Latina

Intervista a Rigoberta Menchú, premio Nobel per la pace e coscienza critica del Guatemala

Se il destino vorrà sarò presidente

La mia forza sono le energie maya. Ci sono bianchi che conoscono benissimo le energie maya e maya che non sanno nulla di quelle energie Città del Guatemala
18 agosto 2006
Gianni Beretta
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Il mandato di cattura internazionale per crimini contro l'umanità, emesso dalla giustizia spagnola il mese scorso nei confronti dell'ex dittatore Efrain Rios Montt (e di altri sei alti ufficiali dell'esercito) ha avuto un grande impatto in Guatemala. Ne abbiamo parlato con il Nobel per la pace Rigoberta Menchù, promotrice della denuncia contro Rios Montt presso le corti spagnole. Rigoberta, assai raffinatasi nelle sue riflessioni e nei suoi progetti, ci racconta pure del suo ruolo nell'attuale governo e dei suoi propositi per la formazione di un partito indigeno, in un paese dove la violenza e l'intimidazione continuano a farla da padrona.
Quella denuncia potrà sortire qualche effetto pratico, visto che l'ex-generale genocida continua a girare libero e impune nel suo paese?
Credo che l'ordine di arresto internazionale contro i responsabili del genocidio costituisca innanzitutto un trionfo per le vittime e i loro familiari, un riscatto della loro dignità e per la memoria dei loro morti. E' poi un successo per la giustizia universale, che mette a prova l'applicazione delle convenzioni internazionali contro i delitti di lesa umanità. Ma si tratta soprattutto di un test decisivo per l'efficacia dello stato e della giustizia guatemalteca; una sfida contro l'impunità.
Credo che questo mandato di cattura presto o tardi sarà eseguito. Ma non sarà facile perché i responsabili del terrorismo di stato, delle torture e delle mattanze del passato sono ancora molto influenti nella politica e nelle istituzioni. Non solo: posso affermare senza remore che questi gruppi sono alla testa della criminalità organizzata, del sistema di corruzione e del narcotraffico. Dunque perseguirli non significa solo fare i conti con il fascismo genocida di un tempo ma con enormi interessi dell'oggi. Che poi significa un grande rischio per l'incolumità dei testimoni e dei denuncianti di quei crimini. E' per questo che ho preferito ricevervi nella mia casa, da dove, per motivi di sicurezza, esco solo se necessario.
Rigoberta, come ti trovi nel ruolo di ambasciatrice di buona volontà per gli accordi di pace in questo governo della destra moderata del presidente Oscar Berger?
Fui io a propormi per rilanciare l'applicazione degli accordi di pace nella loro integralità, che significa salute, istruzione, terra, nazione multiculturale e plurietnica. Sono ambasciatrice ad honorem; partecipo alle riunioni di gabinetto (anche se ci sono state molte resistenze) dove pongo i problemi sul tavolo; ma mantengo tutta la mia autonomia. Ho un'agenda propria per la costruzione della pace che va al di là del che fare di questo governo.
Con quali risultati?
Devo riconoscere che questo governo ha ampliato gli spazi di partecipazione degli indigeni nelle istituzioni dello stato e nell'esecutivo. Svolgono un ruolo importante la Commissione presidenziale contro il razzismo e le discriminazioni, l'Accademia delle lingue maya, il Consiglio nazionale di educazione maya e il Coordinamento interistituzionale delle organizzazioni maya. Molti di noi ricoprono oggi incarichi di responsabilità. La battaglia l'abbiamo data. Forse non si vedrà ancora molto. Ma quando uno è rinchiuso in una gabbia dove ci sono più belve feroci che docili animali...
Per il resto che opinione hai del presidente Berger?
I miei rapporti con il presidente sono buoni. Il problema è che questo governo non ha i sufficienti rapporti di forza per far passare i suoi programmi in parlamento. Faccio un esempio: il Congresso non ha ancora approvato la legge per combattere il crimine organizzato; il Fronte repubblicano guatemalteco (il Frg di Rios Montt e di Alfonso Portillo, precedentemente al governo) vogliono emendarla con la non estradabilità dei narcotrafficanti cui sono legati. Pensate che tutti sanno chi sono e dove stanno i capi narcos, ma sono intoccabili: la loro capacità di intimidazione è più forte di quella repressiva dello stato. Rios Montt e Portillo prima di andarsene hanno creato per legge entità inquinate e infiltrato gli apparati dello stato con le mafie del crimine. Così che l'attuale governo avrebbe pure buoni propositi ma è troppo debole. La situazione in Guatemala è dunque ancora molto grave. Io stessa, se fossi la posto del presidente non saprei bene cosa fare in materia di legalità e sicurezza dei cittadini. L'aiuto della comunità internazionale è fondamentale.
Ci sono poi i fenomeni dilaganti delle bande giovanili e dell'assassinio indiscriminato delle donne.
Le maras (bande giovanili) sono nate a Los Angeles e sono state trapiantate in Centroamerica dai giovani deportati. Sono una nuova modalità di espressione della violenza che i boss della criminalità usano come proprio capitale d'investimento. Le modalità della violazione dei diritti umani in Guatemala oggi sono cambiate; ma per mantenere lo stesso risultato: la paura, la psicosi del terrore. Le mafie manipolano le maras che sono organizzate capillarmente nei quartieri dove esigono il pizzo a chiunque svolga un'attività: persino all'anziana povera signora che vende zuppe all'angolo della strada. E la polizia, essa stessa intimidita, non riesce a intervenire. Tantomeno trova testimoni disposti a denunciare. Per questo capita pure che qualcuno finisca col farsi giustizia da sé. Anche il numero crescente di assassinii di giovani donne si consuma all'interno delle bande e delle mafie, con un ritorno prepotente del machismo, legato alla cultura del terrore. E' urgentissimo lavorare per sostenere le istituzioni del sistema democratico prima che la sfiducia e la disperazione abbiamo definitivamente il sopravvento.
Rigoberta, recentemente hai ventilato l'ipotesi di formare un partito degli indigeni.
Quello dell'organizzazione è uno dei miei nahuales (energie spirituali) che più mi protegge in questo mondo. Fin da bambina mio padre mi ha insegnato a organizzare nella comunità. E da quando ho avuto il Nobel ho pensato a uno strumento politico che rendesse possibile la partecipazione delle popolazioni indigene al potere. Nel 1993 ci ho provato insieme ad altri leader conosciuti. Formammo il Kamal-E. Ma non funzionò perché un gruppo maya che unisse diverse tendenze non piacque all'allora guerriglia e alla sinistra. Ci disperdemmo nella post-guerra ciascuno facendo preziosi censimenti del genocidio. Non rilanciai quell'idea per non dar corda a coloro che mi accusavano di voler figurare alla testa di ogni iniziativa senza avere una vera base sociale. Ho riflettuto molto su quelle critiche giungendo alla conclusione che non si trattava altro che dei soliti argomenti di chi imbraccia gli strumenti dell'oppressione e del razzismo. Volevano condizionarmi; arrivai in effetti a chiedermi persino se il progetto di un partito non avesse macchiato lo stesso premio Nobel. Ora quei condizionamenti li ho lasciati alle spalle. Sono una dirigente politica che ha ricevuto una missione dai miei avi; e la devo compiere fino in fondo. Dunque, anche se non per le elezioni dell'anno prossimo, fonderò un partito indigeno. Qualcuno dice che voglio essere presidente della repubblica; se il destino lo vorrà sarò presidente del Guatemala.
Pensi a un percorso come quello di Evo Morales in Bolivia; una sorta di riscatto dopo cinque secoli di sottomissione?
Non basterà un mandato per Evo Morales per cambiare istituzioni escludenti e per mostrare miglioramenti decisivi nella vita dei boliviani. E' un lungo processo del quale lui deve gettare le fondamenta, ma che i fratelli indigeni boliviani devono sostenere preparandosi per essere in grado di condurre le redini del paese. Io appoggiai molto l'avvento al governo di Lucio Gutierrez in Ecuador, eletto grazie al voto indigeno. Ma poi è risultato che non avevamo sufficiente gente preparata per gestire lo stato e l'economia; e tutto è caduto. Dobbiamo essere prudenti altrimenti cresciamo come un vulcano in eruzione. Mentre i soliti reazionari ci aspettano al varco per dire: lo vedete che gli indigeni non sono cambiati e non sono buoni a nulla?
Anche il peruviano Alejandro Toledo, prima di assumere la fascia presidenziale, andò a Machu Picchu a invocare i buoni auspici delle divinità ancestrali...
Non mi interessa se un presidente è indigeno o no. Così come non giudico il presidente Berger in quanto ladino. Mi importa solo che sia un buon amministratore, trasparente, democratico, partecipativo, pluriculturale. Certo ci vuole anche tanta spiritualità. Le aspirazioni materiali devono essere in equilibrio con quelle spirituali. Ma posso affermare che ci sono fior di europei che conoscono le energie maya da diventarne guide spirituali; e indigeni maya che di queste energie non sanno proprio niente. Sono argomenti profondi che non si può banalizzare con luoghi comuni.

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