Argentina: Diego Maradona guida oggi la marcia contro il presidente Usa Ma la politica di Washington riscuote pochi consensi anche dai governi
«El Pibe de oro» non ha certo paura di Bush. E lo sfida su un terreno, quello della politica, che non è proprio come un campo di calcio, ma dove Dieguito può fare ancora goal, come ai vecchi tempi. È partito ieri sera da Buenos Aires il «treno anti-Bush» guidato da Diego Armando Maradona, diretto a Mar del Plata, dove si apre oggi il IV Vertice delle Americhe, l'assemblea dei capi di Stato e di governo che, registrando l'adesione di quasi tutti i Paesi del nuovo mondo, forma un'assise rappresentativa di oltre 800 milioni di persone. Il treno, formato da cinque vagoni, trasporta 160 manifestanti che si uniranno al grande corteo organizzato dal Vertice dei Popoli, il «controvertice» che si tiene nella stessa località per contestare il presidente Usa. E non sono solo tifosi e campesinos a seguire Maradona: fra gli ospiti illustri del convoglio ci sono il candidato alle presidenziali in Bolivia, Evo Morales, insieme con cantanti argentini, giornalisti e leader politici. Tutto ripreso dalla sapiente regia del cineasta Emir Kusturica, che sta girando un film sulla vita di Diego. «El pibe de oro» ha così mantenuto la promessa fatta a Fidel Castro la scorsa settimana. «Bush è un assassino. Marcerò a Mar del Plata», aveva detto Maradona al presidente cubano. La delegazione di Cuba mancherà al Vertice delle Americhe, convocato dall'Organizzazione degli stati americani (Osa), che ha ritenuto Castro «indesiderato». Sarà l'ex numero 10 del Napoli a portare, allora, la visione fortemente anti-Bush condivisa con l'amico Fidel. Bush intanto, alla vigilia del viaggio che lo porterà anche in Brasile e Panama, ha ammesso che il suo progetto di un'area di libero scambio, dall'Alaska alla Patagonia, il cosiddetto Free trade agreement for Americas (Ftaa o Alca secondo l’acronimo in spagnolo), «è in panne», malgrado l'appoggio ricevuto dalle lobby degli industriali e dei commercianti. Il presidente americano è consapevole che la sua strategia ha scarse possibilità di successo, data l'opposizione di Brasile, Venezuela, Argentina e di molti altri Paesi che, sia pur con diverse sfumature, rimproverano agli Usa (e all'Europa) di praticare un liberalismo «con due pesi e due misure», come dimostra la tenace difesa dei sussidi ai propri agricoltori. La Casa Bianca è quindi costretta a puntare più sul cosiddetto «Doha Round», ovvero a trattare la liberalizzazione nell'ambito del Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Ma ciò non toglie che gli Stati Uniti siano di fronte ad una marcata perdita di prestigio e di influenza politica, in un'area tradizionalmente «sotto controllo». Se nelle dichiarazioni finali non sarà neppure menzionato, si potrà considerare il Ftaa accantonato, almeno per i prossimi anni. E, in alternativa, prenderà forza il Mercosur, l'area di integrazione economica (e in futuro anche politica) costruita sul modello dell'Unione Europea dai principali paesi del Sudamerica. Nel continente latinoamericano la leadership del presidente brasiliano Inacio Lula da Silva e del venezuelano Hugo Chavez sembrano in grado di imprimere una direzione molto meno gradita al Gigante del Nord. Lo testimonia il prevedibile successo per il Vertice dei popoli, un «controvertice» promosso da numerose organizzazioni della società civile e della sinistra latino-americana nella stessa città argentina sotto lo slogan «Un'altra America è possibile». Gli organizzatori alludono a un continente meno soggetto alle politiche neoliberiste. Per questo anche il presidente venezuelano Hugo Chavez, il critico più radicale degli Usa, parteciperà al «controvertice». E l'opposizione alla tradizionale egemonia di Washington in America Latina sta raggiungendo un'ampiezza impensabile solo qualche anno addietro.
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