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Quando in Puglia c'erano 50 megaton di bombe nucleari

3 marzo 1999
Giorgio Nebbia

Chi sale da Gravina, in provincia di Bari, verso il "Bosco", in località "Difesa grande", e si guarda intorno con un poco di pazienza, trova, in mezzo agli alberi, una casetta abbandonata e tre piattaforme rotonde di cemento armato, ormai coperte di sterpi. Nessuna indicazione che si è di fronte ad una delle pagine drammatiche della guerra fredda che ha portato in Puglia trenta missili Jupiter, con testate nucleari ciascuna cento volte più potente delle bombe atomiche esplose a Hiroshima. La storia era cominciata nel settembre 1958 quando gli americani, allora era presidente Eisenhower, insistettero presso il governo italiano perché accettasse l’installazione di alcuni missili a gettata intermedia, con testate nucleari, in grado di colpire i paesi satelliti dell’Unione sovietica come Albania, Romania, Bulgaria, e alcune partii occidentali della stessa URSS. Le trattative durarono a lungo (rigorosamente segrete) non certo per ottenere garanzie sulla sicurezza del popolo italiano, ma per cercare di spillare più quattrini dagli americani in cambio di questa nuova servitù militare.

La storia è stata raccontata con grandi dettagli, ricavati dai documenti segreti militari, resi accessibili grazie ad una speciale legge americana sulla "Libertà di accesso alle informazioni" (*), dal prof. Leopoldo Nuti, dell’Università Roma Tre, in vari articoli che sono stati anche utilizzati per un recente libro di Philip Nash sui "Missili di ottobre", pubblicato dall’Università della North Carolina.

Come località per l’installazione dei missili fu scelta la Puglia, per la sua posizione orientale, più vicina al "nemico"; il quartier generale fu installato a Gioia del Colle dove i primi missili arrivarono dal febbraio al settembre 1960; oltre che a Gioia, i trenta missili furono schierati in altre nove postazioni, quasi allineate da nord-ovest a sud-est: Spinazzola, Gravina, Acquaviva delle Fonti, Altamura (due postazioni), Irsina, Matera, Laterza, Mottola.

I missili usavano come carburante cherosene e come ossidante ossigeno liquido e ciascuno era dotato di una bomba a fusione, una bomba H, insomma, da 1,45 megaton, con una potenza distruttiva, come si è detto, cento volte superiore a quella delle bombe che rasero al suolo Hiroshima e Nagasaki.

Quando ho visto per la prima volta la piazzola abbandonata di Gravina mi sono chiesto chi ricordasse, in Puglia, questa importante pagina della storia militare della guerra fredda, un periodo in cui sulla testa degli abitanti della regione sono state sospese bombe H per una potenza distruttiva equivalente a quella di 50 milioni di tonnellate di tritolo. Una drammatica situazione, ben nota al governo italiano che sapeva che si trattava di "missili obsoleti, pericolosi e non molto efficaci".

Senza contare che le basi missilistiche americane in Puglia erano sotto il tiro diretto dei missili collocati nelle simili basi, collocate nell’Europa orientale, e che la popolazione della Puglia sarebbe stata immediatamente colpita dalle bombe atomiche sovietiche se anche un solo missile, anche per errore, fosse partito da Gioia del Colle o Gravina o Spinazzola.

Per la costruzione delle piazzole e dei depositi del carburante e delle bombe, devono pur essere stati impiegati muratori, operai, imprese di costruzioni, devono pur essere circolati, per mesi, camion carichi di cemento e degli stessi missili, devono pure essere andati avanti e indietro, soldati americani e italiani. Le piazzole di Gioia del Colle erano dentro la base militare, ma le altre erano in aperta campagna, in zone impervie; i missili erano in postazione verticale, pronti al lancio, visibili dalle strade vicine. Possibile che nessuno ricordasse niente ?

Ho interpellato tante persone, anche i comunisti, quando ancora c’erano, gli unici che a suo tempo avevano protestato contro i missili in Italia, ma senza successo. Dopo la pubblicazione di un articolo sulla "Gazzetta del Mezzogiorno", alcuni giornalisti pugliesi, Pasquale Doria, Emilio Oliva, Armando Fizzarotti, sono andati a cercare e hanno fotografato quel poco che resta delle basi nucleari pugliesi e hanno intervistato poche persone che ricordavano i missili e tante altre che non sapevano niente. Gli articoli sono stati pubblicati nello stesso quotidiano dal 7 al 12 febbraio 1999. Forse sarà pubblicato un libro su tali eventi.

Le ricerche del prof. Nuti spiegano bene che tutte le operazioni di installazione dei missili Jupiter in Puglia furono condotte sotto un rigoroso segreto.

I militari americani erano meno di quattrocento e in ogni piazzola l’eventuale lancio poteva avvenire soltanto con l’uso di due "chiavi" di sicurezza, nelle mani di due ufficiali, uno americano e uno italiano.

Nel gennaio del 1961 al presidente americano Eisenhower, che aveva insistito per l’installazione di bombe atomiche nei paesi europei, successe Kennedy, con una nuova politica di distensione nei confronti dei sovietici e del loro presidente Krusciov.

La storia di quei trenta missili nucleari in Puglia finisce con la crisi cubana; come i lettori ricordano, nell’ottobre 1962 gli americani scoprirono che una nave sovietica stava trasportando dei missili nucleari a Cuba e Kennedy minacciò la guerra contro l’URSS se le navi fossero arrivate nell’isola caraibica.

Si ebbero frenetici contatti fra Kennedy e Krusciov e intervenne anche il Papa Giovanni XXIII: alla fine i missili sovietici tornarono indietro e l’America si impegnò a ritirare i trenta missili Jupiter dalla Puglia e gli altri quindici installati in Turchia.

Veloci e segreti come erano arrivati, i missili delle basi pugliesi furono smantellati fra l’aprile e il giugno 1963, lasciando i ruderi delle piazzole di lancio; durante i movimenti pacifisti degli anni ottanta, quando Reagan voleva installare i missili americani a Comiso, il deputato, poi senatore, pugliese Lops (ora morto) ed io proponemmo che i ruderi della base di Gravina, quelli forse meglio conservati, fossero trasformati in un parco nazionale dalla pace, a dimostrazione che i missili possono anche essere installati, ma possono anche andarsene, se vi è una volontà politica. Nel caso dei missili pugliesi, a dire la verità, per quanto ne so, una volontà politica e una protesta popolare per liberarsi dei missili non c’è stata, anche perché, a quanto pare, ben pochi in Puglia si resero conto del pericolo a cui erano esposti.

La nostra proposta, naturalmente, non ebbe seguito. Una iniziativa del Comune di Gravina di acquisire lo spazio della base abbandonata fu bloccata dai militari e i ruderi sono ancora lì. Peccato, perché la conoscenza e il ricordo del passato possono evitare errori futuri. In un mondo in cui esistono ancora trentamila testate nucleari, 5000 delle quali pronte a partire, una domanda di pace e di disarmo nucleare proprio dalle città pugliesi, che le bombe nucleari hanno avuto nel proprio territorio e che sono state esposte, quarant’anni fa, ad un grave pericolo, avrebbe avuto (e avrebbe ancora oggi) un significato importante.

Note: (*) n.d.r.
Per gli interessati, gli originali dei documenti una volta segreti e ora declassificati sono disponibili sul sito
http://www.hfni.gsehd.gwu.edu/~nsarchiv/nsa/NC/nuchis.html

Cercate il "Report on Visit to Jupiter Sites in Italy" e li' troverete (in formato gif) le 5 pagine del rapporto segreto sulla visita alle postazioni degli jupiter in puglia nel settembre 1961

Incuriosisce una frase dell'ispettore statunitense:
"It clearly makes no sense to continue to classify the existence of the Jupiters and their locations, but the Italian Government seem to want it that way for political reasons"

Traduco: "Non ha evidentemente senso continuare a mantenere segreta l'esistenza degli Jupiter e il loro dislocamento, ma il governo italiano sembra volere questo per motivi politici"

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