Roma capitale dell'acqua pubblica
Loro fanno i modesti, e dicono che non si aspettano chissà quanta gente, domani (alle 14,30 da piazza della Repubblica a piazza Farnese) alla prima manifestazione per difendere l'acqua pubblica come bene comune. Ma gli animatori della Campagna nazionale sanno che il movimento sull'acqua pubblica è in realtà l'unico che negli utimi anni è riuscito a «sfondare»: è dell'altro ieri l'approvazione definitiva della moratoria, che assicura uno stop alle privatizzazioni per un anno. «E' in effetti l'unica vittoria che si è vista in questi mesi - commenta Marco Bersani - e il motivo a mio avviso è semplice: questo è un vero movimento che parte dal basso, che parla, meglio degli altri, alla crisi della rappresentanza della politica». A partire dal territorio e dalla difesa di un bene che è di tutti ed è percepito come «pubblico» - al di là delle ideologie - è accaduto che miglaia di persone - nei posti meno conosciuti e collegati alle «grandi realtà» - hanno iniziato a protestare contro la decisione dei sindaci di privatizzare gli acquedotti.
La capillarità del movimento è d'altronde dimostrata dalla capacità di raggiungere più di 400 mila firme, in pochi mesi e senza alcuna struttura organizzativa alle spalle, per la legge di iniziativa popolare che chiede di fermare le privitazzazioni e ripubblicizzare tutto il sistema.
Domani ci saranno tante persone tra quelle impegnate nelle varie vertenze. Se ne contano almeno 60 in tutto il paese. Alcune nascono ancora oggi senza avere alcuna connessione con la Campagna per l'acqua pubblica, con cui entrano in contato solo successivamente. E' successo due settimane fa a Rotonda, in provincia di Potenza, un piccolo Comune di 3 mila abitanti. Da due settimane il consiglio comunale è stato occupato - partecipa anche il sindaco - per protestare contro la gestione dell'Acquedotto lucano. Quando la Campagna li ha intercettati, raccontandogli della manifestazione, hanno deciso di partire per Roma con due pullman. Ce ne saranno molte di persone così, forse alla prima esperienza in una manifestazione nazionale, e difficili da identificare come di destra e di sinistra. Caratteristica che i movimenti dei «cortili d'Italia» hanno già insegnato da tempo. Per questo ai politici «che sono i ben venuti» è però stata chiesta «una partecipazione discreta». Ci saranno, anche, molti rappresentanti dei consigli comunali che spesso appoggiano le rivendicazioni dei cittadini: «Non lo fanno solo per convenienza - dice Bersani - ma anche perché sanno bene una cosa: quando i beni comuni come l'acqua o l'elettricità saranno ovunque in mano alle spa, a cosa serviranno più i Comuni?». Per questo lo slogan della Campagna è da sempre «si scrive acqua ma si legge democrazia».
D'altronde che questo processo sia già in corso da tempo lo dimostrano molte vicende, non ultima quella di Acea, la municipalizzata di Roma. Che è per il 51% a partecipazione pubblica «ma di fatto il Cda è nelle mani dei privati - spiega Sara Vegni - proprio per questo chiediamo alla politica da che parte sta, e di ricominciare a prendere la parola. Chiediamo, ad esempio, al consiglio comunale di Roma di pronunciarsi su quanto votato dai popoli dell'Honduras che nei loro quattro punti principali mettono l'uscita dal paese di tutte le multinazionali. E lì l'Acea gestisce l'acqua». I promotori della campagna sanno benissimo che spesso e volentieri i consiglieri comunali ignorano totalmente dove arrivi la «longa manus» delle loro municipalizzate, «ma proprio per questo è il caso che inizino a informarsi, poiché la battaglia per l'acqua pubblica è una questione globale», sottolinea Vegni.
Tutto sommato, non c'è niente di più rigenerante che partecipare a un corteo così, dove parecchie persone potranno raccontare quali sono i danni dell'ideologia della privatizzazione che contagia tanti, anche a sinistra. «Basta prendere il caso di AcquaLatina - racconta Vincenzo Miliucci - la decisione di privatizzare, presa d'imperio dai sindaci, ha portato a due atti della nuova società. Il primo è stato di raddoppiare le tariffe. Il secondo di triplicarle». Da due anni ormai il 50% dei cittadini di Aprilia si rifiuta di pagare le bollette. Il giusto prezzo per usufruire di un bene essenziale viene versato in un conto corrente intestato al Comune.
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