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40. Il numero dei morti ufficiali: la chiamano sindrone dei Balcani

E le stelle[tte] continuano a stare a guardare...

“..fate giustizia, fate che non si ammalino più, fate che non muoiano più. Lo Stato ci ha abbandonato. Ci ha ingannato…Ci ha fatto credere che fossimo al servizio dell’umanità, io ho sempre agito per questo, ignaro che per l’Esercito invece ero solo carne da macello..."Sono state le ultime parole del soldato Luca, prima di morire...
9 novembre 2005


“ Ero con il soldato Luca Sepe quando è morto, il 13 luglio 2004. [ventisettesima vittima dell’uranio impoverito]
Il calvario di Luca è durato quattro anni. La sua colpa: essere stato in missione in Kossovo.Dopo di lui ne sono andati via altri tre.
Ufficialmente risultano ammalati circa 300 soldati. Ne stanno già arrivando dall’Iraq. Ma sono dati sicuramente fasulli perché la realtà ne conta molti di più. Sono i soldati o i loro cari che non denunciano la malattia, forse sperando che lo Stato li aiuti “sistemando” poi le loro famiglie in qualche modo, o forse solo per la paura di appartenere a un mondo troppo piccolo di fronte al potere dell’Esercito, o forse per ignoranza, o forse perché si sentono troppo soli….[Le ultime parole di Luca Sepe] sono state lucide e perentorie: “..fate giustizia, fate che non si ammalino più, fate che non muoiano più. Lo Stato ci ha abbandonato. Ci ha ingannato…Ci ha fatto credere che fossimo al servizio dell’umanità, io ho sempre agito per questo, ignaro che per l’Esercito invece ero solo carne da macello …” Questo brano è tratto da un mio articolo pubblicato l’anno scorso ( E le stelle..tte stanno a guardare”Verde Ambiente n. 4/5 - 2004).

Oggi i morti ufficiali sono arrivati a 40. L’ultimo soldato si chiamava Fabio Senatore, nato il 23 settembre 1982. Morto il 7 novembre 2005, leucemia mieloide acuta.
Il 13 novembre 2003 partì per la Bosnia. Il 15 maggio 2004 ritornò a casa. A ottobre gli diagnosticarono la terribile patologia. Da allora, come tutti i soldati contaminati (alcuni poco più che fanciulli), cominciò a credere di poter guarire comunque. Fabio sperava in un trapianto di midollo. Ieri mattina le sue speranze sono morte con lui. Abbiamo parlato con la sua fidanzata, Nicoletta. Era il suo punto di riferimento. E’ lei che tiene i contatti con Domenico Leggiero, il responsabile dell’Osservatorio Militare che da anni assiste i militari e i loro familiari, nel tentativo disperato di aiutarli. Allo Stato sono serviti, ma quando si ammalano e poi muoiono, pare che diventino addirittura “ingombranti” E qui scatta l’azione del “recita bene la tua parte, in questo consiste l’onore” L’onore dell’Esercito si manifesta nelle esequie dei suoi figli(astri). Il funerale di Luca Sepe è stata testimonianza eloquente. Fu ripreso da Sky. Ricordo la profonda commozione dell’inviata (Francesca Cersosimo). Curò quel servizio in modo particolare. Ha vinto il Premio Ilaria Alpi 2005. Mi piace pensare che sia il grazie di Luca.
Alle esequie i generali e i colonnelli sono circondati da una quantità pazzesca di altre stellette. Fagocitano la cerimonia, ignorando il sempre più frequente diniego dei familiari. Le stellette fanno leva sul loro insostenibile dolore. Ricevono le condoglianze dei parenti e degli amici. Invitano il sacerdote della famiglia a farsi da parte per lasciare spazio al loro protagonista cappellano militare. Si sistemano dunque nei primi banchi, allontanando chi già c’è. L’onore di Spoon River prima di tutti! La soldatessa con le stellette ha il compito di stare vicino a chi, apparentemente, soffre di più. Entra in scena il picchetto d’onore a fianco della bara. Il cappellano soldato parla di gloria, di patria, di onore, di spirito del dovere. Le stellette sono impettite. La tromba intona (invade) il silenzio. Se i pensieri dei giusti potessero urlare si sentirebbero alcune domande: “Dove eravate voi quando il soldato che c’e ora nella bara vi ha chiesto aiuto? Dove eravate voi, quando gli altri vi hanno chiesto aiuto? Dove siete voi, mentre altri uomini gravemente ammalati stanno morendo? Le stellette stanno sempre a guardare. Non abbassano lo sguardo. Quel drappo tricolore che avvolge la bara diventa a ogni morto che si aggiunge, sempre più pesante. Pesante come l’uranio impoverito o quelle polveri maledette trovate nei corpi e sui vestiti dei nostri “missionari di pace”. Quelle polveri continuano ad essere sparse su tutti i teatri di guerra. Da qualche giorno sappiamo che a loro si è aggiunto l’MK77, altra “polvere” maledetta che scioglie le carni lasciando a nudo le ossa.
Per il Potere le polveri della morte si trasformano in polvere d’oro. Oro giallo. Oro nero.
Al funerale di Fabio si è dunque più o meno ripetuta la scena. Questa volta si è fatto anche un passo in più. Lo racconta Leggiero, già maresciallo elicotterista dell’Esercito. “ Ero in Chiesa, in un angolo, si è avvicinato a me il generale Marinelli (tre stelle) dello Stato Maggiore. Il suo tono non era gentile. Mi ha chiesto in quale “posizione” ero presente. Gli ho risposto in tono ironico che la mia “posizione” era identica alla sua: eretta, accanto alla bara…A quel punto sono intervenuti ufficiali e sottoposti e mi hanno ordinato di uscire per fare spazio ai commilitoni. Mi hanno affiancato e “accompagnato” fuori della Chiesa. Uno di questi si è preoccupato di fare scudo a una telecamera presente…
–Incalzo- “ ci sa spiegare chi, cosa, dà loro il diritto di procedere in questo modo? Sorride “...forse l’arroganza di chi ha la coscienza sporca...”

Lo strazio della madre (Fabio era orfano del padre), di suo fratello, di sua sorella, della sua Nicoletta e la sofferenza di tutti coloro che lo amavano, non si accontentano certamente di conoscere il “dove” e il “quando” riportati in un certificato di morte. Il dolore va oltre e continuerà a tormentare fino a che non si otterranno risposte ai loro “come” e ai loro “perché”.

A tutti noi non è ancora concesso esprimervi il nostro “riposate in pace”, perché voi “soldati di serie B” di quella pace e per quella pace, per ora, siete solo morti.
Possiamo però tentare di esaudire il vostro ultimo desiderio: lavorare con impegno perché altri non si ammalino più.

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