Il Cile in KASTigo

Del resto, dopo il primo turno dello scorso 16 novembre l’esito sembrava essere scontato, sebbene i sondaggi commissionati da Jeanette Jara, vincitrice con circa il 27% nella prima tornata elettorale, già segnata dalla crescita dei voti di tutti i candidati di destra (presentatisi divisi, ma unitisi al ballottaggio del 14 novembre), facessero intravedere un minimo barlume di speranza.
La vittoria di Kast (Partito Repubblicano) è stata netta con il 58,3% dei consensi rispetto al 41,7% della candidata delle sinistre. “Ha vinto la speranza di vivere senza paura”, ha affermato José Antonio Kast nelle sue prime parole dopo la vittoria che lo porterà alla guida del paese a partire dall’11 marzo 2026, facendo già capire che il suo mandato sarà all’insegna delle politiche securitarie.
Pur avendo imparato dalla sconfitta nelle scorse presidenziali, quando fu battuto dal presidente uscente Gabriel Boric, che aveva raggiunto la Moneda sfruttando l’ondata dell’estallido social del 2019, dovuta anche all’utilizzo di un linguaggio politicamente scorretto caratterizzato da aperti richiami al pinochettismo, ancora oggi Kast, pur avendo moderato la sua retorica fingendo di presentarsi come conservatore, resta un riferimento dell’estrema destra latinoamericana e nordamericana, non a caso i primi a complimentarsi per il suo successo sono stati il segretario di Stato Usa Marco Rubio e il presidente argentino Javier Milei. Il rispetto sbandierato ad urne chiuse per la sua sfidante, Jeanette Jara, non deve ingannare: Kast incarna i valori del pinochettismo.
Il futuro presidente del Cile ha impostato infatti l’intera campagna elettorale sull’importanza del voto anticomunista, nonostante il programma di Jeanette Jara fosse principalmente di stampo socialdemocratico e si inserisse in quell’alternanza tra centrodestra e centrosinistra all’insegna di un ordine comunque neoliberale caratterizzato dalle presidenze di Piñera, Bachelet e Boric, tanto che alla fine gli elettori hanno visto proprio in Kast la possibilità di quel cambio radicale non arrivato né con il piñerismo né con la Concertación che, a sua volta, ha legittimato sia l’imposizione dello stato d’assedio, soprattutto nei territori mapuche, sia la criminalizzazione del movimento studentesco e delle lotte sociali.
Purtroppo la vittoria di Kast non farà altro che accrescere quel sistema repressivo e autoritario, applicato solo in parte da Piñera e che la Concertación e lo stesso Boric avevano provato a gestire in una maniera forse soltanto leggermente meno dura. È amara l’analisi dello storico Sergio Grez: “Viviamo in un clima di restaurazione conservatrice dal 15 novembre 2019, quando fu siglato il cosiddetto Acuerdo por la Paz Social y la Nueva Constitución che sanciva, di fatto, una democrazia nel segno di un sistema economico e sociale neoliberista”.
È in questo contesto che la sinistra, ogni volta che è riuscita a far eleggere un suo rappresentante alla guida del paese dalla fine del pinochettismo, si è limitata solo ad addolcire le ricette della destra, devota alle privatizzazioni, alla gestione militare dell’ordine pubblico e alle politiche indotte dai diktat Usa, basti pensare ai tentativi di cooptare i dirigenti studenteschi promotori del conflitto sociale, a partire dallo stesso Gabriel Boric che, una volta divenuto presidente, ha finito per legittimare questo stesso sistema, tanto da essere un po’ troppo indulgente, verso destra, anche sulla memoria a seguito della fine della dittatura militare.
Inoltre, approfittando di una tendenza tuttora favorevole alle destre, conservatrici ed estreme, sia in America latina sia a livello mondiale, Kast ha approfittato di uno dei peggiori risultati delle sinistre a partire dal ritorno della democrazia. Su Kast sono molte, e non sempre concordanti, le considerazioni degli analisti politici, ma tutti indicano il suo governo come chiaramente autoritario e antipopolare.
A farne le spese saranno i movimenti sociali, le organizzazioni studentesche e, in particolare il popolo mapuche, già assai critico verso Boric e la Concertación, che avevano finito per ridurre le loro rivendicazioni ad una questione legata esclusivamente all’ordine pubblico. E ancora, in uno dei paesi più diseguali del continente latinoamericano, la militarizzazione dei territori, la svendita delle risorse naturali alle multinazionali e la criminalizzazione della protesta saranno ancora più dura sebbene il Cile sia definito come la “Svizzera sudamericana”.
L’ampia forbice che ha permesso a Kast di vincere al ballottaggio senza alcuna problema è frutto delle difficoltà del progressismo cileno di farsi ancora portavoce delle istanze popolari in un paese in cui buona parte della popolazione si trova in difficoltà dal punto di vista economico, ma ha scelto comunque di premiare Kast nonostante guardi al pinochettismo e provenga da una famiglia orgogliosamente legata al regime militare e agli ideali nazisti.
Per quanto possa sembrare paradossale, lo stesso padre di Kast era un migrante, anche se forse sarebbe meglio definirlo un fuggitivo, visto che giunse in Cile dalla Germania dopo la sconfitta del nazismo, di cui era un sostenitore dichiarato. Oggi il nuovo presidente cileno ha già dichiarato guerra ai circa duecentomila migranti presenti nel paese e, contemporaneamente, ha fatto sapere che si schiererà a favore delle politiche pro-vita.
Su Santiago e su tutto il Cile sta per abbattersi la “mano dura”.
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