Ore convulse in Honduras
Di fronte ai locali della Procura a Tegucigalpa e nella piazza centrale di El Progreso, i famigliari dei tre detenuti politici, più quelli di un quarto giovane (Gustavo Cáceres), insieme ad attivisti del Comitato per la liberazione dei prigionieri politici, hanno iniziato un digiuno in solidarietà con i quattro detenuti.
“Abbiamo subito aggressioni, attacchi fisici e verbali e persino minacce di morte. Abbiamo presentato le rispettive denunce, ma le autorità non solo ci hanno ignorato, ma ci sono diventate ancora più ostili. Sono arrivate al punto di chiuderci in una cella improvvisata che non soddisfa i requisiti minimi", hanno denunciato in un messaggio diffuso da famigliari ed attivisti.
Per salvaguardare la propria integrità fisica, Edwin, Raúl e Rommel hanno deciso di denunciare pubblicamente quanto stesse accadendo.
“Oggi 5 agosto abbiamo iniziato uno sciopero della fame per farci ascoltare. Non riuscirete mai a farci tacere e le nostre voci risuoneranno ogni volta che la disuguaglianza sociale prevarrà sui diritti delle persone. Abbiamo scelto il percorso più difficile: la dignità invece del servilismo, la pace invece della violenza, la libertà invece dell'oppressione, la lotta per costruire un mondo migliore".
Dopo le elezioni di novembre 2017 la popolazione è scesa in piazza a protestare contro i brogli. Più di 30 persone sono state uccise dalla polizia e dai militari, molte altre sono state perseguitate, picchiate, catturate e processate per delitti inesistenti. La maggior parte di loro ha potuto difendersi in libertà.
Edwin, Raúl e Gustavo sono invece ancora in carcere in attesa di giudizio. Nel loro caso è stato flagrantemente violato il principio del giusto processo e quello d’imparzialità.
Lo stesso è accaduto mesi dopo a Rommel Herrera Portillo, un giovane insegnante di 23 anni, vittima del falso positivo dell'incendio del portone dell'ambasciata statunitense il 31 maggio scorso, durante le manifestazioni di protesta della Piattaforma per la difesa della salute e dell'istruzione.
Juan Orlando alla sbarra
Secondo un documento reso pubblico dalla catena televisiva Univision, la Procura di New York avrebbe segnalato il governante honduregno (CC-4) per aver finanziato la sua campagna elettorale del 2013 con circa 1,5 milioni di dollari provenienti dal narcotraffico.
Nel documento di 49 pagine si segnala anche il coinvolgimento di almeno un altro ex presidente, che secondo le descrizioni fatte dalla procura dovrebbe essere il predecessore di Hernández, Porfirio Lobo Sosa (CC-3) e dell’attuale ministro della Presidencia, Ebal Díaz (CC-5). Coinvolti anche politici honduregni e poliziotti.
Il figlio di Porfirio Lobo, Fabio Lobo, è invece già stato condannato nel 2017 a 24 anni di prigione e 5 anni di libertà vigilata per traffico di droga.
Caso Pandora
Univision ha anche rivelato questa settimana i retroscena del famoso caso di corruzione di funzionari pubblici “Pandora”. Secondo la catena televisiva statunitense sarebbero almeno 360 i deputati, ex deputati e funzionari del governo coinvolti nelle indagini della Missione contro la corruzione e l’impunità in Honduras (Maccih/Osa) insieme all’Unità speciale della procura contro la corruzione e l’impunità (Ufecicmp).
L’accusa è di avere utilizzato organizzazioni senza scopo di lucro fantasma per deviare fondi dello Stato - principalmente destinati a finanziare progetti agricoli del Ministero dell’agricoltura - e finanziare campagne elettorali del partito di governo. Tra gli accusati anche la sposa di Juan Orlando Hernández e “primera dama” Ana García Carías, la sorella - già deceduta - Hilda Hernández e il cognato Jean Francois Marie de Peyrecave.
Sarebbero almeno 53 le organizzazioni no profit coinvolte nello scandalo
che hanno ricevuto oltre 70 milioni di dollari nell’ultimo decennio e che hanno poi usato per finanziare campagne politiche e influenzare gli appuntamenti elettorali.
Honduras mobilitata
Le accuse contro il presidente Hernández, la sua famiglia e i suoi principali collaboratori ha incendiato nuovamente il paese e la popolazione è ritornata a riempire strade e piazze.
La Piattaforma per la difesa della salute e l’istruzione ha convocato tutti settori della società honduregna a unirsi per raggiungere un unico obiettivo: la rinuncia di Juan Orlando Hernández.
E mentre le manifestazioni si moltiplicano e la polizia e i militari reprimono, gli Stati Uniti, impauriti di fronte a quello che considerano un salto nel buio per un paese che è tornato a essere il loro “gendarme in Centroamerica”, fanno nuovamente sfoggio della propria proverbiale ipocresia, lanciando un salvagente al presidente honduregno e blindando il suo governo.
Un silenzio che parla più di mille parole è invece quello di organismi dei diritti umani, come per esempio la Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh), o di organizzazioni di carattere regionale, come l’Organizzazione degli stati americani (Osa), sempre molto reattivi quando si tratta di condannare paesi come Cuba, Nicaragua e Venezuela e particolarmente attenti all’uso di parole e azioni, per non dire muti, quando si tratta dell’Honduras o delle tragedie di paesi del continente latinoamericano che gravitano all’interno dell’orbita di Washington.
[1] Aggiornamento: venerdì 9 agosto a Edwin Espinal e Raúl Álvarez sono stati concessi gli arresti domiciliari. Durante l'udienza per la revisione delle misure cautelari, il giudice non ha potuto non riconoscere le gravi arbitrarietà commesse e il fatto che la carcerazione preventiva rispondesse più a una logica di castigo che di giustizia ed ha disposto l'immediata scarcerazione degli imputati. Álvarez dovrà comunque aspettare la revisione delle misure cautelari per un altro caso in cui è imputato prima di potere uscire dal carcere di massima siurezza. Nel caso di Rommel Herrera, i primi di settembre verrà presentata dai suoi legali la stessa richiesta, con buone possibilità di essere accolta.
Fonte: Altrenotizie
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