Latina

Da eguale a eguale - Visto obbligatorio per gli statunitensi che entrano in Bolivia

3 gennaio 2007
Gennaro Carotenuto

Dal primo gennaio -per una semplice questione di reciprocità- i cittadini statunitensi hanno bisogno del visto per entrare in Bolivia. Ma lo stallo nell'Assemblea Costituente continua a testimoniare le grandi difficoltà che trova il governo di Evo Morales mentre in Oriente sono già in azione gruppi paramilitari dell'ultradestra bianca.
di Gennaro Carotenuto

Questa è una di quelle notizie che possiamo definire "tornasole". Quelle dove più che la notizia - che parlandoci chiaro è marginale- è importante la reazione di ognuno a questa, soprattutto quella più immediata. Potremmo prenderla con fastidio, guarda che stupido Evo, magari danneggia anche il turismo. Oppure potremmo accoglierla con entusiasmo: evviva, finalmente qualcuno mette fine a processi autodiscriminatori. "Siamo un paese piccolo e ci definiscono sottosviluppato -ha detto il Presidente Morales- ma abbiamo la stessa dignità di qualunque altro stato".

Allora, se perfino il presidente della Repubblica Boliviana deve chiedere il visto per entrare negli Stati Uniti, e questo visto costa ben 100 dollari, più del reddito mensile della stragrande maggioranza dei boliviani, perché anche l'ultimo cittadino degli Stati Uniti può entrare in Bolivia senza visto? Per motivi analoghi dal primo gennaio i cittadini croati possono entrare in Bolivia senza visto già che anche questo paese ha smesso di richiedere visto per i boliviani.

Quello che è certo, comunque si guardi alla decisione del governo sovrano della Bolivia, è che per la prima volta nella storia un governo considera necessaria una relazione di reciprocità e non di sudditanza nei confronti degli Stati Uniti. Se consideriamo che tutto ciò succede mentre la UE accetta in maniera non reciproca che il governo gringo ficcanasi nelle nostre carte di credito e posta elettronica possiamo rilevare che lezione di dignità -e quanto costi- dà la Bolivia al mondo. Quella di Evo è una decisione che fa venire in mente una bella canzone di León Gieco, "de igual a igual", che nel ritornello dice:

Si me pedís que vuelva otra vez donde nací /
yo pido que tu empresa se vaya de mi país /
Y así será de igual a igual...

Se vuoi che ritorni di nuovo dove sono nato /
io voglio che le tue multinazionali se ne vadano dal mio paese /
e così sarà da uguale a uguale...

Basta sognare! Purtroppo in Bolivia succedono cose più importanti e l'anno che inizia continua a testimoniare le difficoltà crescenti del processo boliviano. L'Assemblea Costituente è da mesi impantanata sulla questione della maggioranza semplice o qualificata con la quale dovrebbero essere approvati i singoli articoli. Non è una questione di lana caprina. Le destre autonomiste, che a Santa Cruz sono apertamente razziste e golpiste, pretendono la maggioranza qualificata di due terzi perché con questa hanno il diritto di veto su ogni cambiamento concreto.

In questo contesto per Evo non importa avere il 70 o anche l'80% dei voti sull'altipiano. Con appena il 25% dei voti nell'Oriente del paese, o il MAS -il Movimento Al Socialismo di Evo Morales- tratta, e rinuncia ad un cambiamento reale, oppure la Bolivia si spacca. Appoggiate dall'estero, le élite bianche dell'Oriente, controllano il gas e le terre più fertili del paese. La sola provincia di Santa Cruz produce il 30% del PIL del paese e attira la metà degli investimenti stranieri. Con Pando, Beni e Tarija sfiorano il 50% del PIL, con una maggioranza compattamente bianca e di destra radicale, una sorta di Lega Nord boliviana, che dietro la parola d'ordine dell'autonomia nasconde la volontà di mantenere ad ogni costo il controllo del paese.

Sono sempre più frequenti le notizie di corpi paramilitari neofascisti addestrati da paramilitari colombiani che si preparano allo scontro armato contro il debolissimo esercito boliviano. Ci sono infiniti latifondi dove il Comité Cívico de Santa Cruz, formato in parte da discendenti di reduci tedeschi o balcanici della seconda guerra mondiale, può fare addestrare militarmente gruppi paramilitari. Tra questi vi è l'Unión Juvenil Cruceñista (la UJC) che in dicembre si è già distinta in azioni violente bruciando case di indigeni e bancarelle di mercato nel pieno centro urbano di Santa Cruz. Sì, ricordano da vicino Patria y Libertad, l'organizzazione neofascista cilena che dal 1970 al 1973 perpetrò violenze ed omicidi che prepararono il colpo di Stato dell'11 settembre, con l'appoggio della Falange spagnola e del governo degli Stati Uniti. Le azioni della UJC e il linguaggio politico del Comité Cívico dimostrano che settori importanti dell'opposizione sono apertamente disposti a realizzare una vera pulizia etnica nella provincia e in tutto l'Oriente boliviano.

Il dramma di Evo è che senza Oriente la Bolivia è -come disse Klemens von Metternich per l'Italia nel 1847- solo un'espressione geografica. O Evo riesce a essere il Garibaldi boliviano o lo scenario boliviano potrebbe trasformarsi nel più instabile del continente.

Note: http://www.gennarocarotenuto.it

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