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Semplicemente Lucia

Dedicata a chi ha nel cuore una Lucia, a chi si è riconosciuto in un abbraccio autentico, in un ricordo malinconico, nella ferita inferta dalla disperazione dell'inconsolabile sguardo velato di chi non merita l'oblio
2 ottobre 2019
Lucilla Masini

Zucchero filato

Lucia era zoppa (pardon, gravemente claudicante).

Lucia era cieca (soffriva di una grave forma di ptosi palpebrale, di cataratta e miopia importante).

Lucia era sola al mondo (pardon, aveva un nipote che si faceva vivo solo per spillarle la magra pensione).

Lucia era alta forse un metro e quaranta, il corpo completamente disassato e disossato, le scarpe ortopediche, i capelli forgiati e soffici come zucchero filato, le mani magre e storte che rimandavano a tenaci fronde di ulivo, la bocca ritagliata sul viso dai dolori, il collo dritto, per vedere oltre le miserie.

Lucia aveva un cuore (quella donna era un angelo, una regina di affetto, una dama delicata, generosa e simpatica).

Me ne sono occupata per un anno quando collaboravo con l'ASL, finché il ricovero prima e la morte poi l'hanno condotta agonizzante verso il buio eterno, e - forse - il tanto anelato sollievo fisico e spirituale.

In un giorno di nuvole chiare ma pesanti andai a trovarla in ospizio, dondolando tronfia un sacchetto con i biscotti al cioccolato e i cornetti zuccherati, perché era uno scricciolo di trentotto chili, e doveva nutrirsi, e io volevo essere il suo ultimo nido.

Non mi riconobbe, (ma feci di tutto perché sorridesse, era una pagliacciata grottesca, mi guardavano compatendomi, là dentro) ma fui io a riconoscere la sua grazia che mi rincuorò, e le strinsi le mani piangendo. Stavo da schifo, erroneamente pensai che tanto non mi avrebbe vista soffrire, ma lo percepì con aria interrogativa, perché il mio abbraccio le era in qualche modo familiare, e me ne pento ancora: mai fare una cosa quando si è troppo acerbi per fingere sollievo o distacco.

Lucia conduceva una vita assimilabile a quella di una larva, non ha mai percepito i soldi dell'indennità all'accompagnamento, (per colpa di sanguisughe falsamente invalide che questa società non scova e forse tutela), ma nessuno le oscurava mai, da sempre, quel sorriso sottile: delicato e un po' amaro; ricordo quando alzava gli angoli della bocca, e - intenerita - addolciva lo sguardo seppur vuoto e malato, solo per me, e mi regalava la sua vita, raccolta dentro a un cenno.

Ciao Lucia, sappi che non sei mai stata sola. Mai. Sorridi ancora qui, fra le righe di un'impotente pagliaccia, nonostante la società, molto più malata dei tuoi occhi velati ma sinceri, abbia cercato di umiliati e annientarti fino all'ultimo giorno in cui hai provato a perdonarla.

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