"Vittorio Arrigoni è stato colpito perché era libero"
"Vittorio non è stato colpito perché occidentale, ma perché libero. E questo, in guerra, ti fa pericoloso per chiunque". E’ l’opinione di Francesca Borri, profonda conoscitrice della realtà dei Territori Palestinesi. Dopo tre anni trascorsi a Ramallah, nello staff di Mustafa Barghouthi, oggi vive tra Damasco e Beirut.
Sei vicina a due dei più autorevoli mediatori palestinesi, Mustafa Barghouthi e Marwan Barghouti, impegnati a cementare una fragile unità nazionale. Avete tentato una trattativa, per liberare Vittorio Arrigoni?
Non credo, onestamente, possa davvero definirsi una trattativa. E non è stata solo questione di tempo. La Cisgiordania e la Striscia di Gaza non sono mai state così estranee e impermeabili l'una all'altra come nelle ultime ore. Esercitare pressione, convincere, costringere è possibile solo se ci si percepisce parte non dico di una strategia unitaria, ma almeno di una battaglia comune: senza una minima interdipendenza, una trattativa non può neppure cominciare - è come discutere, non so, con dei sequestratori in Darfur: perché mai dovrebbero ascoltarci? Ammesso questo, però, la sorta di rassegnazione con cui mi sono scontrata mi ha profondamente ferito. Probabilmente qualcuno ha preferito non avventurarsi nella palude di Gaza. Ma l'unità della Palestina non basta rivendicarla: bisogna attuarla. Nessuno meglio dei palestinesi sa che a volte agire, anche se politicamente inutile, è moralmente necessario.
Si hanno informazioni certe sull'identità dei responsabili?
Potrebbe essere uno dei gruppi salafiti di cui l'International Crisis Group, solo un paio di settimane fa, denunciava la forza crescente. I salafiti sostengono un'interpretazione letteralista dell'Islam, e accusano Hamas di non applicare il Corano con sufficiente rigore: soprattutto, di battersi per uno stato palestinese, invece che l'unità musulmana - di essere un movimento ormai laico e nazionalista. Ma onestamente, potrebbe essere anche qualcuno in cerca di pretesti per serrare il controllo sul territorio. Perché la forza crescente, a Gaza, non è affatto la forza dell'Islam, salafita o meno, ma quella dei giovani che avrebbero voluto un'altra Tunisia, un altro Egitto. E si sono ritrovati manganellati da Hamas.
Ma perché mirare a un attivista come Vittorio Arrigoni, amatissimo dalla popolazione?
Vittorio non è stato colpito perché occidentale, ma perché libero. E questo, in guerra, ti fa pericoloso per chiunque. Juliano Mer Khamis si definiva ebreo e palestinese: è stato ucciso non perché ebreo, ma perché palestinese. Perché icona non tanto della convivenza, quanto di una società aperta e critica, capace di ripensarsi e rinnovarsi. Una società senza padroni. Il comunicato di Hamas, ieri, invitava a fondarsi solo sulle notizie fornite dal ministero degli Interni. Vittorio viveva a Gaza proprio perché potessimo non fondarci sulle notizie fornite dagli addetti stampa di chi comanda.
Che conseguenze avrà, secondo te, questo assassinio?
Torna l'immagine dei palestinesi come macellai pronti a strangolare anche i loro sostenitori. E per l'ennesima volta, l'attenzione viene deviata sulla sicurezza: tra l'altro, sulla dimensione militare, invece che economica e sociale, della sicurezza - su eserciti e polizia, invece che la libertà il lavoro, la giustizia. Con l'operazione Piombo Fuso e il rapporto Goldstone, avevamo richiamato l'opinione pubblica internazionale al tema vero: l'embargo e l'occupazione. Ma invece che della dichiarazione di indipendenza prevista in autunno, si discute ora di nuovo di Islam e scontro di civiltà.
Qualcuno avanza l'ipotesi di una regia esterna. Magari per intimidire la prossima Freedom Flotilla, in partenza alla fine di maggio. E più in generale, tutti gli internazionali presenti nei Territori.
Girano le solite voci di agenti israeliani. Il popolo palestinese, si dice, non avrebbe interesse a compiere crimini del genere, così autolesionisti. Onestamente, il popolo palestinese non avrebbe interesse neppure a lanciare razzi, e invece sono anni che ancora si ostina con questi razzi di cartapesta che semplificano il lavoro degli israeliani. Credo sia il momento di riconoscere che non tutto, in Palestina, arriva dall'occupazione e dalla trappola di Oslo. Chi finisce per essere più palestinese dei palestinesi, come Vittorio, come Juliano, sa che la società perfetta non esiste. Che i confini tra tra noi e loro, tra gli oppressi e gli oppressori, non coincidono con le frontiere degli stati. Le linee verdi. Restiamo liberi.
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