Dal Brasile con amore e solidarietà. Diario di bordo dalla Global Sumud Flotilla

Questa puntata del diario di bordo è dedicata a conoscere un po’ i capitani della flottiglia che vengono da molto lontano. Karina viene dal Brasile (San Paolo), ha una figlia di 17 anni, fa l’insegnante ed è venuta qui perché sentiva che doveva fare qualcosa di diretto, di significativo.
6 settembre 2025
Manfredo Pavoni Gay

Barche della Flotilla.

Le abbiamo posto alcune domande ed ecco quello che ci ha risposto.

Che cosa significa per te, brasiliana, fare una scelta di questo tipo, con tutti i costi anche economici e affettivi che ne derivano?

Mi chiamo Karina, sono brasiliana, ma il mio bisnonno era un italiano di Parma; purtroppo non ho potuto ottenere la cittadinanza italiana a causa della legge votata di recente dal governo Meloni, che impedisce a chi ha un nonno italiano di ricevere la cittadinanza se il nonno non è nato in Italia. Ho deciso di venire qui perché da due anni soffriamo molto in Brasile vedendo un genocidio in diretta, una forma brutale di colonialismo che si svolge sotto i nostri occhi.

Noi brasiliani il colonialismo lo abbiamo subito per 500 anni, ma fa effetto vederlo in diretta. In Brasile mi occupo di vela, ho un progetto di vela per i minori che vivono in una favela e non potrebbero mai avvicinarsi a questo sport a causa dei costi; noi invece cerchiamo di offrirgli i corsi migliori.

Non sono un’esperta di Palestina, non ero una militante, un’attivista storica, ma ho iniziato ad avvicinarmi a questo tema conoscendo Thiago Avila a un incontro all’università a San Paolo e in un centro culturale gestito dagli studenti palestinesi. Ho potuto seguire un seminario di Ilan Pappé, ho approfondito la situazione della Palestina, la lunga lotta di questo popolo contro il colonialismo israeliano e ho deciso di fare qualcosa in prima persona.

Come vedono quello che sta accadendo in Palestina il popolo brasiliano e i militanti e le militanti? Il Brasile, ricordiamolo, ha condannato Israele ed espulso il suo ambasciatore e il presidente Lula non può più entrare in Israele. Come vivi tutto questo? Hai paura per la tua incolumità nel caso di arresto e detenzione nelle prigioni israeliane?

Il Brasile è un Paese molto grande e noi abbiamo seguito quello che sta succedendo in Palestina anche se siamo molto lontani. Il governo brasiliano si è mosso insieme a quello sudafricano all’interno dei BRICS per condannare la politica colonialista e genocida di Israele, anche perché, come ho già detto, noi abbiamo vissuto nel periodo della dominazione portoghese tutti gli effetti nefasti del colonialismo. Proprio per questo in Brasile c’è molto solidarietà verso la Palestina.

Io in Brasile ho la mia vita, una figlia di 17 anni, devo lavorare per mantenerla e quindi questa scelta è stata abbastanza pesante per me, ma ho voluto farla per testimoniare una solidarietà che non conosce confini o frontiere. Certo che ho un po’ di paura all’idea di essere non tanto intercettata, quanto detenuta per molto tempo, perché perderei il lavoro e la mia vita diventerebbe molto, molto complicata.  Il governo Lula però mi dà sicurezza e un senso di protezione. Non sarei mai partita se al posto di Lula ci fosse stato un governo di destra come quello che abbiamo avuto con Jair Bolsonaro.

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