Colombia: sulla strada di Gustavo Petro verso Palacio Nariño si intromette Hernández
Dal primo turno emerge quindi il fallimento della destra uribista, che aveva scommesso sull’ex sindaco di Medellín per sbarrare la destra a Petro, ma si aggiunge anche un pizzico di delusione. Alcuni sondaggi assegnavano la vittoria all’ex guerrigliero dell’M-19 già al primo turno, ma adesso Petro e Francia Márquez saranno costretti ad altre tre settimane di campagna elettorale in cui la destra radicale uribista e l’oligarchia faranno l’impossibile per spostare i voti del suo elettorato a Hernández. Non solo: per vincere al primo turno occorreva ottenere il 50% dei voti e adesso il maggio timore è che il Pacto Histórico abbia già raggiunto il massimo dei voti possibili e che le destre si coalizzino per sconfiggere Petro.
Forte dello slogan “No robes, no mientas, no traiciones”, l’ex sindaco di Bucamaranga ha sfruttato al meglio il sentimento populista diffusosi nel paese, oltre a ribadire la sua tolleranza zero nei confronti dei movimenti sociali e, ancora di più, verso quelli guerriglieri. Da parte sua, Gutiérrez ha già fatto sapere che appoggiare il candidato della Liga Anticorrupción, ingegnere civile di 77 anni, è l’unica strada possibile per evitare di “mettere a rischio il futuro della Colombia”.
Sebbene Petro abbia ormai abbracciato gli ideali della socialdemocrazia, gli uribistas hanno già iniziato a ripetere il solito ritornello tipico di queste circostanze: “Se vince Petro vincerà il comunismo”. Come è facile immaginare, anche gli Stati uniti non vedono di buon occhio un successo di Petro perché il programma dell’ex sindaco di Bogotá, all’insegna della giustizia sociale, del dialogo con i movimenti guerriglieri e di un forte impegno per raggiungere una vera pace nel paese, di certo allontanerebbe la Colombia da quel ruolo di gendarme che finora ha sempre esercitato nei confronti degli altri paesi ribelli dell’America latina, a partire dal Venezuela.
Si tratta proprio di due visioni diverse del paese, da una parte quella di Petro, dall’altra quella di Hernández e della sua Liga Anticorrupción. L’ingegnere ha dalla sua il sostegno dell’estrema destra, con la quale condivide l’odio verso i guerriglieri delle Farc che, nel 1994, avevano rapito sua figlia e lo costrinsero a pagare un riscatto. Se Hernández vincerà, la Colombia continuerà ad essere un paese escludente rispetto a quello prefigurato da Gustavo Petro e Francia Márquez, quarantenne, nera e una vita trascorsa nei movimenti femministi e ambientalisti che ha chiuso la campagna elettorale con un discorso commovente: “Una mujer que le enseñaron a sentir vergüenza de su color de piel, pero debemos sentirnos orgullosas de nuestra negrura, soy una mujer a la que le tocó aprender de sus ancestros, que fueron hombres y mujeres libres que luego fueron esclavizados. Desde que me di cuenta que mis ancestros fueron libres, me sentí orgullosa de mi historia”.
Da qui al 19 giugno saranno numerosi gli ostacoli sulla strada di Gustavo e Francia. Solo pochi giorni prima del voto è emerso che molti imprenditori hanno fatto pressione sui loro dipendenti affinché non votassero per il Pacto Histórico: “Un empleado que vote por Petro no cabe en mi esquema empresarial y simplemente se tiene que ir”, hanno sostenuto gran parte degli esponenti dell’uribismo minacciando apertamente il licenziamento di tutti i loro lavoratori che avessero scelto di esprimere la loro preferenza per Petro.
L’eventualità che, per la prima volta nella sua storia, la Colombia possa avere un governo di sinistra, ha preoccupato non poco l’oligarchia, timorosa di perdere quello status quo di cui ha sempre goduto. In una campagna elettorale caratterizzata da un altissimo tasso di violenze, Rodolfo Hernández non solo ha prosciugato parte del serbatoio di voti uribista presentandosi come candidato “centrista” e sparando a zero contro tutta la classe politica, ma, rispetto a Gutiérrez, che secondo i sondaggi era comunque dato come perdente contro Petro al secondo turno, potrebbe realmente impensierire il candidato del Pacto Histórico, sfruttando al meglio anche il buon numero di voti conquistati da un’altra formazione di estrema destra, Salvación Nacional, che non perde occasione per riferirsi a Petro come a “el aspirante a tirano”.
Tuttavia, il discorso qualunquista di Rodolfo Hernández finge di non ricordare che la corruzione è figlia della debolezza di uno Stato che ha sempre mantenuto una stretta relazione con le organizzazioni criminali, dai paramilitari ai cartelli del narcotraffico e, se la Colombia è sull’orlo del disastro dal punto vista economico, ma anche morale e istituzionale, le responsabilità non sono certo da imputare a Petro o a quella parte di paese da sempre esclusa, nel migliore dei casi, se non massacrata (sindacalisti, comunità indigene, militanti di Unión Patriótica ambientalisti, donne, studenti e migliaia e migliaia di desplazados) dalle stesse istituzioni, dalle multinazionali e da un apparato militare tra i più violenti dell’intera America latina.
Il 19 giugno in ballo non c’è solo Palacio Nariño, ma la Colombia Humana (dal nome della coalizione che ha accompagnato il tortuoso percorso elettorale di Gustavo Petro e Francia Marquéz tra intimidazioni e minacce di morte) che si contrappone ad una retorica pericolosamente populista a cui l’estrema destra uribista si aggrappa, dopo il voltafaccia di gran parte dell’elettorato nelle urne, per mantenere i suoi privilegi.
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