Il cammino lento dell'America Latina: la Colombia e l'aborto
Mentre il presidente del Venezuela Hugo Chavez è stato recentemente insignito del Premio José Martí 2005 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) per aver “contribuito alla unità e integrazione dei Paesi dell’America Latina e del Caribe e alla preservazione della sua identità, tradizioni culturali e valori storici”, lo stesso presidente venezuelano e quello della Colombia Alvaro Uribe hanno mostrato la volontà di trovare una linea di distensione tra i due paesi nonostante le forti differenze ideologiche che segnano le rispettive politiche.
L'incontro è avvenuto in occasione dell'omaggio a Simòn Bolivar, il Libertador che governò un'area geografica comprendente Bolivia, Perù, Ecuador, Panamà, Venezuela e Colombia.
I delicati colloqui che si stanno tenendo a L'Avana tra il governo colombiano e l'Ejército de Liberaciòn Nacional (ELN), permettono però di ricordare quanto sia lontana la Colombia di Uribe dalla nuova America Latina che ha ormai sfondato le porte anche della strategica Bolivia.
Tagli ai salari e riforma del lavoro iniqua, privatizzazioni, "Sicurezza Democratica" come modello di governo (ovvero, un mostro linguistico al pari di "Guerra Democratica" che nasconde una soluzione militare del conflitto sociale) e, ancora, il Plan Colombia e la legge Giustizia e Pace. Non è certo questo il modello della nuova America Latina, la quale vuole lasciarsi alle spalle l'ingerenza del furbetto imperialismo yankee.
Ma c'è una pagina triste che accomuna tutti i paesi dell'area - per ragioni che trascendono lo spazio di una legislatura - e della quale la Colombia è stata sgradevole protagonista anche nei giorni scorsi: la proibizione dell'aborto, illegale praticamente ovunque ad eccezione della Cuba castrista e di Puerto Rico.
Ciò significa che, soprattutto in casi di stupro e incesto, ricorrere a rischiosi e talvolta mortali aborti clandestini rappresenta un dramma per milioni di donne adulte e - perfino più frequentemente - adolescenti sudamericane: l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato in 4 milioni gli aborti clandestini e di questi 1,4 milioni riguardano donne brasiliane.
Una questione nota da tempo (troppo tempo) contro la quale medici, gruppi femministi e movimenti politici non hanno mancato di dimostrare la loro contrarietà invitando la classe politica a modernizzare una stanca legislazione. In direzione opposta vanno invece i "movimenti per la vita" fedeli ai diktat vaticani (ma il gruppo Catòlicas por el Derecho a Decidir è senz'altro una lodevole realtà che manifesta la viva voglia di cambiamento).
Ritornando alla specificità colombiana, qui si registrano 400.000 aborti clandestini all'anno e la pena prevista per interruzioni di gravidanza clandestine può arrivare a quattro anni e mezzo di carcere. L'aborto è proibito incondizionatamente (così anche in Cile, Honduras, El Salvador e Suriname) e se si pensa che non di rado l'interruzione di gravidanza va a intrecciarsi con quella nostra vergogna che è il turismo sessuale, capirete la portata della devastazione psicologica - quando non fisica - per le donne della vera America.
Ecco, nonostante tutto ciò e nonostante le fervide denunce di Human Rights Watch, pochi giorni fa la Corte Costituzionale della Colombia ha respinto la richiesta dell'avvocato Monica Roa - nativa colombiana e nota attivista - la quale reclamava la depenalizzazione dell'aborto almeno in particolari condizioni.
Un rifiuto che sa di sconfitta.
- Plan Colombia: http://www.narcomafie.it/colombia_20.htm
- Legge Giustizia e Pace: http://www.lettera22.it/showart.php?id=3284&rubrica=39
- La posizione del vaticano: http://www.italiaestera.net/modules.php?name=News&file=brevi&sid=1034
- Il gruppo Catòlicas por el Derecho a Decidir: http://www.geocities.com/catolicas/articulos/campana_28_sep/index.html
- Turismo sessuale: http://webrebelde.blogosfere.it/2005/11/per_i_nostri_pr.html
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