Latina

Quale pace in Colombia?

Può un processo di pace, nato come escamotage per poter sdoganare i carnefici dello stato,evolversi in una seria trattativa di pace, capace di eliminare l’anima più nera del conflitto colombiano?
15 aprile 2005
Simone Bruno (corrispondente dalla Colombia di Reporter Associati - s.bruno@reporterassociati.org)
Fonte: Reporter Associati


Bogotà, 15 Aprile 2005. Omaira Fernández aveva 16 anni, apparteneva alla comunità Indigena di Betoyes e viveva nel villaggio di Parreros. Omaira era una Indios Guahibo. Circa un anno fa, come confermato da Amnesty International, alcuni militari della XVIII Brigata dell’esercito Colombiano visitarono il suo villaggio. Non fu una visita normale. Questi soldati portavano i distintivi delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia), ma erano talmente goffi da lasciare intravedere quelli della XVIII Brigada dell’esercito Colombiano malamente celati.

Omaira era incinta, nonostante questo fu violentata. Poi i militari le aprirono il ventre e fecero a pezzi il feto con dei maceti. Per finire l’opera la uccisero. Gli altri abitanti del villaggio sono stati costretti ad assistere impotenti e altre tre bambine sono state violentate, avevano 11,12 e 15 anni. Ora il suo corpo è nel letto di uno dei numerosissimi fiumi Colombiani, dove non scendono lucci argentati, né cadaveri di soldati, ma spesso quelli di Indios come Omaria.

Anzi a dire il vero non scendono neppure quelli.

Infatti i gruppi Paramilitari hanno imparato alcuni trucchi per far sparire le prove. Li hanno imparati da personaggi come Yair Klein, un ex militare e trafficante d’armi Israeliano che si è occupato dell’addestramento dei primi gruppi di sicari del Cartello di Medellin o nella famigerata scuola de “las americas” da dove sono usciti i peggiori criminali sudamericani. Nei loro manuali si può leggere come compiere un buon massacro senza lasciare tracce dietro di sé.

I corpi vanno svuotati delle parti molli che li riporterebbero a galla, poi vanno fatti a pezzi, messi in buste di plastica e depositati nel fiume più vicino, gli avvoltoi mangiano velocemente gli organi a galla e della vittima non si sa più niente. Così agiscono le AUC, i paramilitari di estrema destra che formano uno dei tre vertici del triangolo che raffigura il conflitto Colombiano. Agli altri angoli ci sono i gruppi guerriglieri e lo stato colombiano. Ma come abbiamo visto, spesso paramilitari e stato coincidono essendo uno il lato oscuro dell’altro usati nei lavori più sporchi.

La presidenza di Alvaro Uribe Velez si è contraddistinta fin dalla sua campagna elettorale per presentarsi come l’uomo forte che avrebbe posto fine al conflitto armato con la mano dura. Questo conflitto esiste da ormai 40 anni per come lo vediamo ora, ma ha radici salde di violenza che risalgono a circa 60 anni fa. Tra i tre attori armati vive la società civile, schiacciata, massacrata e abusata in ogni modo. In questo paese si registra il più alto numero di omicidi di sindacalisti, in questo paese è stato sterminato un intero partito politico, la UP(union patriotica), 5000 morti fino ad ora ed il massacro continua.

In questo paese la società civile è costretta a lasciare le sue case e andare ad ingrossare i mostruosi agglomerati periferici delle grandi città, in questo paese si muore se si è professori, studenti, leader indigeno, gente di sinistra, attivisti dei diritti umani, giudici, pacifisti, o semplicemente se la tua terra ha un qualche valore, qui nelle elezioni del 1990 tre candidati presidenziali su quattro hanno perso la vita, qui si registra il più alto numero di sequestri di civili al mondo, qui Ingrid Betantcourt candidata presidenziale delle ultime elezione è ancora sequestrata dai guerriglieri nella selva.

Responsabili di queste atrocità nella maggior parte dei casi sono proprio i paramilitari delle AUC, anche se non si può negare che anche i guerriglieri delle FARC calpestino spesso i diritti umani. Il governo è impegnato da circa due anni in un complesso processo di pace proprio con le AUC, cerchiamo ora di analizzare come procede e cosa nasconde. Punto fondamentale posto dal presidente Uribe per l’inizio dei negoziati era il cessate il fuoco. Gli eventi narrati poco sopra sono quindi avvenuti in un momento in cui le AUC si erano impegnate a non compiere ulteriori azioni violente.

Ovviamente non è stato l’unico caso di violazione degli accordi.

Ma il governo non ha mai interrotto il dialogo, nonostante appunto evidenti violazione degli accordi. Altro punto fondamentale è la famosa legge di “justicia y paz” che il governo sta portando avanti in congresso. Si tratta di una complessa legge con la quale si definisce l’accordo stato-paramilitari per il loro rientro alla vita civile. La legge è stata presentata la prima volta nell’Agosto 2003 e da allora ha subito varie trasformazioni. Quindi quanto segue riguarda la foto ad oggi dello stato di avanzamento di questo progetto di legge. Pur non credendo che il governo sia animato da un desiderio di pace, se non da quello di “legalizzare” o meglio sdoganare gli amici delle AUC credo che in un paese come la Colombia ci sia necessità di dialogo e della ricerca di pace.

Dal momento che questo è ora un processo pubblico cerchiamo di analizzare i punti negativi di questa legge per vedere invece come potrebbe essere modificata affinché rispetti i tre punti fondamentali che un accordo di pacificazione nazionale dovrebbe includere. Verità, Giustizie a riparazione. Questo chiedono le associazioni delle vittime, i famigliari, le organizzazioni umanitarie e la stessa ONU attraverso il suo alto commissariato dei diritti umani in Colombia. Nessuno chiede un proseguimento della guerra, ma una pace giusta. Una forte spinta della società civile e della comunità internazionale potrebbe addrizzare questo processo e portarlo su una giusta via.

Vale la pena almeno tentare.

Partiamo dall’idea che il conflitto Colombiano è un conflitto complesso che si risolve con un pacchetto di soluzioni e non con il riduzionismo. Al momento esistono due linee riduzionistiche del conflitto. Chi come i guerriglieri delle FARC (forze armate rivoluzionarie colombiane) dice che il conflitto esiste per causa della povertà e delle disparità sociali, chi come lo stato dice che tutto è dovuto al traffico di stupefacenti e quindi nelle fumigazioni indiscriminate individua tutte le soluzioni. Un conflitto come quello Colombiano va affrontato con una combinazione di azioni. Una buona negoziazione con gli attori armati, una politica militare, una politica di concertazione nazionale, una serie di politiche economiche e sociali.

Qui noi ci occuperemo della negoziazione e rimandiamo ad un altro momento una eventuale analisi degli altri aspetti. Abbiamo già un recente esempio di negoziazione sbagliata e quindi fallita. Parlo della negoziazione del presidente Pastrana con la FARC, una cattiva negoziazione in cui nessuno credeva, un tempo usato da stato e guerriglia per riarmarsi. Una buona negoziazione inizia con il diritto umanitario internazionale e il rispetto dei diritti umani. Né Pastrana né Uribe hanno fatto di questo aspetto un elemento chiave della loro negoziazione.

Il cessate il fuoco è un altro elemento chiave per iniziare una negoziazione, come abbiamo visto neanche qui il governo ha fatto bene i suoi compiti, in questi due anni si contano 2000 tra sparizioni e omicidi attribuibili alle AUC. La negoziazione deve avere un contesto giuridico reale e credibile, ancor più dato che la Colombia aderisce al tribunale internazionale e allo statuto di Roma. In altre parole non si possono mandare a casa atroci criminali con un ave maria e un padre nostro.

Il processo di pace deve essere inserito in un contesto più amplio di riconciliazione nazionale, dove per riconciliazione non intendo perdono, come ahimé alcuni influenti esponenti del congresso sembrano intenderlo. Non si può affermare come si è fatto che la riconciliazione è un aspetto personale, e chiedere alle vittime delle peggiori atrocità di perdonare i carnefici. Questo non è un serio processo di pace che si svolge all’interno della legalità internazionale. La riconciliazione Nazionale deve prevedere un prendere coscienza di questo conflitto, che a volte i Colombiani sembrano dimenticare che esista, capire come sia possibile che duri da quaranta anni, capire in realtà cosa è accaduto in questo paese, chi ne ha tratto vantaggio.

Non farebbe male, come più volte si è chiesto, l’istituzione di una commissione d’inchiesta (commission verdad) per verificare i fatti di questi lunghi anni di sangue. Affinché un paese cresca e si superi deve sapere bene cosa gli è successo e avere un momento di riflessione collettiva. Il contesto giuridico dovrebbe garantire che non vi sia impunità e solo a questo punto garantire benefici ed incentivi giudiziali. In altre parole una volta accertata la verità, a cui hanno diritto le vittime e le loro famiglie, una volta che sia state ripagate le famiglie anche a livello materiale con indennizzi adeguati e con la restituzione di quanto gli sia stato tolto allora la giustizia potrà garantire sconti ai facenti parte i gruppi armati. Anche molto grandi, ma pur sempre senza entrare nella impunità.

Quello di cui parlo è un momento di giustizia transizionale, ossia speciale studiata per il momento storico e per uscire dalla situazione attuale, rimanendo nella legalità. Qualche cosa che elimini la contraddizione che qui in Colombia si vuole far esistere tra giustizia e pace. Si vuole far passare l’idea che chi chiede giustizia in questo modo si oppone alla pace.

Non esiste contraddizione, si può avere pace e dignità per le vittime.

Lo stato Colombiano non deve temere che imponendo regole serie e dure alle negoziazioni provocherà un abbandono delle trattative da parte dei paramilitari. I quali al momento sono alle corde e costretti a negoziare da almeno tre fattori. Il primo è che lo stato “forte” voluto da Uribe è ormai presente quasi ovunque, con il chiaro compito di combattere la guerriglia, togliendo quindi ogni ragion d’essere ai paramilitari. Secondo: Il governo Bush ha incluso le AUC nella lista delle organizzazioni terroristiche. La terza ragione è personale e vede buona parte dei capi paramilitari stanchi del conflitto e desiderosi di avere una vita “normale” godendosi i loro averi, vogliono letteralmente cambiare uscendone impuniti per godersi tutto ciò di cui si sono appropriati.

Inoltre non stiamo parlando dei guerriglieri.

I paramilitari non hanno selva e montagne dove nascondersi, se lo stato volesse potrebbe rintracciare tutti i capi e arrestarli molto velocemente. Legalmente possono godere di 5 giorni di immunità se i dialoghi di pace fallissero, per ritirarsi dall’area di Santa Fe de Ralito, al momento individuata come area di distensione dove si riuniscono i paramilitari. Se questo non si vuole ovviamente è un altro conto. Entriamo ora nello specifico della legge che allo stato attuale ci sembrano più assordi e chiaro esempio che non si cerchi da parte del governo giustizia ma impunità per gli amici paramilitari. Si cerca di far sparire l’idea di conflitto armato dal disegno di legge. Nelle bozze dell’Agosto del 2003 si parlava chiaramente di conflitto interno.

Ora si parla generalmente di gruppi armati illegali, negando o emettendo di specificare la realtà evidente presente in questo paese. Le ragioni possono essere varie: Si potrebbe pensare che in questa maniera si inseriscano negli accordi di pace anche personaggi non facenti parte del conflitto armato, ma della delinquenza comune. Ridurre i reati, infatti come ovvio se non esiste un conflitto armato spariscono alcuni orrendi crimini come tortura minaccia e uccisione di persona protetta, e un’altra serie di atrocità legate ai conflitti armati, come tutti quelli riguardanti i civili, che ovviamente non si distinguono dagli attori armati in assenza di conflitto. Inoltre la comunità internazionale avrebbe molto meno voce in capitolo. Non si distingue tra l’intero gruppo armato fuorilegge ed i suoi integranti.

Questo assurdo paradosso permetterebbe a piccoli pezzi dei paramilitari se non ai singoli individui di entrare nelle negoziazioni di pace e godere dei grandi privilegi previsti. Anche questa è una novità rispetto alle bozze originali. Ora gli accordi debbono sempre essere collettivi e mai individuali, proprio perché nella loro natura di transizionalità prevedono enormi privilegi. Accordi individuali sono estremamente vicini all’impunità e lontani dal grande processo di riconciliazione che vorremmo vedere promosso da questa legge. Sembrano provvedimenti studiati appositamente per quei capi paramilitari che vorrebbero entrare subito nella vita pubblica e magari darsi alla politica. Per diserzioni personale si possono provvedere incentivi in cambio di importanti informazioni, ma di questo il progetto di legge non parla.

La giustizia Transizionale esiste solo se collettiva, altrimenti non ha ragion d’essere.

E poi i punti più importanti dove non si parla del diritto alla verità, alla giustizia e alla riparazione. La verità è il punto chiave, senza sapere cosa è successo non potrà esistere la giustizia e la riparazione. Un processo di pace serio dovrebbe prevedere una serie di processi della “fiscalia general de la nacion” o la istituzione di un tribunale speciale (possibilità questa già esclusa dal governo) dove gli imputati debbano ammettere e spiegare tutti i reati a loro imputati, nonché dichiarare quelli eventualmente non contestatigli ma commessi (pena la perdita dei privilegi se scoperti successivamente).

Nella bozza del 2003 questo era previsto, ora lo si rende facoltativo.

Ossia si preclude ogni possibilità di stabilire la verità dei fatti. Inoltre non si distingue in gravità dei reati tra i vari ranghi gerarchici dell’organizzazione paramilitare, vale a dire che i leader di questa organizzazione non avranno aggravanti per i loro reati, ma potendo collaborare più degli altri avranno sconti di pena superiori!! In generale la legge parla di verità in maniera molto generica senza fornire strumenti adeguati per accertarla. La riparazione deve essere di tipo morale, psicologico, individuale e collettiva. I criminali debbono fare la loro parte fisicamente riparando i danni dove possibile.

Penso a tutti i terreni letteralmente rubati, alle persone minacciate e costrette a lasciare le loro case, a quelli costretti sotto minaccia a firmare la cessione delle loro terre. I capi paramilitari non possono pensare di uscire da questo processo e godersi le terre illegalmente acquisite. Attraverso il processo di accertamento della verità si devono individuare tutti quelli che con la violenza hanno avuto vantaggi e debbono restituire quanto hanno ottenuto ai legittimi proprietari o ad un fondo gestito ed in parte alimentato dallo stato per ripagare tutte le vittime. La legge non prevede nessuna forma di riparazione.

E ultimo punto la giustizia che come detto, una volta che lo stato abbia fatto bene i compiti per quanto riguarda riparazione e verità può elargire tremendi benefici ai criminali, ma non impunita. Si potrebbe avere amnistia per i reati politici, indulti e riduzione di pena e forse libertà condizionata per i reati grave atroci. Ricordo che legalmente per atrocità e crimini di lesa umanità deve essere impartito il carcere come pena, altrimenti stiamo parlando di impunità in termini legali. La legge prevede che il tempo che attualmente i paramilitari stanno trascorrendo nell’area di distensione sia da scontare alla loro eventuale pena alternativa. Si cerca di evitare il carcere ai capi paramilitari e allo stesso tempo di evitare la restituzione delle proprietà rubate.

Per questo da più parti si parla di legalizzazione del paramilitarismo.

Un grave precedente storico per questa regione. La Colombia è ora di fronte ad una occasione storica non ripetibile, una coalizione di deputati bipartisan, Borja, Parodi, Velasco, Pardo si sono lanciati con una proposta alternativa a quella presentata dal governo. Una proposta che raccoglie le indicazioni dei familiari delle vittime, dell’alto commissariato dell’Onu, della comunità internazionale, dalla organizzazione degli stati americani e di un amplio schieramento del congresso. Una proposta non perfetta ma che permetterebbe una reale pacificazione nazionale e una fine del paramilitarismo una proposta che guadagna forza dalla società civile.

Il processo di pace è ormai pubblico e lo si potrebbe togliere dalle mani del presidente che lo ha creato rendendolo credibile e serio. Il governo si rifiuta di adottarla. Se questo rifiuto continua bisognerà chiedersi seriamente cosa voglia il governo se non la totale impunita dei suoi amici carnefici, basta vedere la lista dei congressisti contrari a questo progetto e incrociarli con i luoghi di elezione per scoprire che quasi tutti provengono dalle aree sotto influenza AUC.

Un processo di pace nato come escamotage per poter sdoganare i carnefici dello stato potrebbe evolversi in una seria trattativa di pace, capace di eliminare l’anima più nera del conflitto colombiano.

Sprecare questa occasione manderebbe la Colombia verso ulteriori problemi a corto medio e lungo termine

Note: http://www.reporterassociati.org/index.php?option=news&task=viewarticle&sid=6836

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