Latina

Nicaragua - Una triste storia di revisionismo storico

Il fazioso e reazionario quotidiano La Prensa intervista l'ultimo dei Somoza e scatena la reazione dei famigliari di Pedro Joaquín Chamorro
7 febbraio 2008
Giorgio Trucchi

Pedro Joaquín Chamorro Cardenal (1924-1978) (Foto www.freemedia.at)

Il giornalista e direttore del quotidiano La Prensa, Pedro Joaquín Chamorro, venne assassinato nel gennaio del 1978 da sicari inviati dalla dittatura somozista. Questo infame atto contro una delle menti più lucide del giornalismo dell'epoca, che costantemente denunciava dalle pagine de La Prensa le barbarie e la corruzione di un regime sempre più alle corde, fu uno degli errori più grossolani di una dittatura che sarebbe poi caduta un anno e mezzo dopo, sotto i colpi dell'insurrezione popolare capeggiata dal Frente Sandinista.

Tra i principali indiziati di questo omicidio, che scosse in modo trasversale l'intero paese e le sue classi sociali, figurano il dittatore Anastasio Somoza Debayle (il terzo di quella che lo stesso Chamorro battezzò "la stirpe sanguinosa"), ma soprattutto il figlio, Anastasio Somoza Portocarrero, soprannominato "Chigüin", già destinato a prolungare la dinastia dei Somoza e che in quegli anni era a capo della Escuela de Entrenamiento Básico de Infanteria (EEBI), uno dei corpi militari più brutali.

Quello stesso giornale che fu di Pedro Joaquín Chamorro e le cui colonne aiutarono a mettere in crisi una feroce dittatura, si lancia oggi in un'intervista (chi volesse il testo integro lo può trovare su http://www.radiolaprimerisima.com/files/doc/EntrevistaSomoza.doc) con il cinquantasettenne Anastasio Somoza Portocarrero, nella quale gli viene concesso tutto lo spazio necessario per argomentare la totale estraneità della sua famiglia con l'omicidio del giornalista.
In alcuni passaggi dell'intervista, il diretto discendente della dinastia dei Somoza arriva al punto di "confessare" la grande stima che lui e suo padre avevano per il giornalista, raccontando lo "sgomento" con cui ricevettero la tragica notizia e lasciando intravedere la possibilità che altre forze abbiano commesso il crimine (e perché non lasciare il dubbio ai lettori che magari sia stato proprio il Frente Sandinista? Abile mossa in questo periodo di attacchi sfrenati, che ben poco hanno a che fare con il giornalismo, contro l'attuale governo di Daniel Ortega).

Anastasio Somoza Debayle con il figlio Anastasio Somoza Portocarrero ai tempi della dittatura (Foto storica) Dopo la pubblicazione dell'intervista, la famiglia di Pedro Joaquín Chamorro ha prontamente reagito.
Il figlio, Carlos Fernando Chamorro, giornalista e direttore del settimanale Confidencial, ha inviato una lettera al giornale La Prensa accusandolo di apologia degli assassini di suo padre.
Di seguito la traduzione della lettera.

In difesa di mio padre Pedro Joaquín Chamorro Cardenal (PJCh)

Quando il capo redattore de La Prensa mi ha chiesto di rispondere a tre domande sull'omicidio di mio padre, per pubblicarle insieme all'estesa e previamente pubblicizzata intervista all'ex colonnello della Guardia Nacional, Anastasio Somoza Portocarrero, ho declinato l'offerta dicendogli che Somoza era "uno dei più importanti rappresentanti della dittatura che mio padre, direttore martire di questo giornale, combatté durante tutta la sua vita". Per prudenza e soprattutto per rispetto alla sua memoria, non volevo venir utilizzato per legittimare l'apologia di Somoza, senza che mio padre potesse difendersi.

Adesso, dopo aver letto l'intervista presentata in tre parti, scrivo queste righe per condividere pubblicamente la delusione, il dolore e l'indignazione che la nostra famiglia sta sperimentando di fronte a ciò che La Prensa ha pubblicato.

Come mi ha detto mia sorella Claudia Lucía, con parole che condivido totalmente, "Ho la terribile sensazione che oggi abbiano nuovamente ucciso mio papà e mi sento schiacciata. Mi sembra vergognoso che sia proprio La Prensa a prestarsi per "ripulire" il nome della famiglia Somoza e convertirsi definitivamente nel suo più fervente difensore".
O come ha scritto Cristiana in una lettera al direttore de La Prensa. "Per la lealtà che ho nei confronti di mio padre, del suo messaggio e della memoria degli innocenti e delle vittime di quegli anni, non sarebbe dignitoso, né logico da parte mia prestarmi affinché La Prensa mi metta a contrastare la difesa del tuo intervistato, il quale, insieme a suo padre e nonno, hanno fatto tanti danni al Nicaragua, assumendosi responsabilità provate di una dittatura dinastica a base di estorsione, repressione e sangue nicaraguense, come quella di Pedro Joaquín Chamorro Cardenal, per aver lottato contro tutto ciò con la sua penna e le sue parola dalle pagine de La Prensa".

Inoltre, sono convinto di rappresentare i sentimenti di indignazione di molti nicaraguensi, vittime della repressione, compagni di PJCh e persone oneste, che hanno assunto come proprio il patrimonio di valori di Pedro Joaquín Chamorro e di conseguenza, l'obbligo di difenderlo.

Per tre giorni, l'ex colonnello Somoza ha impartito una lezione accademica di cinismo e La Prensa, rinunciando alla sua tradizione combattiva, è sprofondata con uno stile di giornalismo compiacente, che è la peggior forma di fare giornalismo.
Se c'è stato un momento in cui questo giornale era obbligato a comportarsi in un altro modo, rappresentando almeno una parte della coscienza nazionale, era proprio di fronte a questo nefasto personaggio della nostra storia. Anche se si volesse cercare di isolare l'intervista dal suo contesto storico, La Prensa ha fallito, perché non ha mai avuto l'intenzione di fare giornalismo.
Secondo ciò che ha dichiarato l'autore dell'intervista, la sua missione era unicamente quella di pubblicare la "versione" di Somoza Portocarrero, cioè offrirgli una tribuna. E questo è stato esattamente ciò che Somoza ha utilizzato ampiamente per cercare di ripulire l'immagine della dittatura e legittimarsi di fronte alla storia.
E fa doppiamente male che di fronte a questa assenza di un giornalismo etico e professionale, Somoza abbia cercato di manipolare la storia di mio padre, proprio sul suo giornale, senza che s'alzassero voci in sua difesa. È sufficiente far riferimento a una sola parte della "versione" dell'ex colonnello Somoza Portocarrero per evidenziare questa manipolazione. Ripete Somoza il ritrito concetto diffuso da suo padre che la lotta di PJCh era strumentale ai propositi del governo di Somoza, di dimostrare l'ipotetica esistenza di libertà in Nicaragua ed arriva all'assurdo di dire che la Guardia Nacional lo "proteggeva".

Su questo tema mi limito a trascrivere ciò che scrisse mio padre nella prima annotazione del suo diario privato, scritto tra febbraio del 1975 e dicembre del 1977 e pubblicato nel 1990 con il titolo "Diario Politico".
Così cominciava questo storico documento che, come una premonizione, segnala l'origine delle forze tenebrose che avrebbero poi perpetrato il suo omicidio.

Giovedì 13 febbraio 1975

"Credo sia necessario scrivere queste note, perché stanno accadendo cose insolite.
Due giorni fa mi ha fatto visita S ((Sergio García Quintero) e ciò che mi ha detto mi ha fatto rizzare i capelli.
Dice S. che di fronte al suo capo (el generale Heberto Sánchez) hanno parlato di eliminarmi, la qual cosa è già stata detta molte volte e quando lo ripetono mi entra da un orecchio e mi esce dall'altro. Questa volta però mi ha raccontato di un progetto così orribile da far rivoltare lo stomaco a chiunque. Dice che si tratta di un sequestro (fatto da parte di civili) per portarmi nella Forza Aerea e poi buttarmi in mare da un aereo. Io ho semplicemente commentato: "E perché non pensano a qualcosa di meno truculento?".

Più avanti in questo stesso scritto:

"Sempre sullo stesso tema, ieri è venuto Diego (Manuel Robles) per raccontarmi che in un postribolo ha incontrato Victorino Lara ed Alesio Gutiérrez (due sbirri molto conosciuti della Guardia somozista), entrambi ubriachi. È stato il giorno delle promozioni o qualcosa del genere perché stavano festeggiando, ben protetti da uomini con il mitra.
Mi dice Diego: "Victorino ha raccontato che tu devi la vita al suo Capo perché lui gli aveva chiesto un permesso per venire a ucciderti in modo da non implicarlo, ma il Capo non ha accettato la sua richiesta e questo ti mantiene sul filo del rasoio, perché nessuno più di te ha fatto maggior danno al Capo. Alesio ha detto la stessa cosa e si è inginocchiato per giurare che avrebbe sparato a qualsiasi visitante di Jinotega".

Questa era l'atmosfera di persecuzione e minacce in cui viveva Pedro Joaquín Chamorro nel 1975 e che aumentò durante gli anni successivi, soprattutto dopo che La Prensa approfittò della sospensione della censura nell'agosto del 1977 per denunciare la corruzione del regime e dei suoi accoliti. È stato sotto questo regime, già in processo di decomposizione, nel quale nulla si muoveva senza il controllo e beneplacito di Somoza, che si produsse l'omicidio di mio padre e le indagini sul crimine, le quali si effettuarono sempre sotto il controllo di Somoza Debayle.
Sono quindi i Somoza, e non mia madre Violeta Barrios de Chamorro, come insolentemente insinua Somoza Portocarrero a La Prensa, che devono una spiegazione alla storia sulle connessioni tra gli autori intellettuali del crimine e la responsabilità del regime.

L'ex colonnello Somoza Portocarrero è già stato condannato dalla storia e non per essere figlio di un dittatore o nipote del fondatore della dinastia che ha ordinato l'omicidio di Sandino, ma perché in modo cosciente ha partecipato a questa dittatura con la determinazione di perpetuare la successione dinastica. Somoza non è stato sottoposto a un processo per crimini di lesa umanità, ma affronta il giudizio della storia, che è ugualmente severo. Né suo padre, né lui, hanno mai espresso un pentimento genuino per i danni causati dalla dittatura dinastica al Nicaragua, al contrario hanno cercato di giustificarsi e lo continuano a fare.
È per questo che scrivo queste righe, affinché anche le nuove generazioni che non hanno vissuto questa epoca sappiano che quest'uomo "pelato, magro e molto alto, con un atteggiamento da gentiluomo", come lo descrive La Prensa, era abituato a vestire un'uniforme ed era il capo della EEBI, il corpo d'élite della Guardia Nacional. Un corpo militare, educato con mentalità da forza d'occupazione, che alla fine delle esercitazioni veniva sollecitato dai capi: "Cosa volete?" e la truppa rispondeva: "Sangue! Sangue...del popolo!".
E questo "gentiluomo" è lo stesso che ha diretto i massacri contro la popolazione civile durante le "operazioni di pulizia", come testimonia una registrazione fatta dopo aver mitragliato un convoy di ambulanze, nel quale morirono molti soccorritori. In essa chiedeva a un suo subordinato di "inventare qualsiasi storia" di fronte alle autorità della Croce Rossa Internazionale che protestavano per il crimine.

Non tocca a me spiegare i motivi dell'insolita campagna pubblicitaria de La Prensa per promuovere l'intervista con Somoza Portocarrero, anche se molti lettori perspicaci hanno già tratto le loro conclusioni. Però è un avvertimento che la serie "Chi ha ucciso PJCh?" è solo all'inizio.


© (Testo e traduzione Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua - www.itanica.org )

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