Latina

Occultate le prove del massacro di Curuguaty

Paraguay: l’ex presidente Franco ammette che il golpe contro Lugo era stato preparato nei dettagli

Sotto la presidenza Cartes il paese ha fatto enormi passi indietro a livello di diritti civili, umani e sociali
26 giugno 2014
David Lifodi

internet Il 15 giugno 2012 in Paraguay si verificò uno degli episodi più gravi ai danni dei campesinos nella storia del paese e, forse, dell’America Latina: i contadini avevano occupato la terra di Blas Riquelme, latifondista tra i più ricchi e reazionari del continente, oltre ad essere senatore del destrorso Partido Colorado. La polizia intervenne per ripristinare l’ordine e far desistere i campesinos dalla loro manifestazione, finalizzata al riconoscimento della terra di Marina Cue da parte dello stato: in quelli che sono stati definiti erroneamente come “scontri” con le forze dell’ordine, rimasero uccisi sei militari e undici contadini. In realtà, si trattò di una vera e propria aggressione compiuta dalla polizia.

Allora l’esecutivo del presidente Fernando Lugo era già traballante: la sua coalizione, una precaria maggioranza di centrosinistra che per la prima volta governava il paese, aveva suscitato forti aspettative, ma l’alleanza, a cui aderirono anche partiti tutt’altro che progressisti, vedi il Partido Liberal Radical Auténtico (Plra), aveva già cominciato a sfaldarsi: i giochi di palazzo per rovesciare l’ex monsignore erano iniziati da tempo. Federico Franco, vicepresidente di Lugo e tra i golpisti della prima ora, ha rivelato pochi giorni fa, in maniera ipocrita, che la mattanza di Curuguaty, dove morirono poliziotti e campesinos, era stata ampiamente preparata per rovesciare l’ex vescovo dei poveri. Bontà sua, Franco sostiene di aver assunto la presidenza del paese, a cui mirava da tempo, solo per evitare di passare come “codardo” agli occhi della classe politica paraguayana, e rivela che la polizia non aveva ricevuto l’ordine di sgomberare con la forza i contadini senza terra: il loro intento avrebbe dovuto essere solo quello di far desistere pacificamente i campesinos dal proseguire la manifestazione. Va ricordato che Franco approvò immediatamente l’iter parlamentare che portò alla destituzione di Lugo, con i voti dei colorados e del Plra. Per quanto possa sembrare paradossale, dal massacro di Curuguaty è derivato lo stato d’arresto per 13 contadini, accusati di associazione per delinquere e invasione indebita della terra e per dieci di loro c’è anche il capo d’imputazione di tentato omicidio ai danni dei poliziotti. Nei mesi scorsi, prima di ottenere gli arresti domiciliari, alcuni dei campesinos arrestati hanno dato vita ad un lunghissimo sciopero della fame che avrebbe potuto avere conseguenza drammatiche. Il processo nei loro confronti, momentaneamente sospeso e per il quale la difesa dei senza terra ha chiesto il trasferimento dal tribunale di Saltos del Guairà (dove per motivi di spazio non sono ammesse ad assistere più di quindici persone) a quello della capitale Asunción (per le delegazioni di giuristi internazionali sarebbe più semplice partecipare e monitorare il processo) è stato caratterizzato da irregolarità e menzogne di ogni tipo: per questo i campesinos in carcere hanno sempre sostenuto che la soluzione del problema era di natura politica e, ancora per questo motivo, hanno chiesto  che lo stato si facesse carico delle proprie responsabilità per il massacro di Curuguaty, cosa mai avvenuta. Inoltre, per la morte degli undici campesinos la giustizia paraguayana non ha mai chiamato nessuno sul banco degli imputati. Nel corso del processo è sparito, non certo casualmente, un video che testimoniava la presenza di un elicottero che sorvolava la zona di Marina Cue e che avrebbe partecipato alla sparatoria contro i contadini. È nota anche l’estrema parzialità del fiscal Jalil Rachid, da sempre vicino alla bancada latifondista, spintosi ad  ipotizzare che la sessantina di contadini presenti alla manifestazione fossero armati ed avessero tratto in un’imboscata i trecento militari inviati dallo stato utilizzando donne e bambini. La destituzione di Lugo fu votata a tempo di record dal Parlamento, dove la destra aveva la maggioranza, sfruttando come casus belli i fatti di Curuguaty, sui quali il presidente non era stato in grado di adempiere al suo ruolo. Paradossalmente, Lugo fu accusato di essere il responsabile della strage perché non aveva saputo gestire la situazione, nonostante ci fosse già una richiesta dell’Instituto de Desarrollo Rural y de la Tierra (Indert) per sospendere lo sgombero poiché le terre di Marina Cue non appartenevano più a Riquelme, ma allo stesso ente statale, fin  dal 2004. Purtroppo l’Indert non aveva ratificato, per scritto, che la terra di Marina Cue avrebbe dovuto avere come beneficiario lo stato, per questo Blas Riquelme, che nel frattempo è deceduto, l’ha sempre rivendicata come propria. Questo episodio è solo uno dei tanti che dimostra i passi indietro del Paraguay in materia di diritti umani, civili e sociali, come hanno scritto, tra gli altri, Frente Guasu, Paraguay Pyhaura e la Federación Nacional Campesina in una lettera inviata all’Osa, l’Organizzazione degli Stati Americani. Nella missiva si fa riferimento all’eliminazione di leader contadini e di sindacalisti, allo sgombero violento di intere comunità rurali e alla chiusura delle radio comunitarie, rimaste l’ultimo baluardo della libertà di espressione. Infine, nella lettera viene fortemente messa in discussione la Ley de Alianza Público-Privada (che permette l’appalto di opere  pubbliche alle imprese private e svende la sovranità territoriale del paese), imposta dal presidente Horacio Cartes, principale responsabile del regime non dichiarato, ma imposto di fatto, a un intero paese. Peraltro il suo predecessore, Federico Franco, aveva già aperto le porte del Paraguay alle multinazionali autorizzando le coltivazioni del seme transgenico del cotone, prodotto da Monsanto, e concedendo all’impresa petrolifera Dahava Petróleos la possibilità di estrarre il petrolio nella regione del Chaco, quella dove dal 1932 al 1935 si consumò la guerra tra Bolivia e Paraguay per volontà della Standard Oil, interessata ai giacimenti petroliferi della zona. Inoltre Cartes, sfruttando il cosiddetto pacto azulgrana (tra la destra del Partido Colorado e quella del Partido Liberal Radical Auténtico), si è arrogato il potere di esser il comandante supremo delle Forze Armate e utilizzarle per reprimere i conflitti interni. E ancora, all’insegna del peggior neoliberismo, il presidente ha deciso un significativo aumento del biglietto del trasporto pubblico, l’ultima misura presa prima che il 26 marzo scorso un imponente sciopero generale bloccasse l’intero paese.

Dall’esito del processo ai contadini dipenderà probabilmente quello di un paese oppresso da una democratura pericolosa e attaccata al potere.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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