Latina

È una sentenza storica per un paese in cui i militari avevano sempre goduto dell’impunità

Guatemala: Ríos Montt sarà processato per genocidio

I responsabili dello sterminio dei maya non sono più intoccabili
30 gennaio 2013
David Lifodi

internet A 86 anni suonati Ríos Montt, il vecchio macellaio  presidente del Guatemala dal 23 marzo 1982 all’8 agosto 1983 e, soprattutto, fautore dell’operazione tierra arrasada (terra bruciata), quella che rase al suolo decine e decine di villaggi maya e sterminò le comunità indigene che vi abitano, sarà processato per genocidio.

È una decisione coraggiosa per almeno due motivi quella presa dal giudice Miguel Ángel Gálvez. Innanzitutto perché dà un segnale chiaro: i responsabili del genocidio maya non sono più intoccabili e non possono godere dell’impunità di cui si sono approfittati finora. In secondo luogo, il processo a Montt rappresenta per tutto il paese un’opportunità di riscatto e manda un messaggio chiaro all’attuale presidente guatemalteco, quell’Otto Pérez Molina che ha partecipato attivamente allo sterminio degli indigeni negli anni ottanta, tanto che il suo nome è apparso nei documenti del Plan Victoria 82 e del Plan Sofía, i due piani militari in cui si pianificava il genocidio ai danni della popolazione del Triangulo Ixil, la regione che comprende i municipi di Nebaj, Chajul e Cotzal, a nord del dipartimento del Quiché. La sentenza che costringe Ríos Montt e il suo sodale José Mauricio Rodríguez Sánchez (ex generale in pensione, allora tra i più influenti dell’esercito) era attesa da giorni. L’ex presidente guatemalteco, su cui pesa la responsabilità di 15 massacri nel Quiché (ma gliene sono attribuiti molti di più, tra cui quello avvenuto sempre nel 1982 nel villaggio di Dos Erres, dipartimento del Péten), la morte di circa duemila persone e lo sfollamento di decine di migliaia di famiglie, oltre a risultare l’ispiratore morale della fase più acuta del conflicto armado,  era riuscito a rimandare l’audencia judicial per un anno, grazie ad una serie di cavilli che erano quasi serviti a realizzare il suo disegno, quello di togliere il caso dalle mani del giudice Miguel Ángel Gálvez. L’ex dittatore sperava ormai di cavarsela con gli arresti domiciliari (a cui era stato obbligato finora), o addirittura di farla franca con l’amnistia, grazie alla Ley de Reconciliación Nacional, che prevede l’estinzione della responsabilità penale per i delitti politici commessi durante gli anni del conflitto armato, comunque una sorta di ammissione di colpevolezza. Il Guatemala, a differenza dell’Argentina, paese dove negli ultimi anni militari di primo piano sono stati condannati per aver sequestrato e torturato i desaparecidos, per la prima volta ha l’occasione di fare i conti con il suo passato, e le dichiarazioni di innocenza dell’avvocato di Montt, quel Danilo Rodríguez che negli anni ’80 faceva addirittura parte dei guerriglieri delle Far (le Forze Armate Rivoluzionarie), ma adesso passato dall’altra parte della barricata pur di giurare sull’innocenza del suo assistito, suonano davvero paradossali. In un tragico gioco allo scaricabarile, in Argentina, Uruguay e in tutto il Cono Sur i militari tratti in arresto cercano di giustificarsi sostenendo che si sono limitati ad obbedire agli ordini dei loro superiori (la cosiddetta obediencia debida), ma Ríos Montt e il suo avvocato (che pure in qualità di ex militante delle Far per ben ventidue anni avrebbe dovuto sapere bene come andavano le cose) sostengono che l’ex presidente non era a conoscenza dei massacri avvenuti nel Triangulo Ixil, non era stato informato nel dettaglio delle azioni compiute dalle Patrullas de Autodefensa Civil (Pac, una delle polizie politiche più violente del continente) e, infine, non aveva mai ordinato di sterminare i maya in quanto nemici interni. Senza alcuna vergogna, l’avvocato Danilo Rodríguez si è spinto oltre: ha detto che se Ríos Montt verrà condannato sarà commessa una palese ingiustizia: la magistratura dovrebbe perseguire i veri responsabili, ma questo si configura come un linciaggio. Dall’altra parte la replica del giudice Gálvez è stata fin troppo facile: la legge militare prevede che le decisioni siano gerarchiche e quindi verticali, di conseguenza la più alta linea di comando è sempre informata sulle modalità di azione dei suoi sottoposti. Di più: sono gli stessi vertici militari ad ordinare le azioni da compiere. Insieme a Montt e José Mauricio Rodríguez Sánchez c’erano anche Óscar Mejía Víctores, ministro della Difesa, ed Hèctor Mario López Fuentes, capo di stato maggiore. Nonostante la mobilitazione delle decrepite, ma ancora influenti gerarchie militari, e le pressioni su Gálvez, il Guatemala si appresta a celebrare il primo processo per genocidio della sua storia: il conflitto armato causò più di duecentomila vittime tra morti accertati e desaparecidos dal 1960 al 1996 nel segno di un attacco indiscriminato agli indigeni maya, accusati di offrire supporto ai guerriglieri, nel nome dell’anticomunismo e della guerra fredda. Il 26 aprile 1998, il giorno successivo alla pubblicazione del volume Guatemala: Nunca más, monsignor Juan Gerardi, curatore del volume e strenuo difensore dei diritti delle comunità indigene, fu ucciso al rientro nella sua casa parrocchiale. Eppure qualche piccolo passo era stato fatto anche prima dell’obbligo di comparire a giudizio per Ríos Montt. Nel 2011 vennero condannati al carcere alcuni militari responsabili del massacro di Dos Erres: la pena fu epocale, 6060 anni di prigione, anche se i mandanti morali di quella mattanza non furono mai indagati. Sembra che dietro all’azione del 4 dicembre 1982, condotta ufficialmente contro la guerriglia (riunitasi nel frattempo sotto la sigla Unidad Reovolucionaria Nacional Guatemalteca), ci sia stato ancora una volta il dittatore Montt: quel giorno furono uccise almeno duecento persone, in gran numero anche donne e bambini. Qualche mese prima, il 18 luglio 1982,  fu perpetrata la mattanza di Plan de Sánchez (dipartimento di Baja Verapaz), conclusasi con l’assassinio di 256 indigeni: anche in quel caso l’accusa fu di collaborazione con i guerriglieri. Per questo episodio sono stati comminati 7710 anni a cinque paramilitari. Nonostante le minacce ai sopravvissuti e ai parenti degli scomparsi, provenienti dagli alti comandi militari, nel 1994 una squadra di antropologi forensi esumò le salme sepolte in un cimitero clandestino: lì furono trovati i resti dei corpi di 84 persone ammassati in fosse comuni. Finalmente, nel 2011, lo stato fu riconosciuto responsabile della strage di Plan de Sánchez (anch’essa avvenuta sotto la presidenza Montt) e i patrulleros furono condannati.

La giustizia guatemalteca, seppur con fatica e lentezza, in queste circostanze ha dato prova di coraggio: fino a pochi anni fa pareva impossibile che dei militari fossero condannati, anche se per delitti atroci. Per l’associazione Familiares y Amigos Desaparecidos Guatemala (Famdegua) si tratta di un passo importante dedicato alla memoria della popolazione maya-ixil in un paese dove è ancora molto forte il razzismo nei confronti degli indigeni, che pure rappresentano una parte consistente della popolazione. La strada per portare in carcere Ríos Montt e José Mauricio Rodríguez Sánchez non sarà comunque semplice. La figlia dell’ex dittatore, Zury Ríos, che durante la lettura della sentenza si è seduta ben lontano dai parenti dei desaparecidos in segno di disprezzo, ha già gridato alla lesa maestà e, per ripulire la figura di suo padre, ha deciso di mettere fine alla storia del Frente Republicano Guatemalteco (Frg), per anni contenitore degli uomini dell’estrema destra. Sulle sue ceneri, da alcuni giorni, è sorto il Partido Republicano Institucional (Pri), un clone del suo omologo messicano: una pericolosa emulazione in cui cambia il nome del partito, ma le facce, l’ideologia e la ferocia dei sui militanti resta la stessa.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it.
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