Clima, rinnovabili e meno petrolio. Con Obama gli Usa si scoprono verdi
Centralità che il senatore dell'Illinois non ha mancato di ribadire anche nel primo discorso pronunciato appena avuta la certezza di aver sconfitto John McCain. "Anche se stanotte festeggiamo, sappiamo che le sfide che ci porterà il domani sono le più grandi della nostra vita: due guerre, un pianeta in pericolo, la peggiore crisi finanziaria del secolo", ha avvisato Obama, aggiungendo però che "ci sono nuove energie da imbrigliare e nuovi lavori da creare".
Una speranza offerta innanzitutto a un Paese a terra dopo l'uragano partito con lo scandalo dei mutui subprime, ma che non potrà non avere profonde ripercussioni globali. "Obama ritiene importante che gli Stati Uniti si impegnino nella lotta ai cambiamenti climatici e propone un rientro del paese nelle negoziazioni internazionali sul clima, senza attendere che Cina e India facciano altrettanto, evitando così una paralisi del processo decisionale", spiega Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club ed ex consulente del ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani.
"Come strumento d'azione - ricorda ancora Silvestrini - il futuro presidente propone uno schema analogo a quello dell'emissions trading europeo, ma con un pagamento delle quote da parte delle industrie e la destinazione dei proventi (15 miliardi di dollari all'anno) per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica. Questo meccanismo penalizzerà evidentemente la produzione di energia da carbone".
Vero, ma solo nel senso che Washington ora intende fare ancora più di Bruxelles, riconquistando la leadership tecnologica della rivoluzione verde. Se a Roma si insiste nel denunciare i presunti costi delle politiche ambientali, la promessa elettorale di Obama è stata invece quella di creare nel giro di dieci anni 5 milioni di posti di lavoro nel settore dell'energia pulita e di arrivare a un taglio delle emissioni di C02 dell'80% entro il 2050.
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