«Non andiamo in Iraq», cinque piloti italiani sotto inchiesta
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ROMA - L’accusa ipotizzata è pesante: ammutinamento. Sotto inchiesta ci sono cinque piloti dell’Esercito che hanno rifiutato la missione in Iraq. Dovevano partire a dicembre. Non l’hanno fatto spiegando che non erano state garantite le condizioni di sicurezza. Un atto di disobbedienza che adesso si è trasformato in una denuncia presentata dal comando di Viterbo alla procura militare. Al termine di un’indagine disciplinare interna, i responsabili del reggimento Antares hanno deciso di coinvolgere la magistratura per l’eventuale contestazione dei reati previsti dal codice militare di pace.
IL RIFIUTO - Da sempre impegnati all’estero, gli elicotteristi di stanza a Viterbo sono stati coinvolti anche in «Antica Babilonia». Alla fine dell’anno, quando nell’ambito di tutti i reparti è stato deciso un avvicendamento dei militari da impiegare, cinque di loro hanno comunicato al comandante che non sarebbero partiti per Nassiriya. E hanno motivato il loro «no» sottolineando la carenza di misure di sicurezza tali da tutelare l’incolumità dei militari. Immediata è partita un’indagine disciplinare interna. Gli accertamenti, durati circa due mesi, si sono conclusi la scorsa settimana con la decisione di trasmettere gli atti alla procura militare.
L’INCHIESTA - Il fascicolo aperto dal procuratore Antonino Intelisano ipotizza il reato di ammutinamento. Secondo l’articolo 175 del codice penale militare di pace «sono puniti con la reclusione militare da sei mesi a tre anni, i militari che riuniti in numero di quattro o più rifiutano, omettono o ritardano di obbedire a un ordine di un loro superiore». Questo dice la norma, ma adesso spetterà al magistrato stabilire se la decisione di non partire possa essere interpretata come un rifiuto degli ordini impartiti. Per farlo dovranno essere verificate le regole d’ingaggio della missione e i compiti impartiti al Reggimento. Quando questa attività sarà terminata, verranno convocati i piloti che dovranno chiarire i motivi del loro atteggiamento. E specificare in base a quali elementi abbiano ritenuto che le misure di sicurezza fossero insufficienti.
I COMPITI - Inizialmente in Iraq vennero inviati sei elicotteri (tre della Marina e tre dell'Aeronautica) che disponevano di un sistema automatico di protezione per «ingannare» i missili terra-aria usati dai terroristi. Subito dopo l’Esercito si è dotato di apparati antimissile da installare sui grandi Agusta Ch47 Chinook da trasporto, quelli che compaiono spesso d’estate per domare gli incendi, e sugli Agusta-Bell 412 Grifone. Si tratta però di apparecchiature che non agiscono in automatico: c’è una sorta di radar che segnala il missile in arrivo e i piloti devono far scattare manualmente le contromisure, dei grossi fuochi d’artificio che «accecano» la testata del missile. E per la missione in Iraq l'Esercito ha costituito un reparto speciale, il 26° gruppo Reos, forte di tre Chinook e 4 Grifone con circa 110 uomini, schierato sull’aeroporto di Tallil. Il reparto è diventato operativo a metà dicembre: i militari hanno compiti di pattugliamento e di scorta oltre a fornire supporto alle operazioni condotte dai mezzi a terra.
LE VITTIME - E’ alto il tributo pagato dai piloti in missioni di pace all’estero. Il 7 gennaio del 1992 la tragedia della ex Jugoslavia: a nord di Zagabria un elicottero del contingente degli osservatori Cee fu abbattuto da un Mig serbo provocando la morte di quattro militari, tutti della base di Viterbo.
dal sito di Repubblica 5/3/04
Quattro elicotteristi dell'esercito italiano si sono rifiutati di prestare servizio a Nassiriya in Iraq. Si consideravano poco protetti. Sono stati rimpatriati e adesso rischiano una condanna per ammutinamento. La vicenda è avvenuta nel dicembre scorso, subito dopo l'attentato in cui morirono 17 militari e due civili italiani ma se ne è avuta notizia solo oggi. Il caso ha scatentato una serie di reazioni che hanno diviso il mondo politico. I ds chiedono che il governo riferisca al Parlamento sulla vicenda. Non è più dunque soltanto una questione di giustizia militare. Dopo settimane di polemiche in Parlamento sulla necessità di rifinanziare la missione in Iraq.
E' il generale Roberto Tonon, comandante del raggruppamento aviazione dell'esercito di Viterbo a spiegare quanto avvenuto. "I quattro piloti del gruppo di volo inviato in Iraq - dice - una volta messi al corrente della minaccia in loco, hanno dichiarato di non sentirsi troppo preparati, insicuri e poco protetti e hanno dichiarato al comandante che non se la sentivano di affrontare i rischi. Sono stati quindi rimpatriati e il comando ha proceduto ad un'inchiesta di carattere tecnico-disciplinare che si è conclusa con delle sanzioni per i quattro. Tutti gli atti sono stati trasmessi alla procura militare di Roma competente per le attività all' estero".
"Quello dei quattro elicotteristi - secondo il generale - è un comportamento censurabile, per questo siamo intervenuti sul piano disciplinare: noi facciamo di professione i piloti militari e ci prepariamo proprio per questo tipo di missioni; se poi non prestiamo servizio che ci stiamo a fare?".
Le minacce da affrontare in Iraq, prosegue, "vengono valutate dall'intelligence. Si tratta di missili per lanciatore singolo, a guida infrarossa. La contromisura per questo tipo di missili sono i cosiddetti 'chaff and flare', sistemi che lanciano striscioline e petardi che ingannano i radar e le testate dei missili. I nostri elicotteri - sottolinea - sono dotati di questo equipaggiamento: lo abbiamo applicato prima di partire, siamo partiti in ritardo proprio per questo motivo". Dunque, conclude Tonon, "i quattro elicotteristi non avevano particolari motivi di ritenersi a rischio".
Giudizio durissimo anche da parte del generale Luigi Chiavarelli: "Sono ottimi piloti ma pessimi soldati". Chiavarelli smentisce inoltre che i quattro siano attualmente sospesi dal servizio: "Sono al loro posto tutti e quattro l'unico provvedimento adottato per il momento nei loro confronti è quello di aver loro vietato di volare".
Se questa è la versione dei militari, la valutazione di gran parte dell'opposizione è opposta. "E' stato un atto di coraggio e insieme di grande saggezza", dice il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto. Che aggiunge: i militari "possono contare sulla solidarietà mia personale e di tutto il mio partito" e ribadisce di ritenere il governo italiano "responsabile morale e politico dei morti di Nassiriya".
"Non dovrebbero essere messi sotto inchiesta. Andrebbe messo sotto inchiesta chi ha deciso di inviare in Iraq dei mezzi insufficientemente difesi specie in zona operativa", dichiara Falco Accame, presidente dell'associazione vittime arruolate nelle forze armate che rileva come, anche questo caso, "rientra nella tradizione italiana di inviare uomini a combattere senza adeguate protezioni".
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