Latina

Ad oltre un mese dai fatti di Bagua il governo impone la mano dura

Perù: continua la persecuzione dei leader indigeni

Una commissione di Amnesty International ha visitato la zona degli scontri tra indigeni e polizia
17 luglio 2009
David Lifodi

Ad oltre un mese dai fatti di Bagua, quando l'esercito inviato dal governo di Lima represse con violenza le manifestazioni indigene lasciandosi dietro una scia di morti, feriti e gravi accuse di violazione dei diritti umani, il Perù sembra sparito dai media. In realtà la situazione è ben lontana dall'essersi normalizzata, nonostante l'entrata in carica del nuovo gabinetto presieduto da Javier Velásquez Quesquén e le dimissioni di Yehude Simon, costretto a lasciare l'incarico dopo l'ondata di scioperi tra il 7 e il 9 luglio.
A questo proposito assume un ruolo ancora più determinante il lavoro delle organizzazioni sociali peruviane, su tutte l'Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva Peruana (Aidesep), la Coordinadora Andina de Organizaciones Indígenas (Caoi) e della Comisión Episcopal de Acción Social (Ceas).
A differenza di coloro che avevano individuato nella repressione della presidenza di Alain García un segno di debolezza di un esecutivo accerchiato e la cui popolarità raggiunge da tempo i minimi storici, la miscela di neoliberismo e il desiderio di riportare l'ordine nel paese continuano a rappresentare i tratti maggiormente caratterizzanti l'azione della classe politica peruviana. "Imporre l'ordine" è il compito che il nuovo presidente del consiglio dei ministri Javier Velásquez Quesquén va sbandierando continuamente. Dopo il leader Alberto Pizango, che aveva chiesto e ottenuto l'asilo politico al Nicaragua, altri rappresentanti di spicco dell'Aidesep pensano di intraprendere la stessa strada dopo aver visto il trattamento che il governo sta riservando a Santiago Manuín, ferito gravemente durante l'attacco dell'esercito nei confronti dei manifestanti avvenuto lo scorso 5 giugno alla tristemente famosa Curva del Diablo. Leader indigeno awajún di primo piano, Manuín si trova piantonato dalla polizia presso l'ospedale Las Mercedes de Chiclayo con accuse pesantissime che vanno dalla detenzione illegale di armi al danneggiamento dei mezzi pubblici passando per quelle di incitamento alla rivolta e alla sovversione. Per lui e altri rappresentanti delle comunità indigene, universalmente riconosciuti come uomini di pace (a Manuín è stato assegnato anche il premio "Reina Sofia de España" per il suo lavoro a favore della pace e dei diritti umani), sono state formulate accuse ad arte. Manuín ha dalla sua più di un testimone che può accertare la sua presenza alla Curva del Diablo nel tentativo di calmare gli animi poco prima di essere colpito da otto pallottole sparate dalla polizia, mentre il governo non è finora riuscito a trovare qualcuno che possa affermare il contrario. La Ceas, soprattutto per mano dell'avvocata Ketty Herrera, si è assunta la difesa d'ufficio di Manuín e di altri 36 arrestati per i fatti di Bagua, mentre una delegazione di Amnesty Internacional ha visitato la Curva del Diablo e luoghi limitrofi per parlare con gli abitanti del luogo e accertare se davvero sono state fatte sparire delle persone durante gli scontri tra indigeni e polizia, come confermato da numerosi testimoni.
Infine, uno spiraglio di luce potrebbe essere rappresentato dalla proposta al Congresso di una legge di consultazione dei popoli indigeni da parte dell'organo della Defensoria del Pueblo, che però, come sottolineano i dirigenti di Aidesep, avrebbe dovuto essere posta in essere molto prima. In questo modo gli indigeni sarebbero stati consultati sui progetti di sfruttamento della selva e forse non si sarebbero verificati i fatti di Bagua, anche se non è detto che un governo che disprezza apertamente gli indigeni avrebbe rispettato la volontà popolare.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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