2. Commento e sintesi della consulenza tecnica di parte... (di cui al punto precedente)
COMMENTO E SINTESI DELLA PERIZIA DI PARTE DEL GRUPPO DI LAVORO AD HOC PER LO STUDIO DEL DU (URANIO IMPOVERITO), ESEGUITA SU RICHIESTA DEL TRIBUNALE ITALIANO CONTRO I CRIMINI DELLA NATO IN JUGOSLAVIA AL COMITATO "SCIENZIATE E SCIENZIATI CONTRO LA GUERRA"
Mauro Cristaldi - Dip. Biologia Animale e dell'Uomo, Univ. "La Sapienza"
- Via A. Borelli 50, 00161 ROMA
Mauro.Cristaldi@uniroma1.it
La guerra contro la Jugoslavia, a tutt'oggi ancora in corso, non rappresenta
che l'ultimo atto dello scenario geo-politico in cui il nostro paese si presenta
ancora una volta alla storia recente come parte integrante degli interessi statunitensi
nel mondo. Chi ha avuto un ruolo nel rendere concreta questa politica bellicista
dovrà risponderne in giudizio; è per questo principio che il Tribunale Italiano
contro i crimini della NATO in Jugoslavia (denominato Tribunale Ramsey Clark)
si è impegnato a denunciare presso la Procura della Repubblica di Roma i gravi
abusi anticostituzionali del governo D'Alema, che rappresentò per primo questa
palese tendenza alla subordinazione atlantica, la quale portò l'Italia a contribuire
all'attacco incondizionato ed illegale di un paese limitrofo mediante l'impatto
distruttivo delle più moderne tecnologie. Oggi l'asse Bush-Berlusconi-Fini rappresenta
l'emblema risolutivo di questa stessa tendenza, che deve essere obbligatoriamente
resa reversibile nell'interesse della tutela della biosfera nella sua complessità
per opera di un larghissimo fronte di opposizione, più incisivo e diffuso di
quello che fronteggiò, a suo tempo, il nazismo.
Il lavoro scientifico prodotto dal gruppo di lavoro, che vede come autori 8
partecipanti alla lista del Comitato "Scienziate e scienziati contro la
guerra" ed un valente ematologo in pensione, mentre mette in evidenza le
carenze esplicite e nascoste dei documenti ufficiali finora pubblicati sul DU,
rappresenta lo spunto per procedere nel compito che ci siamo dati di riqualificazione
scientifica delle istanze di tutto il movimento di opposizione; questo impegno
dovrà continuare ancora nell'ambito della commissione scientifica del Tribunale
Clark, che ci ha sostenuti.
Il presente breve documento conclusivo riassume i principali punti fermi e
le novità che la perizia di parte nel suo complesso mette in luce, proprio nello
spirito del Comitato "Scienziate/i contro la guerra", che ha sempre
sostenuto le finalità di una ricerca che presupponga la critica del modo attuale
di produrre scienza, per fare in modo che chiunque possa dotarsi di strumenti
di intervento qualificato, sia sugli aspetti più generali, sia su quelli più
specifici cui, ad es., la perizia di parte è legata. In bibliografia sono riportati
i contributi del Comitato al problema del rischio da DU nelle aree contaminate
(Marenco, 1999; Zucchetti, 2000; Del Bello, 2001).
Il gruppo di lavoro è composto da due medici (Pasquale Angeloni, Silvana Salerno),
da una biologa citogenetista (Francesca Degrassi), da un informatico (Francesco
Iannuzzelli), da un ingegnere nucleare (Massimo Zucchetti), da tre fisici (Andrea
Martocchia, Luca Nencini, Carlo Pona) e dal sottoscritto come naturalista.
La competenza medica, per quanto riguarda le conseguenze dell'esposizione all'Uranio
impoverito (DU = Depleted Uranium), è fondamentale: in tal modo un medico
legale esperto di ematologia e di radioecologia ed una ricercatrice esperta
in medicina del lavoro hanno saputo offrire un quadro di competenze capaci di
coprire un largo settore applicativo riguardante le patologie, l'eziologia e
la diagnosi delle cosiddette "sindrome del Golfo" e "sindrome
dei Balcani" che tanti aspetti hanno in comune, in quanto in ambedue le
sindromi sono implicate le conseguenze dell'uso bellico dei dispositivi al DU
(Durakovic, 1999).
Le competenze di mutagenesi si sono rivelate indispensabili per la comprensione
dei fenomeni che precocemente si manifestano nel materiale nucleare delle cellule
a seguito dell'esposizione a DU, aspetti sovente sottaciuti e sottovalutati
per la conseguente valutazione del rischio, accanto a quelli di carattere biochimico
e biomolecolare, in quanto volutamente subordinati nella pratica radioprotezionistica
agli aspetti fisici e chimici della contaminazione.
I tre fisici ricercatori, dal canto loro, hanno collaborato su diverse problematiche
avvalendosi sempre di un solido bagaglio di fisica teorica: dalla fisica delle
radiazioni, alle stime di dose, alla lettura critica di documenti spesso corposi
quanto sovente incompleti. Uno di loro aveva contribuito tra i primi alla denuncia
dell'uso del DU come arma di guerra (Pacilio & Pona in Marenco, 1999; Pona
in Zucchetti, 2000) e partecipa tuttora ad iniziative di solidarietà nell'ambito
di una OGN che opera in Iraq e in Jugoslavia.
Il prof. Zucchetti del Politecnico di Torino rappresenta una vera e propria
autorità nel campo della modellistica e della sicurezza degli impianti nucleari
ed aveva, di conseguenza, offerto la propria consulenza gratuita, più volte
indebitamente respinta, nell'ambito della commissione Mandelli istituita dal
Min. della Difesa del governo Amato per lo studio dell'incidenza di neoplasie
maligne tra i militari italiani inviati in missione nei Balcani. La relazione
tratta dalla tesi di laurea del suo allievo ing. Boschetti completa e chiarifica
il contributo della perizia con un'ampia serie di allegati.
Il sottoscritto ha coordinato il lavoro degli altri coautori e soprattutto
ha interagito con l'informatico di Peacelink, il quale ha fornito, con spiccato
senso critico, una serie di relazioni e articoli di difficile reperimento: cito
per tutti l'importante documento DPRSN (2001) della Missione Scientifica Portoghese
in Kosovo e Bosnia-Erzegovina, di notevole interesse metodologico ma sfuggito
all'attenzione degli organi di stampa. La decennale esperienza interdisciplinare
nel monitoraggio dei Mammiferi selvatici come bioindicatori di contaminazione
territoriale ha permesso al sottoscritto di interagire con tutte le altre competenze
per preparare una relazione che servisse come spunto critico all'approfondimento
del problema del DU, indicando anche le possibili direzioni su cui indirizzare
le ricerche, in quanto tutto l'argomento del rischio da Uranio è stato volutamente
tenuto a margine nella letteratura radiodosimetrica e radioecologica.
Con questo appunto, mentre rinnovo i ringraziamenti a tutti coloro che, citati
e non, hanno fornito spunti alla compilazione della perizia di parte, fornendo
documentazioni e spunti critici, procedo alla presentazione degli argomenti
salienti affrontati in essa:
- L'uso bellico dell'Uranio impoverito (DU = Depleted Uranium) rientra
in un meccanismo di mercato che combina gli interessi dell'industria nucleare
e di quella bellica, utilizzando illegalmente (cfr. risoluzione della Sottocommissione
ONU per la Prevenzione delle Discriminazioni e per la Protezione delle Minoranze,
48° sessione del 30.8.1996) il vantaggio del basso costo di una scoria radioattiva
ad elevata pericolosità, che andrebbe invece sottoposta a custodia protettiva
passiva (Cristaldi et al., 2001).
- La capacità del proiettile al DU di fondere metalli sviluppando temperature
molto elevate porta alla formazione di una nube di polvere di ossidi insolubili
di Uranio, che si deposita sul terreno aggiungendosi alla polvere di campi,
sterrati e strade, già contenente Uranio naturale in quantità caratteristica
per ogni tipo di suolo. La polvere risollevandosi diviene facilmente inalabile,
anche nei tempi lunghi, da parte di potenziali gruppi a rischio (bambini,
contadini, militari, volontari, addetti alla manutenzione stradale, pastori,
ecc.). I frammenti residui dei proiettili al DU sono soggetti a solubilizzazione
e complessazione per effetto degli agenti meteorici e delle sostanze chimiche
del suolo, rimanendo essi nello strato superficiale del terreno e/o raggiungendo
per percolazione le falde acquifere. Di conseguenza il DU viene diffuso nella
rete trofica, costituendo altresì un fattore aggiuntivo di rischio alimentare
(Ribera et al., 1996).
- L'uso finalizzato al ricatto sulla salute di intere popolazioni esposte
intenzionalmente al rischio da DU a partire da situazioni di guerra (Iraq,
ex-Jugoslavia, Somalia, Palestina) e/o da poligoni sperimentali (solo negli
USA Zajic, 1999, ne enumera 15) si combina con il rischio sulla salute volutamente
indotto con modalità diverse.
- L'attacco più massiccio della storia con dispositivi al DU è stato comminato
all'Iraq ed al Kuwait durante la guerra del Golfo (1991) da parte delle forze
aeree anglo-americane, determinando conseguenze epidemiologiche gravosissime
ed ancora ampiamente da documentare (Intern. Action Center, 1997; Al-Jibouri,
2000). L'aggravante dell'imposizione di un lungo embargo internazionale contro
l'Iraq, tuttora in corso, ha potenziato, per conseguenti carenze di alimentazione,
profilassi e di cura, le patologie dirette ed accessorie (leucemie, linfomi,
tumori solidi, malattie infettive e da immunodepressione) attribuibili al
DU, come principale contaminante nella guerra del Golfo.
- Vengono ricostruite le cause militari e politiche dell'uso preponderante
del DU contro la regione del Kosovo durante la guerra NATO contro la Jugoslavia,
aggressione accompagnata da altre distruzioni con agenti contaminanti provenienti
dal bombardamento di industrie chimiche, che hanno soprattutto interessato
la Serbia e la Vojvodina. Complessivamente il rischio conseguente di patologie
combinate è mirato al confondimento delle cause primarie di contaminazione,
anche per la vasta area coinvolta dalle conseguenze del fall-out chimico (Serbia,
Romania, Moldavia, Ungheria, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Croazia, Grecia,
Bulgaria), sottaciuta, per cause economiche e politiche contingenti, dalle
stesse nazioni coinvolte nella contaminazione territoriale (Cristaldi et al.,
1999).
- A seguito degli accordi IAEA-WTO del 1959 riguardanti la disincentivazione
delle ricerche riguardanti il rapporto tra salute pubblica e radiazioni, le
pubblicazioni concernenti gli effetti del DU sono state premeditatamente sfavorite
(Parsons, 2001), in modo che la pericolosità dell'Uranio - sia come emittente
radioattivo, essenzialmente di tipo alfa, sia come metallo pesante, quindi
con rischi combinati di tipo chimico e/o radioattivo per gli organismi viventi
- venisse sottostimata; tale situazione ha determinato ulteriori carenze conoscitive
parzialmente colmate dopo l'emergenza della "sindrome del Golfo"
sui reduci anglosassoni (incertezza nell'eziologia e nei tempi di latenza
dei fatti tumorali, teratologici e neurologici, rischi rilevati su esperienze
dirette e non su basi sperimentali, composizione del metallo e diversa tossicità
chimica e radioattiva). Scelte politiche recentemente effettuate in Italia
hanno concorso alla stigmatizzazione delle carenze conoscitive sui bioindicatori
di contaminazione territoriale (affidate dalla comm. Calzolaio del Min. dell'Ambiente
alla genetista prof.ssa C. Tanzarella dell'Università di RomaTre, ma mai rese
attuabili concretamente da parte ANPA) e sul rischio radiodosimetrico per
i militari italiani in missione in Bosnia e Kosovo (non accettazione del prof.
M. Zucchetti come componente della comm. Mandelli), portando a relazioni parziali
ed omissive (UNEP, 2001; Mandelli, 2001) non esaurienti rispettivamente né
per il danno biologico riscontrato in bioaccumulatori (e.g.: muschi e licheni),
né per la correlazione causa-effetto tra dose e probabilità di rischio in
soggetti umani.
- La pericolosità radioattiva del metallo si espleta sia come DU da arricchimento
(DU "pulito"), sia come DU da riprocessamento (DU "sporco"):
in ambedue i casi, sia la presenza di nuclidi figli provenienti dal decadimento
radioattivo (Th-234, Pa-234m), sia la presenza di ulteriori nuclidi estranei
al DU pulito nel riprocessamento (U-236, Pu-239/240, Np-237), comportano un
aumento del rischio radioattivo per la salute e per l'ambiente (Zucchetti,
2001).
- Vengono indicati i principali organi bersaglio dell'Uranio finora individuati
in letteratura (cfr.: Ribera et al., 1996; Durakovic, 1999; Zajic, 1999; WHO.INT,
2001): polmoni, linfonodi, ossa e midollo rosso, reni, fegato, sistemi nervoso
e riproduttivo con conseguenze combinate di origine chimica e/o radioattiva
di tipo mutagenetico, cancerogenetico, teratogenetico, neuropatie e miopatie
con compromissione generalizzata delle difese immunitarie.
- Vengono evidenziate le necessarie indagini di tipo autoptico, citotossicologico,
biochimico, radiodosimetrico, epidemiologico ed ecotossicologico, sottolineando
le carenze di indagini (ad esempio per il sistema genito-urinario femminile);
ne viene criticata la parziale applicazione su soggetti esposti al DU in alcuni
rapporti eseguiti su militari, commissionate da organi governativi (US Army
Environ. Policy. Inst., 1995; The Royal Soc. for Radiol. Prot., 1998-2001;
McDiarmid et al., 2000; UNEP, 2001; WTO.INT, 2001; The Royal Soc., 2001; DPRSN,
2001), nei quali si osserva una diffusa tendenza a far apparire come minimale
il rischio effettivo (minimalizzazione del rischio come risposta di "trinceramento"
sec. Collingridge, 1985): protocolli di indagine carenti per una o più analisi
importanti, carenze di anamnesi su soggetti a rischio e su soggetti colpiti,
discontinuità di alcuni risultati parzialmente negativi per esclusione dal
computo di dati considerati troppo elevati (outliers). L'attuazione
di una prevenzione basata sul monitoraggio del rischio (INTERSOS, 2001) non
viene generalmente attuata, in attesa continua di prove che non vengono attivamente
cercate e la cui risposta viene continuamente demandata ad un generico principio
di precauzione, che, se applicato senza prove, ha il limite di una scelta
politica ma non tecnica.
- Si esegue una critica accurata del lavoro effettuato dalla commissione
Mandelli (2001) del Min. della Difesa, recentemente riconfermata nel suo incarico,
mettendo in evidenza il ruolo preliminare di quell'indagine, ma rilevando
carenze nel conteggio dei malati, nella individuazione e nella valutazione
critica degli esposti e delle modalità di esposizione, partendo dalla durata
delle missioni e dalle mansioni svolte, dalla estrema imprecisione dei luoghi
di missione, dal mescolamento delle coorti esposte in periodi diversi in Bosnia
(1995-2001) e in Kosovo (1999-2001), facendo comunque rilevare che un'indagine
di questo tipo, solo perché commissionata per i Balcani, non può prescindere
dal considerare tutti i casi comparativi degni di validità per modello e quantità
di esposizione, quale la contaminazione cronica determinata in Iraq ed in
altre località colpite con dispositivi al DU. Seguendo questo approccio, il
riscontrato "eccesso, statisticamente significativo, di Linfoma di Hodgkin",
riconosciuto nella seconda versione della relazione Mandelli (2001), è stato
accompagnato nella nostra perizia da una nota sull'eziologia dei linfomi maligni,
che permette di inserire il linfoma di Hodgkin tra le malattie degenerative
causate da esposizione a DU a seguito di studi su esposti all'Uranio in ambiente
di lavoro (Archer et al., 1973; Checkoway et al., 1985; Gilbert et al., 1993a,
1993b; McGheorgegan & Binks, 2000). La discrepanza temporale di circa
5 mesi tra la fine della guerra in Kosovo (luglio 1999) e l'indicazione di
sistemi di prevenzione e profilassi almeno tra i soldati (novembre 1999),
porta, inoltre, a pensare ad una programmata omissione di informazioni, rese
disponibili soltanto in maniera alterata ed a prove belliche occultate, a
seguito dell'esposizione a DU delle maestranze (militari, civili, volontari)
adibite alla rapida rimozione dei residuati come prova delle avvenute azioni
belliche.
Si auspica che la perizia di parte del gruppo di lavoro ad hoc sul DU
allegata all'esposto-denuncia alla Procura della commissione giuridica del Tribunale
Clark, possa essere utile alla Magistratura come linea guida per l'approfondimento
e la verifica di molti aspetti tecnici attualmente ancora poco chiari legati
all'uso del DU, ma serva soprattutto come occasione per creare commissioni di
indagine che abbiano il requisito di comprendere in maniera complessiva e non
settoriale un argomento prettamente interdisciplinare come quello del DU e che,
inoltre, siano capaci di cooperare per il raggiungimento di una oggettività
scientifica che non rappresenti più il compromesso tra esigenze di mercato ed
esigenze politiche di chi commissiona l'indagine: è per questo che l'inchiesta
giudiziaria resta ancora la formula più congruente alle necessità di garanzia
dell'oggettività scientifica.
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