L’abisso boliviano
Lo scambio di accuse, divenuto ormai quotidiano, soprattutto su X, è sempre lo stesso. Ad Arce viene imputato di aver distrutto il Mas e a Morales di gettare alle ortiche i progressi raggiunti dalle classi popolari in 14 anni di lotte sociali. Nel frattempo, la Bolivia si trova sull’orlo dell’abisso.
La guerra aperta tra Arce e Morales si è ripercossa, inevitabilmente, sui movimenti sociali e indigeni, soprattutto a seguito del tentativo di Evo di candidarsi per un terzo mandato nonostante ciò sia vietato dalla Costituzione. Sembrano assai lontani i tempi in cui Arce vinse le presidenziali con l’intero Mas al suo fianco dopo il colpo di stato che, nel 2019, aveva sconfitto Morales. Allora il Movimiento al Socialismo era un partito coeso e compatto. Nel 2023, il Tribunal Constitucional Plurinacional, sospendendo la possibilità di una rielezione a tempo indefinito, in pratica ha escluso Morales dalle presidenziali del prossimo 17 agosto e, da allora, in più circostanze, ci sono stati violenti scontri all’interno del partito.
Di fronte a questa divisione ormai insanabile, le forze di destra ed estrema destra boliviane e latinoamericane assistono compiaciute, al pari degli Usa, che stavolta, probabilmente, non dovranno intervenire in alcun modo visto che il Mas ha deciso di autodistruggersi da solo e, anzi, sarà più facile, in un contesto profondamente mutato, saccheggiare il paese, ricco di litio e di idrocarburi.
L’appello di Luis Arce, che ha reso pubblica la sua intenzione di non ricandidarsi per sostenere il Presidente del Senato, Andrónico Rodríguez, in un estremo quanto vano tentativo di richiamare l’elettorato progressista all’unità, sembra essere caduto nel vuoto. Del resto, si è trattato di una presa di posizione decisamente tardiva, dopo essersi battuto in ogni modo per scippare la sigla del Mas a Morales il quale, a sua volta, intende essere a qualsiasi costo l’ago della bilancia, ma non si capisce bene se voglia boicottare il processo elettorale oppure essere presente in un qualche modo.
In quello che si configura sempre più come un vero e proprio rompicapo, il Tribunale Supremo Elettorale, pur avendo confermato, in più gradi di giudizio, l’esclusione di Morales dalle presidenziali, deve fare i conti con la testardaggine di Evo, il quale ha fatto carte false per poter essere sostenuto da un partito legalmente riconosciuto.
Ad alimentare la confusione ha contribuito il riposizionamento di Andrónico Rodríguez, presidente trentaseienne del Senato, inizialmente assai vicino a Morales, ma adesso lontano sia da quest’ultimo sia dall’attuale presidente Arce. La sua equidistanza dai due contendenti potrebbe aiutarlo in una contesa elettorale dove la sinistra è divisa in tre blocchi. Oltre ad Andrónico Rodríguez saranno in campo, sempre per il Mas, Eduardo Del Castillo, ex ministro dell’Interno, nonché la sindaca di El Alto, Eva Copa, ex appartenente al Mas e trasferitasi al partito Morena (Movimiento Renovación Nacional).
La situazione resta assai confusa e, l’unica certezza, riguarda il sicuro indebolimento delle organizzazioni popolari, a loro volta divise al proprio interno. Alla crisi politica si è affiancata quella economica: sono sempre più frequenti i casi di carenza di carburante, l’inflazione cresce e le ricette dei due contendenti per risolvere i problemi del paese sembrano essere inadeguate. Il probabile ritorno di un candidato di destra a Palacio Quemado aprirebbe le porte al peggior neoliberismo, all’estrattivismo selvaggio, nonché rappresenterebbe un colpo durissimo da incassare per un Mas diviso e allo sbando. In questo contesto, la figura di Andrónico Rodríguez, sostenuto comunque dalla parte dei movimenti sociali filo-evisti, rispetto all’arcismo, che trae forza soprattutto da una burocrazia assai distante dalle organizzazioni popolari, potrebbe rappresentare un compromesso accettabile per l’elettorato di sinistra, soprattutto perché Eduardo Del Castillo sembra assai lontano dall’identificarsi come esponente della sinistra alternativa.
Inoltre il contrasto tra Morales e Arce si configura come un favore enorme alle destre che, pur essendo avanti nei sondaggi, presentano progetti tutt’altro che innovativi, al pari dei loro candidati. Hanno già conosciuto la sconfitta in precedenti elezioni presidenziali personaggi quali Samuel Doria Medina (Unidad Nacional), un opportunista ossessionato dalla volontà di privatizzare tutto, Tuto Quiroga, vecchio esponente dell’oligarchia boliviana che correrà per Libre, coalizione composta dall’ambiguo Fronte della Sinistra Rivoluzionaria e dal Movimento Democratico e Sociale (MDS) e Manfred Reyes Villa (Autonomía Para Bolivia), uno dei separatisti dell’Oriente boliviano nei primi anni delle vittorie eviste. In più, si aggiunge Jaime Dunn, definito come il Milei boliviano.
Difficilmente la Bolivia riuscirà a scampare la tormenta politica, economica e sociale che l’attende: alla crisi di egemonia interna al Mas si somma la mancanza di proposte credibili delle destre. Il vincitore delle presidenziali, chiunque sia, sarà eletto da una minoranza della popolazione poiché, attualmente, nessun progetto politico ha la ricetta per risolvere, o quantomeno governare, i gravi problemi che deve affrontare il paese a livello economico, sanitario e occupazionale.
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