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Uranio impoverito, finalmente s'indaga

Al via la commissione parlamentare, è subito scontro sugli obiettivi e sulla composizione. L'opposizione teme insabbiamenti: non sia una sede di studio
15 settembre 2004
M. BA. (Il Manifesto)

Verrà finalmente istituita oggi una commissione di inchiesta del senato sui danni da uranio impoverito, il micidiale metallo impiegato nei proiettili da guerra che ha causato linfomi, leucemie e tumori in oltre 300 militari italiani impegnati nei Balcani e in Somalia. Per la prima volta una commissione parlamentare avrà poteri di indagine simili a quelli dell'autorità giudiziaria, e potrà così fugare ogni dubbio sulla portata tossica dei proiettili radioattivi, accertando anche le condizioni di conservazione e l'utilizzo di questo metallo nelle esercitazioni militari sul territorio italiano. Ieri il presidente della commissione difesa, il forzista Contestabile, ha ricevuto i rappresentanti dell'Osservatorio militare, i familiari delle vittime e le loro associazioni, che fin dall'inizio hanno tentato di rompere il «muro di gomma» costruito attorno alla vicenda. Per ora sulla commissione spira un venticello «bipartisan», anche se per iniziare i lavori è necessario il via libera finale dell'aula del senato. Un atto da compiersi prima della sessione di bilancio.

La commissione dovrà concludere i lavori in tempi brevi (un anno), potrà acquisire atti e documenti di ogni tipo e convocare testimoni, autorità ed esperti.

Il timore di «insabbiamenti» è comunque forte. Luigi Malabarba del Prc chiede di procedere «senza ulteriori rinvii, magari sollecitati da gerarchie militari». Il nodo che resta da sciogliere infatti è la composizione della commissione. Il centrodestra - che dovrebbe comunque tenere per sé il presidente - mira a farne un puro organo medico-scientifico. Ma i familiari delle vittime e l'opposizione non ci stanno. A dare loro un forte sostegno infatti si sono espressi solo Ds, Prc, Pdci e Verdi. Oltre ad Azione giovani di An. Silenzio assoluto da tutti i partiti di centrodestra.

Secondo Falco Accame, presidente dell'Anavafaf, una delle associazioni presenti all'incontro, «la questione non è tanto medica, quanto politico-militare». Gli Usa, dopo la prima guerra del Golfo, hanno adottato norme di protezione già in Somalia, ottobre `93, mentre per gli italiani le norme sono comparse solo il 22 novembre `99. Perché tanto ritardo? Le regole sono state rispettate? Cosa accade in Iraq, Afghanistan o nei poligoni Nato? «Noi non abbiamo mai visto un militare con una maschera» rileva Accame. D'accordo anche il maresciallo Domenico Leggieri, portavoce dell'Osservatorio militare: «Per la prima volta potremo depositare tutta la documentazione raccolta, dai dati numerici alle perizie cliniche. Ma sono perplesso su una commissione costituita da tecnici».

Nel 2000 (governo Amato) la commissione ministeriale di esperti guidata da Franco Mandelli escluse un legame tra leucemie e tumori con l'uranio impoverito, anche se rilevò un'incidenza anomala del linfoma di Hodgkin tra i militari impiegati nei Balcani.

Uno dei padri della commissione, il Ds Lorenzo Forcieri, insiste sul tema dei risarcimenti, finora «bloccati perché non si sa se l'uranio basti da solo a scatenare le malattie o agisca insieme ad altre concause». Si avverte il rischio di un «già visto», bisogna affidare l'inchiesta a esperti giuridici con una responsabilità politica. Il deputato Ds Valerio Calzolaio sposta la questione più in là: «Le armi ad uranio impoverito sono o no un danno per l'umanità? A livello internazionale si discute se vietarle del tutto per i danni ambientali e biologici di lungo periodo. Questa commissione dovrà occuparsene».

Calzolaio ricorda come una recente indagine a campione su un terzo dei 3mila soldati italiani in Iraq è stata insoddisfacente: «Bisogna lavorare insieme alle agenzie internazionali, che ormai hanno raccolto dati consistenti». Anche per questo Articolo 21 organizzerà alla fine di ottobre ad Orvieto un convegno internazionale dedicato proprio all'uranio impoverito.

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