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Una sentenza storica

Giudice romano condanna il ministero della Difesa: l'esposizione alle radiazioni è causa di servizio

Si riaccendono le speranze dei familiari dei militari morti dopo le missioni estere e alla quali era stato negato l'indennizzo. Un tribunale riconosce: ucciso dalle radiazioni.
27 giugno 2004
Fonte: La Nuova Sardegna - 24 giugno 2004

Una sentenza del tribunale di Roma potrebbe riaprire le speranze
di giustizia di molte famiglie di militari, anche sardi, morti per malattie
contratte, probabilmente nelle missioni estere o nei poligoni di esercitazione,
dopo l'esposizione a sostenze radioattive e cancerogene. Sino ad oggi le
richieste di indennizzo erano sempre state rigettate dalla magistratura,
mentre la sentenza del giudice romano, che ha riconosciuto la causa di servizio
per l?esposizione alle radiazioni, stabilendo anche un maxi indennizzo di
500mila euro ai famigliari che saranno pagati dal ministero della difesa.
farà da battistrada a nuove istanze, a nuovi processi. Un iter che sicuramente
riaprirà pagine tristi ma che garantirà che finalmente giustizia sarà stata
fatta.
La sentenza romana, che ha stabilito come causa della morte l'uranio impoverito,
ma non solo, chiude la lunga battaglia di Paola, la vedova di Stefano Melone,
riconoscendo che la morte dell'elicotterista di Canale di Orvieto, in provincia
di Terni, è avvenuta nel 2001 per cause di servizio e ha stabilito un risarcimento,
da parte del ministero della Difesa, di mezzo milione di euro. Ma non ha
vinto solo Paola Melone perché adesso possono vincere anche tutti i familiari
dei soldati italiani morti, tra cui anche svariati sardi, dopo aver partecipato
a missioni all'estero.
La causa contro il ministero era stata iniziata già da Stefano Melone nell'agosto
del 2000, dopo che era stato messo in congedo definitivo e permanente per
causa di servizio. L'uranio impoverito, ma non solo, la causa del tumore
che lo aveva colpito.
La notizia è stata data anche da Falco Accame, presidente dell'Associazione
nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei
caduti. «Il tribunale di Roma - scrive Accame in un comunicato - ha riconosciuto
la dipendenza da causa di servizio per esposizione a sostanze radioattive
e cancerogene, sostanze che includono, almeno è da presumersi, l'uranio
impoverito e per le quali non sono state adottate adegujate misure di protezione».
«Gli Stati Uniti - ricorda Accame - hanno emanato norme di protezione nei
riguardi dell'uranio impoverito dopo le esperienze della guerra del Golfo,
cioè durante le operazioni in Somalia della Restore Hope, operazioni alle
quali hanno partecipato anche reparti italiani. Purtroppo per il personale
italiano furono emanate norme di protezione solo 6 anni dopo, e in quelle
norme si mette in evidenza il rischio da tumori e di malformazioni alla
nascita».
«Noi abbiamo avuto - continua Falco Accame nel suo comunicato stampa -
personale esposto all'estero negli Emirati Arabi, nella Somalia, nella Bosnia,
nel Kosovo, in Albania e Macedonia. Anche nei poligoni di tiro interforze,
in cui operano forze straniere che impiegano come dotazione armi all?uranio,
abbiamo avuto casi di personale militare e civile contaminato e casi di
malformazioni alla nascita».
«Il fenomeno è apparso evidente specialmente in Sardegna - precisa Accame
- dove sono presenti grandi poligoni internazionali, aperti a ditte civili.
Tra i principali Salto di Quirra, Capo Frasca e Teulada».
Il comunicato si chiude ricordando che a Tempio, dopodomani, 26 giugno,
si svolgerà un convegno sull'uranio impoverito a cui parteciperanno anche
familiari di vittime e personale contaminato.
Forse la sentenza del tribunale di Roma produrrà anche la riapertura dell'indagine
sulle tante morti che hanno costellato il rientro in Italia dei militari
in missioni all'estero in zone dove possono essere rimasti contaminato da
sostanze radioattive e cancerogene.

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