire a cambiare le cose, tocca a noi, non saranno le ingerenze
esterne ad aiutarci, ne' tutti questi militari a portare la pace.

Le ONG cambieranno "casa", sposteranno i loro interventi la' dove le
emergenze lo richiederanno e noi resteremo nuovamente da soli.
La spinta deve venire dall'interno, dobbiamo essere noi ad insegnare a chi
ci sta vicino una nuova vera cultura di pace.

Questo ci dice la presidente dell'associazione afghana mentre ci mostra
un manifesto dove in inglese, oltre che in dari la lingua locale, sono
illustrati i passi per poter raggiungere il loro obiettivo: tolleranza,
solidarieta', amore verso il prossimo, rispetto per l'ambiente, parita' tra
i sessi.

Ci sembrava di sognare, ma era tutto reale, il corso ci dicono ha avuto
anche un grande successo e verra' riproposto nuovamente in futuro.
Sembra una bella favola, ma invece e' la realta' di un Paese oggi
estremamente complesso, in cui convivono fianco a fianco situazioni
contrastanti.

Il nostro progetto di microcredito in questo contesto e con queste DONNE
prende forma, dopodomani faremo la nostra prima riunione operativa con le
associazioni che hanno aderito alla nostra iniziativa.

Progetto di microcredito, cultura di pace e sviluppo per queste donne che
daranno la possibilita' ad altre donne di realizzare il loro sogno
d'indipendenza. La loro prima reale possibilita' di sopravvivenza in un
mondo che ancora le discrimina terribilmente, insegnera' loro che hanno
anche dei DIRITTI !

Abbiamo parlato con una donna vedova che ha due figlie e un figlioletto, le
erano stati regalati anni fa dei polli, oggi ha un piccolo allevamento.

Le cose ultimamente non vanno tanto bene, il mercato si e' aperto alle
nazioni confinanti e le uova arrivano dal Pakistan e dall'Iran ad un costo
inferiore. Lei manda il figlio a venderle al mercato di Kabul, ma la strada
e' lunga e sconnessa, ci va in bicicletta ed impiega moltissimo tempo, in
auto noi abbiamo impiegato quasi un ora, molte uova arrivano rotte.

Le abbiamo chiesto cosa pensa di fare visto che gli affari non vanno tanto
bene e lei ci ha semplicemente guardato, sconsolata. Allora Stefania le ha
detto che potrebbe diversificare il prodotto.

"Cosa ne pensi di fare dei dolci con una parte delle tue uova e vendere
anche quelli?", le chiede.

Ci guarda sorpresa e ci confessa di non saperli fare, inoltre non possiede
"l'attrezzatura".

"Se fossimo noi ad insegnarti a fare i dolci e ti prestassimo il denaro
per aprire un piccolo forno in casa dove poter cuocere i tuoi dolci?
Potresti farlo insieme ad altre donne del tuo villaggio e con loro magari
aprire una piccola pasticceria?"

......la reazione e'...ENTUSIASTICA!.

Organizzeremo con l'associazione una riunione di donne in quel villaggio
nei prossimi giorni per pianificare l'intervento di microcredito. Ci
diranno di quanti soldi avranno bisogno per realizzare il loro progetto e
da quante donne sara' formato il gruppo.

La Fondazione Pangea e' il tramite per far si' che tutto cio' si avveri,
solo un tramite, noi saremo presenti per monitorare l'avviamento del
progetto e per aiutare le associazioni locali a decollare. Prenderemo in
carico le spese e i rischi per il primo periodo, porteremo persone
specializzate che insegneranno loro a tenere una seria e rigorosa
contabilita', ma alla fine ce ne torneremo a casa.

E questo significa che andremo laddove un nuovo bisogno ci chiamera'.
Cultura di pace e sviluppo concetti che, in Italia ed in quel mondo che noi
chiamiamo orgogliosamente "occidentale", non ancora tutti hanno veramente
capito.

Impressiona sentir pronunciare queste parole da donne afghane, in
Afghanistan. Tra la polvere ed i militari anche questo ci e' capitato,
segno che la pace e' un concetto innato tra le persone di buon senso, e' la
speranza che gli interessi che portano alle guerre non sempre possono
vincere.

A presto Luca, Stefania e Simona.

Note: A partire dal 1 Maggio 2003 il sito www.peacelink.it pubblica le
lettere inviate da Luca Lo Presti, presidente della Fondazione Pangea
Onlus, che insieme a Simona Lanzoni e alla fotografa/ricercatrice Stefania
Scarpa sara' a
Kabul per seguire l'avvio del progetto Jamila, promosso da Pangea insieme
all'associazione locale HAWCA (Humanitarian Assistance for Women and
Children of Afghanistan)
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