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Guerra fredda nel Mediterraneo

Il sommergibile Usa "catturato" da un peschereccio pugliese è solo uno dei tanti che navigano nelle nostre acque
20 luglio 2001
Gianni Lannes
Fonte: Il Manifesto - 20 luglio 2001

Mare Adriatico, acque territoriali italiane: 22 giugno 2001, ore 14 e 3 minuti. Non era una balena, ma un sommergibile statunitense quello agganciato dal peschereccio "San Pietro" di Monopoli, a circa 11 miglia dalla costa brindisina. "Eravamo al largo per una normale battuta di pesca - racconta Francesco Ranieri, comandante dell'imbarcazione - quando le reti hanno subìto uno strattone. Ci hanno improvvisamente tirato indietro e la barca si è abbassata di poppa. Ma fortunatamente il verricello ha ceduto, se no saremmo stati trascinati sul fondo".

I sottufficiali di una motovedetta della Guardia costiera hanno liberato le eliche del sottomarino riemerso, il più piccolo dei battelli a propulsione nucleare. Varato nel 1969, l'"NR1" - lungo 45,72 metri e largo 4,18 - ha un dislocamento di 400 tonnellate. A bordo sono montate apparecchiature sofisticatissime per lo spionaggio elettronico e la ricerca di oggetti a grandi profondità. L'equipaggio è costituito da sette componenti. Non è la prima volta che in Adriatico si registrano presenze e incidenti apparentemente inspiegabili, con conseguenze anche mortali per gli ignari marittimi. Più in generale, i mari italiani sono frequentemente battuti dal naviglio subacqueo alleato. Anche perché nell'isola sarda di Santo Stefano (arcipelago de La Maddalena), la Marina nordamericana ha una base permanente dal 1972 - mai autorizzata dal Parlamento - per i suoi numerosi sommergibili atomici. E non solo battelli da ricognizione come l'"NR1", schierato attualmente al largo di Genova in occasione del G8, bensì unità d'attacco. La classe "Los Angeles" (54 esemplari lunghi più di 100 metri) e quella "Ohio" (18 sottomarini lunghi 170 metri), equipaggiate con missili da crociera a testata nucleare Tomahawk e Trident, rappresentano la punta di diamante della flotta statunitense.

"Anche senza che avvengano incidenti - attesta Greenpeace - la propulsione nucleare a bordo di unità navali comporta per le operazioni di lavaggio, scarichi di radioattività nell'ambiente". Gli fa eco PeaceLink: "I sottomarini nucleari che approdano nei nostri porti, dove sono segreti addirittura i piani di emergenza per la popolazione, rilasciano nel mare inquinanti radioattivi. Le sostanze ionizzanti vengono bioconcentrate dalla fauna marina ed entrano nel nostro ciclo alimentare". La partita nucleare non è affatto chiusa, come dimostra inequivocabilmente il grave incidente verificatosi il 12 maggio 2000, nelle acque della Sicilia, al sottomarino inglese "Tireless", che ha rilasciato in mare i liquidi di refrigeramento dell'impianto atomico. "Il difetto - riferiscono autorevoli fonti dello Stato maggiore britannico - non era occasionale, ma strutturale", e quindi riguarda tutti i reattori nucleari montati a bordo di due classi di sottomarini (Trafalgar e Swiftsure), in seguito richiamati in patria per riparazioni e nuovi collaudi.

Il Comitato contro il rischio nucleare (a cui aderiscono Associazione per la Pace, Associazione Sud, Chiesa Valdese, Cobas, Comitato contro l'elettrosmog, Cooperativa Robert Owen, Legambiente, Parrocchia Regina Pacis, Pax Chris ti, PeaceLink, Missionari Saveriani, Wwf) il 22 novembre scorso aveva indirizzato una serie di missive al presidente della Repubblica e del Consiglio, nonché al ministro della Difesa, dell'Ambiente e della Sanità, chiedendo loro di "negare l'accesso ai porti e alle acque territoriali italiane ai sottomarini della stessa classe del "Tireless". La richiesta, senza esito, è stata inviata anche a sindaci e prefetti dei 12 porti del Belpaese a rischio nucleare, invitandoli a rendere pubblici i piani di evacuazione dei cittadini.

E' tutt'altro che teorico il rischio di emergenza nucleare ad Augusta, Brindisi, Cagliari, Gaeta, La Spezia, La Maddalena (parco marino), Livorno, Napoli, Ravenna, Taranto, Trieste e Venezia, dove attraccano navi e sommergibili a propulsione ed armamento nucleare di nazionalità statunitense, inglese e francese. Lo hanno più volte denunciato i parlamentari di sinistra, reclamando la pubblicazione dei piani di protezione civile per la popolazione. Secondo il ministero della Difesa "non risultano incidenti significativi o situazioni particolari di emergenza". Ma dati di Greenpeace e dell'Università di Bologna, documentano fino all'anno 2000 "1276 incidenti navali, 50 atomiche sui fondali italiani e 14 incidenti atomici gravi nell'arco di 23 anni con più di 90 morti".

Per gli Usa la guerra fredda nelle profondità marine non è mai terminata, nonostante lo sgretolamento dell'Unione sovietica e la caduta del muro di Berlino. Attualmente le marine Nato tengono sott'osservazione i sottomarini lanciamissili balistici russi e cinesi e, quando possibile, un Ssn, un vettore d'attacco diventa l'ombra dell'ignara preda per settimane. E' accaduto l'anno scorso, quando un sottomarino gemello del Kursk (classe "Oscar II), ha circumnavigato mezza Europa per poi entrare nel Mediterraneo. L'Alleanza atlantica ha lanciato sulle sue tracce tutti i mezzi disponibili: aerei, navi, sommergibili, elicotteri. Anche la marina tricolore ha partecipato alla caccia.

E soltanto 5 mesi fa si è svolta in gran segreto, nelle acque dello Ionio, la più grande esercitazione Nato di lotta antisommergibile, a cui hanno preso parte centinaia di natanti di svariate nazionalità. "Un sottomarino ben manovrato può muoversi come un fantasma - confida un ufficiale italiano - operando senza destare allarme anche all'interno delle acque territoriali di un Paese d'interesse. Una volta giunto sotto costa con periscopi e antenne elettroniche può registrare comunicazioni, emissioni radar, scattare fotografie, di giorno come di notte".

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