Il voto di un parlamento conformista

E’ deludente l’ultimo pronunciamento del Parlamento europeo sul processo di ratifica del Trattato costituzionale europeo. Ma nel 2007 la "provocazione" di Johannes Voggenhuber e di Andrew Duff potrebbe essere ripresa di fronte al perdurante stallo istituzionale
30 gennaio 2006
Giuseppe Bronzini
Fonte: Centro per la riforma dello stato - Rubrica Europa anno zero - 30 gennaio 2006

Nell’indifferenza generale, ignorato da tutti i principali media nazionali, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione sul "periodo di riflessione" sul futuro della Costituzione europea, deciso dopo la bocciatura referendaria in Francia e Olanda del 29 maggio e del 1 giugno dello scorso anno. La "freddezza" dei media italiani, che pur avevano dedicato ampio spazio alle votazioni negli stessi giorni del Parlamento europeo sul diritti dei migranti e sulla lotta alla discriminazione nei confronti dei gay è, però, del tutto giustificata: si tratta infatti di una risoluzione divagante e "indecisa" che nulla toglie e aggiunge alla problematica situazione nella quale versa il processo di ratifica del Trattato che istituisce la prima costituzione dell’Unione Europea (1).

Nei mesi precedenti la votazione, in realtà, si era creata in molti ambienti favorevoli alla trasformazione in senso costituzionale e federale di quella istituzione "sui generis" che chiamiamo Unione europea, una grande attesa per il pronunciamento del Parlamento europeo, attesa provocata dalla impostazione di ampio respiro e fortemente "autocritica" del modo in cui era stato gestito il processo di ratifica del Testo (preparato dalla seconda convenzione e licenziato poi a Roma dalla conferenza intergovernativa) della discussione voluta dai due relatori nominati dal Parlamento , il verde Johannes Voggenhuber e il liberale britannico Andrew Duff(2)

I due relatori avevano predisposto per il Parlamento europeo una testo di grande "finezza" e anche di una certa "astuzia pragmatica" che, pur avendo l’accortezza di non cestinare il complesso lavoro di cucitura di un "compromesso" costituzionale tra le varie forze politiche e sociali europee e fra i governi del vecchio continente, mirava a prendere atto con coraggio del risultato referendario, aprendo da subito un negoziato capace, almeno potenzialmente, di riassorbire le ragioni del "no" franco-olandese. I punti di forza del documento dei due relatori risiedevano in quattro punti: a) l’ammissione che del secondo Trattato di Roma erano con certezza riproponibili nella loro formulazione originaria solo le soluzioni oggetto di convergenza unanime (ad esempio la Carta di Nizza, già peraltro applicata dalle Corti di mezza Europa) e quindi, ragionevolmente, non tema di sfiducia referendaria; b) la necessità di aprire un ampio confronto sia parlamentare sia con la società civile per accertare quali fossero gli aspetti "controversi" del vecchio Testo e quali godessero invece di perdurante consenso ; c) la decisione comunque di nominare una nuova Convenzione, capace di reperire un ulteriore compromesso e di interpretare "politicamente" i due "no" in paesi fondatori; 4) la previsione di scadenze precise per l’elaborazione del nuovo Testo, da sottoporre a referendum consultivo (3) paneuropeo da svolgersi con le elezioni del 2009.

Votando una simile risoluzione il Parlamento europeo avrebbe assunto, in verità, il ruolo di nuovo motore del processo di costituzionalizzazione indicando una nuova strada per dotare l’Unione di una "higher law", un’alternativa quindi alla fallimentare gestione da parte dei governi, le cui linee di convergenza non hanno platealmente superato il vaglio del voto popolare in due paesi, da sempre all’avanguardia delle dinamiche di integrazione comunitaria. I due relatori peraltro suggerivano al Parlamento europeo. di mantenere un impegno di alto rilievo politico- istituzionale, tenendo aperto il confronto e il dialogo anche con la futura Convenzione durante la fase di riscrittura,in modo da far sentire la pressione e l’autorevolezza di un demos europeo attento e vigile sul suo futuro costituzionale. Anche forze politiche e sociali che avevano "tifato" per la bocciatura referendaria del vecchio Trattato, si erano dimostrate bendisposte a questa soluzione, in quanto capace di rimettere al centro dell’agenda europea la questione della necessità di una "Costituzione sovra-nazionale".

Ora niente dell’originaria spinta "costruttiva" delle relazione Duff-Voggenhuber (già mortificata nelle sue linee essenziali nella Commissione affari costituzionali) ha resistito al voto finale, avvenuto per giunta a maggioranza per linee di divisone che ribadiscono i vecchi dissidi della primavera scorsa . Nel testo finale vi sono lodi inutili ( anche se in gran parte condivisibili nel merito ) del vecchio Testo e, soprattutto, la riaffermata volontà di proseguire nelle ratifiche in corso. Segue un rituale e scontato invito al confronto, soprattutto parlamentare, sul processo di costituzionalizzazione: le grandi famiglie politiche europee (popolari e socialdemocratici) si sono, infatti, opposte all’azzeramento di quanto sin qui compiuto e al rilancio del percorso su nuove basi.

Sullo sfondo vi è la convinzione che si possa arrivare a realizzare la situazione descritta nella nota dichiarazione n. 30 annessa al Trattato, secondo il quale - una volta intervenuta la ratifica di quattro quinti degli Stati aderenti - un Consiglio europeo dovrebbe decidere sul da farsi. Per alcuni leader europei questa previsione consentirebbe di affrontare il rifiuto della ratifica di Olanda e Francia su posizioni di maggiore forza, forse costringendo i due paesi ad ingoiare il vecchio Trattato, con qualche marginale rettifica (come si è fatto in precedenza con Danimarca e Irlanda). Non è peraltro certo che la quota delle 20 ratifiche sia raggiungibile, posto che in molti paesi devono svolgersi altri referendum , in alcuni casi- Gran Bretagna - fortemente a rischio. In ogni caso si tende a sottovalutare l’impatto dei due no,: abbiamo a che fare con paesi fondatori e con la Francia, a lungo convinta di poter essere addirittura la guida spirituale dell’intero vecchio continente. La decisione di dire si o no alla prima Costituzione sovra-nazionale è molto più marcata politicamente e simbolicamente di quanto non sia l’adesione ad una moneta unica. Non sembra ragionevole l’idea che i francesi possano accettare un Testo che sia la fotocopia, più o meno mascherata, del vecchio Trattato, né sembra ipotizzabile che nelle elezioni del 2007 emerga una così forte leadership (socialista?) capace di influenzare gli elettori meglio di quanto abbia saputo fare Chirac.

Si rischia così di perdere solo tempo prezioso e di trascinare la questione sino a farla uscire dalla scena, come peraltro hanno sostenuto esplicitamente sia Tony Blair che i maggiori media inglesi ( dall’Economist alla Financial Times) .E’ senz’altro inquietante che alcuni esponenti della socialdemocrazia europea nel loro recente appello “per salvare l’Europa” abbiano omesso di pronunciarsi proprio sul futuro della Costituzione e che Giuliano Amato nelle sue lettere sull’Europa sul "Il sole24 ore" abbia spostato il suo focus sulle cooperazioni rafforzate nell’area euro, prospettiva, certamente, in sé non in contrasto con il rilancio del progetto costituzionale (4).

Una riapertura del dialogo e la nomina, a breve, di una nuova Convenzione risponde peraltro a quanto oggi richiede il sistema costituzionale "vivente" nel vecchio continente. Una dilagante e un po’ ripetitiva letteratura sul "deficit democratico" dell’Unione e sull’ "eurocrazia" oscura il fatto che le normali regole di ratifica dei Trattati internazionali nel contesto europeo portano ad un’intensificazione dei meccanismi di verifica democratica che meriterebbe più considerazione. Il vecchio Trattato è stato non solo elaborato preventivamente da una Convenzione per due terzi di nomina parlamentare, ma votata dai governi ed ancora dal Parlamento europeo e quindi sottoposta a ratifiche parlamentari. La complessità, senza precedenti storici, dell’architettura costituzionale dell’Unione (che risulta dalla composizione di fonti sovranazionali e fonti interne secondo le note linee ricostruttive della scuola del "multilevel constitutionalism") ha comportato in alcuni casi addirittura la partecipazione delle Regioni al processo di ratifica e, in altri, al voto popolare: al referendum francese ha portato peraltro la decisione "ipersovranista" del supremo organo costituzionale del paese.

La costituzione "vivente" dell’Unione rispetta, quindi, le costituzioni nazionali e in realtà il no franco-olandese ha di fatto paralizzato l’approvazione del secondo Trattato di Roma. Sino a che non sarà più evidente la volontà di una strutturata sfera pubblica europea di archiviare le arcaiche divisioni per Nazioni, l’Unione non potrà che procedere in questo modo, sopportando il rischio di improvvise rivolte di segno nazionalista e la connessa necessità di recuperarle attraverso il consenso e il dialogo, non con diktat tecnocratici .E’ forse questo il vero punto di forza da giocare per domare il "popolo" francese: dimostrare che le istituzioni dell’Unione sono capaci di riconsiderare le proprie scelte attraverso un negoziato: su questa linea dovrà essere interpretati quei voti che nel Maggio scorso hanno premiato il No in Francia.

Come, però, farlo? Duff e Voggenhuber avevano proposto un percorso e tra le righe suggerito che si potessero nel nuovo Testo rafforzare i tratti sociali dell’Unione o "de-costituzionalizzando" la terza parte del Trattato (5) o dando maggiore forza e risonanza agli elementi garantistici che prefigurano un nuovo welfare europeo: il Parlamento europeo non ha voluto seguire i suoi relatori su questa strada, si è arroccato su quanto stabilito in precedenza. La situazione sembra dunque per ora bloccata, e senza sbocchi di sorta, ma comunque vanno ringraziati i due esponenti politici nell’avere indicato un possibile percorso di riscossa del federalismo europeo. Nel 2007, o anche dopo, la loro "provocazione" potrebbe essere ripresa di fronte ad una perdurante stagnazione della situazione, magari da un Parlamento meno conformista di quello in carica.

Note: 1. cfr Giuseppe Allegri, La stasi europea e la resistibile risoluzione del parlamento europeo
2. Cfr. A. Duff Rinegoziare la costituzione in Democrazia e diritto n. 3\2005
3. Un vero e proprio referendum approvativo sarebbe in contrasto con alcune Costituzioni nazionali.
4. L’appello è stato pubblicato sull’Unità del 13.1.2006 , cfr. Giuliano Amato “Percorso a tappe verso gli Stati Uniti d’Europa” in “Il sole 24 ore”, 22.1.2005
5. Cfr. Umbero Allegretti Proposta per l'Europa in Democrazia e diritto n. 3\2005

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