Guatemala: annullata la condanna a Ríos Montt
È andata così anche stavolta: il segretario della Corte Costituzionale, Martin Guzman, ha motivato l’annullamento spiegando che era necessario esaminare i ricorsi presentati dalla difesa. Eppure il responso della Corte, che ha strappato al carcere un anziano di 86 anni il quale, al pari di Videla e di tanti altri militari che hanno seminato il terrore in America Latina, non ha mai chiesto scusa per le atrocità commesse, non è stato unanime, anzi. La decisione favorevole a Montt è stata presa con tre voti favorevoli e due contrari. Mauro Rodrigo Chacón e Gloria Porras, i due che hanno motivato il loro voto per il mantenimento della condanna, sono espressione rispettivamente dell’Universidad de San Carlos, tristemente nota per le sparizioni degli studenti durante gli anni del conflitto armato, e dell’esecutivo dell’ex presidente Alvaro Colom. Attualmente non è ancora chiaro quando ripartirà il processo contro Montt, ma è evidente che ogni giorno che passa rappresenti una giornata in più di libertà per il responsabile dei piani militari Victoria 82 e Firmeza 83, due tra i progetti più feroci di sterminio delle comunità maya, dei movimenti sociali e dei militanti legati alla Pastorale Sociale della chiesa. Sebbene la revoca della condanna a Montt rappresenti un innegabile passo indietro a livello giuridico, ma soprattutto evidenzi l’enorme potere dell’oligarchia latifondista e terrateniente (il Comité Coordinador de Asociaciones Agrícolas, Comerciales, Industriales y Financieras ha salutato la libertà riacquistata dall’ex mandatario come “una buona notizia per il paese”), alcuni analisti politici hanno sottolineato come la condanna a 80 anni, antecedente al verdetto della Corte Costituzionale, abbia comunque sfidato i poteri forti del paese: nessuno, scrive ad esempio Rebelíon, “solo dieci anni fa avrebbe immaginato di vedere Montt al banco degli imputati” e tantomeno di poter assistere alla sua condanna, uno sgarro che lo stesso ex presidente non avrebbe mai pensato di tollerare in un paese in cui non si muoveva foglia senza che lui non volesse. Tutto ciò è senza dubbio vero, così come è innegabile che le battaglie per la difesa dei diritti umani sono difficili da vincere, ma non si può far a meno di pensare che il vecchio macellaio guatemalteco sia riuscito a farla franca anche stavolta. Il Mininotiziario America Latina dal basso, curato da Aldo Zanchetta e divulgato il 18 maggio scorso, solo pochi giorni prima della nuova sentenza della Corte Costituzionale, faceva riferimento ad un documento farneticante, pubblicato in internet e firmato da una non meglio conosciuta “fondazione contro il terrorismo”, che definisce il genocidio maya come “un’invenzione dei terroristi marxisti che permette loro di ricevere sovvenzioni dall’estero per continuare le attività sovversive”. Si tratta delle idee di cui si è fatto portatore per tutta la vita lo stesso Montt e quell’elite razzista e alto borghese che tuttora considera i maya alla stregua degli animali, li utilizza per i lavori più umili e ne depreda le terre con la costruzione delle centrali idroelettriche e lo sfruttamento intensivo dell’estrazione mineraria. In Guatemala, nota ancora il Mininotiziario, il numero dei morti di questi ultimi anni è addirittura superiore a quello del periodo conosciuto come conflitto armato: nel mirino anche i sacerdoti vicini alle comunità indigene e contadine, ad esempio Alvaro Ramazzini. I difensori di Montt sono i primi eversori della legge: Francisco García Gudiel lo scorso 19 marzo fu espulso dall’aula mentre cercava di impedire l’avvio del dibattimento, mentre Francisco Palomo ha più volte definito come illegale la condanna ad 80 anni di carcere emessa dalla giudice Jazmíne Barrios. È in questo contesto che gli squadroni della morte possono continuare ad agire indisturbati, legittimati da uno stato assente e ancora oggi fondato sull’alleanza tra i grandi proprietari terrieri, l’esercito, ed una zona grigia a cui non dispiace la presidenza di Otto Pérez Molina, che governa a suon di decreti di stato d’assedio e non a caso soprannominato “Mano Dura”.
La sentenza della Corte Costituzionale genera un senso di rabbia e impotenza, ma resta la speranza in quei movimenti sociali che negli ultimi anni hanno percorso un paese ancora fortemente conservatore sfidandolo coraggiosamente per esprimere la loro resistenza alla saccheggio delle risorse naturali, alla cancellazione dei diritti sindacali e al tentativo di far cadere nell’oblio la memoria dei desaparecidos.
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