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Spade e Falchi d’Italia al Pakistan in guerra

Il Pakistan si conferma uno dei clienti del complesso militare industriale italiano. Consegnati missili Spada 2000 e aerei senza pilota Falco da aziende Finmeccanica. Gli Usa congelano invece gli aiuti ad un alleato poco affidabile
25 luglio 2011

Mai così critiche le relazioni politiche e militari tra Stati Uniti d’America e Pakistan. All’amministrazione statunitense non sono piaciute certe ambiguità delle autorità pakistane nella lotta ai Talebani e i report della Cia sulle presunte coperture dei servizi segreti locali alla latitanza di Osama bin Laden (assassinato dai marines Usa in un blitz “non autorizzato”), hanno creato una divisione profonda tra i due ex alleati di ferro nella cosiddetta “guerra al terrorismo” in Asia centrale. Così, sorprendendo gli analisti internazionali, Washington ha sospeso la consegna alle forze armate pakistane di sistemi d’arma per un valore di 800 milioni di dollari, aiuti previsti all’interno del piano speciale pro-Pakistan approvato lo scorso anno dal Congresso. Secondo quanto dichiarato al Times da un portavoce del Dipartimento della difesa, la decisione è stata determinata dalla “riduzione del numero dei visti rilasciati per il 2011 dalle autorità pakistane a favore dei consiglieri e degli addestratori militari Usa”, con l’effetto che un centinaio di ufficiali delle forze speciali di Us Army ha dovuto lasciare il paese nelle ultime settimane.

Buona parte degli aiuti congelati corrisponde a crediti per l’acquisto presso società produttrici statunitensi di equipaggiamenti militari, visori notturni, parti di ricambio per elicotteri, pistole, munizioni, giubbotti antiproiettile e dispositivi per il lancio di bombe. Trecento milioni di dollari erano invece destinati a rimborsare i costi sostenuti nella dislocazione di oltre 100.000 militari pakistani ai confini con l’Afghanistan.

La discussa fedeltà di Islamabad con l’Occidente nella lotta ad al-Qaeda e alle fazioni armate anti-governative afgane non sembra invece impensierire più di tanto il complesso militare industriale italiano che anzi spera di accrescere il proprio ruolo nell’export di sistemi d’arma. Gli affari sulla rotta Italia-Pakistan sono già imponenti. Entro la fine del 2013 dovrebbe concludersi la consegna di dieci batterie del sistema di difesa aerea “Spada 2000 Plus” prodotte da MBDA Italia, società per azioni con sede a Roma e stabilimenti a Fusaro e La Spezia, interamente controllata dal consorzio europeo missilistico Matra BAE Dynamics Alenia – MBDA di cui l’holding Finmeccanica detiene il 25% del pacchetto azionario.

Lo “Spada 2000” è la versione aggiornata del sistema missilistico “Spada” che l’Aeronautica militare italiana utilizza sin dai primi anni ’80. Dotato dei missili terra-aria a medio raggio Aspide 2000, con esplosivo a frammentazione e guida radar semiattiva, il sistema è in grado di funzionare in qualsiasi condizione climatica, sia di giorno che di notte. “Spada 2000” è integrato da una serie di shelter che, secondo i costruttori, “permettono mobilità tattica e strategica, incluso il trasporto su un aereo C-130”. La sua configurazione base, a livello di batteria, consiste in un centro di rilevamento e da due a quattro sezioni di lancio, ciascuna delle quali con due lanciatori di sei missili Aspide. Completa il sistema un radar di rilevamento tridimensionale, il RAC-3D prodotto dall’azienda Selex Sistemi Integrati (gruppo Finmeccanica) in grado di intercettare e tracciare sino a 100 bersagli simultaneamente dentro un raggio d’azione di 60 km.

Le batterie “Spada 2000” sono state ordinate dal Pakistan a fine 2007 e costano 415 milioni di euro più le spese per la realizzazione delle infrastrutture necessarie all’assemblaggio delle munizioni da parte d’imprese pakistane. Secondo Antonio Perfetti, alla guida del consiglio d’amministrazione di MBDA Italia, la società avrebbe già completato la costruzione a Karachi di due facilities, una per la manutenzione del nuovo sistema missilistico e la seconda per effettuare i test di guida degli Aspide. “L’addestramento dei militari pakistani ha preso il via alla fine del 2009 e alcuni ufficiali hanno visitato in più occasioni le sedi di MBDA in Italia”, ha spiegato Perfetti. Determinante l’apporto dell’Aeronautica militare italiana che ha sperimentato l’efficienza del sistema sin dal 2005 con otto test di lancio presso il poligono di Salto di Quirra (Sardegna), alla presenza di una delegazione delle forze armate pakistane. “I militari italiani stanno continuando a operare in stretto collegamento con gli acquirenti”, ha aggiunto il massimo dirigente di MBDA Italia. “E i primi test operativi sono stati eseguiti in Pakistan nel luglio 2010, dopo la consegna della prima batteria Spada 2000” . Per l’azienda italiana che vanta un fatturato annuo di 450 milioni di euro, la consegna del sistema missilistico “Spada 2000” al paese asiatico rappresenta il 25% circa del portafoglio ordini.

Recentemente, un altro gioiello di guerra “made in Italy” è entrato a far parte degli arsenali del Pakistan. Si tratta del sofisticatissimo aereo spia e senza pilota “Falco UAV”, realizzato dalle officine di Selex Galileo (già Galileo Avionica), altra società del comparto Finmeccanica. Il “Falco” è un velivolo che vola a medie altitudini, ha un raggio di azione di 230 km, un’autonomia superiore alle dodici ore ed è in grado di trasportare carichi differenti tra cui, in particolare, sensori radar ad alta risoluzione che sondano metro per metro il terreno inviando le immagini ai centri di comando terrestri per una loro elaborazione. Ma gli UAV possono essere definiti solo impropriamente come “aerei spia”: sotto le due ali, infatti, possono portare sino a 140 chili di bombe. Prodotto nello stabilimento Galileo di Ronchi dei Legionari (Gorizia), anche il “Falco” è stato sperimentato per la prima volta a Salto di Quirra. L’ordine da parte delle forze armate pakistane risale alla fine del 2008 ed è di venticinque velivoli senza pilota, un’unità di volo di riserva e delle stazioni di controllo terrestri (GCS). “I velivoli che sono stati trasferiti al Pakistan a partire dell’estate 2009 vantano un’autonomia di volo prolungata e maggiori capacità di carico del modello Falco UAV utilizzato oggi dalle forze armate in Afghanistan”, affermano i manager di Selex Galileo. Il battesimo sul campo è avvenuto in occasione della grande offensiva lanciata nella Swat Valley dalle forze armate pakistane nell’autunno 2009: come ammesso dalle autorità militari locali, i “falchi” prodotti in Italia furono lanciati per localizzare e bombardare “tutti i tipi di obiettivi, inclusi depositi munizioni, bunker, nascondigli e altre infrastrutture utilizzate dagli insorti”.

La consegna dei velivoli senza pilota non è stata assolutamente gradita da Washington, che in precedenza aveva posto il veto alla vendita al Pakistan di un modello UAV di fabbricazione statunitense per il timore che i servizi d’intelligence “alleati” potessero trasferire i dati raccolti durante le missioni ai leader delle organizzazioni ribelli. Ciononostante Selex Galileo, con il pieno sostegno del governo Berlusconi, ha continuato a fornire il “Falco” ai militari di Islamabad e oggi ne assicura in loco la manutenzione e l’aggiornamento.

I voli dei droni sui cieli di Pakistan e Afghanistan sono ritenuti di massima rilevanza strategica e nonostante la crisi nelle relazioni bilaterali, c’è la ferma intenzione del Pentagono e della Cia di continuare a utilizzare una pista d’atterraggio a Shamsi (Baluchistan) per i decolli degli UAV in dotazione alle forze armate Usa. “Continueremo i nostri voli di sorveglianza contro i ribelli che operano ai confini con l’Afghanistan nonostante la richiesta pakistana di abbandonare la base militare”, hanno dichiarato all’agenzia Reuters due ufficiali statunitensi. “Possiamo inoltre contare su adeguate infrastrutture fuori dal Pakistan, principalmente in Afghanistan, ma in futuro potremmo anche utilizzare unità navali per le necessarie operazioni dei droni contro obiettivi ribelli in Pakistan”. Intanto continuano gli attacchi missilistici dei “Predator” nelle regioni nord-occidentali del Pakistan, dove a metà luglio, in sole dodici ore, sono rimaste uccise almeno 38 persone, tutti guerriglieri secondo il Dipartimento della difesa, ribelli e civili inermi secondo fonti indipendenti pakistane. Il primo bombardamento è avvenuto nel villaggio di Gorvak, nel Waziristan settentrionale, e ha causato una ventina di vittime. Altri missili sono stati lanciati contro un’abitazione nell’area di Shawal (nord Waziristan), uccidendo dieci sospetti “militanti”. L’ultimo attacco statunitense è stato contro il villaggio di Dremala, Waziristan meridionale, un’area vicinissima al confine con l’Afghanistan. Otto le vittime, più alcuni feriti. I giochi di guerra Usa e Nato in Pakistan sono tutt’altro che virtuali. 

 

Mai così critiche le relazioni politiche e militari tra Stati Uniti d’America e Pakistan. All’amministrazione statunitense non sono piaciute certe ambiguità delle autorità pakistane nella lotta ai Talebani e i report della Cia sulle presunte coperture dei servizi segreti locali alla latitanza di Osama bin Laden (assassinato dai marines Usa in un blitz “non autorizzato”), hanno creato una divisione profonda tra i due ex alleati di ferro nella cosiddetta “guerra al terrorismo” in Asia centrale. Così, sorprendendo gli analisti internazionali, Washington ha sospeso la consegna alle forze armate pakistane di sistemi d’arma per un valore di 800 milioni di dollari, aiuti previsti all’interno del piano speciale pro-Pakistan approvato lo scorso anno dal Congresso. Secondo quanto dichiarato al Times da un portavoce del Dipartimento della difesa, la decisione è stata determinata dalla “riduzione del numero dei visti rilasciati per il 2011 dalle autorità pakistane a favore dei consiglieri e degli addestratori militari Usa”, con l’effetto che un centinaio di ufficiali delle forze speciali di Us Army ha dovuto lasciare il paese nelle ultime settimane.

Buona parte degli aiuti congelati corrisponde a crediti per l’acquisto presso società produttrici statunitensi di equipaggiamenti militari, visori notturni, parti di ricambio per elicotteri, pistole, munizioni, giubbotti antiproiettile e dispositivi per il lancio di bombe. Trecento milioni di dollari erano invece destinati a rimborsare i costi sostenuti nella dislocazione di oltre 100.000 militari pakistani ai confini con l’Afghanistan.

La discussa fedeltà di Islamabad con l’Occidente nella lotta ad al-Qaeda e alle fazioni armate anti-governative afgane non sembra invece impensierire più di tanto il complesso militare industriale italiano che anzi spera di accrescere il proprio ruolo nell’export di sistemi d’arma. Gli affari sulla rotta Italia-Pakistan sono già imponenti. Entro la fine del 2013 dovrebbe concludersi la consegna di dieci batterie del sistema di difesa aerea “Spada 2000 Plus” prodotte da MBDA Italia, società per azioni con sede a Roma e stabilimenti a Fusaro e La Spezia, interamente controllata dal consorzio europeo missilistico Matra BAE Dynamics Alenia – MBDA di cui l’holding Finmeccanica detiene il 25% del pacchetto azionario.

Lo “Spada 2000” è la versione aggiornata del sistema missilistico “Spada” che l’Aeronautica militare italiana utilizza sin dai primi anni ’80. Dotato dei missili terra-aria a medio raggio Aspide 2000, con esplosivo a frammentazione e guida radar semiattiva, il sistema è in grado di funzionare in qualsiasi condizione climatica, sia di giorno che di notte. “Spada 2000” è integrato da una serie di shelter che, secondo i costruttori, “permettono mobilità tattica e strategica, incluso il trasporto su un aereo C-130”. La sua configurazione base, a livello di batteria, consiste in un centro di rilevamento e da due a quattro sezioni di lancio, ciascuna delle quali con due lanciatori di sei missili Aspide. Completa il sistema un radar di rilevamento tridimensionale, il RAC-3D prodotto dall’azienda Selex Sistemi Integrati (gruppo Finmeccanica) in grado di intercettare e tracciare sino a 100 bersagli simultaneamente dentro un raggio d’azione di 60 km.

Le batterie “Spada 2000” sono state ordinate dal Pakistan a fine 2007 e costano 415 milioni di euro più le spese per la realizzazione delle infrastrutture necessarie all’assemblaggio delle munizioni da parte d’imprese pakistane. Secondo Antonio Perfetti, alla guida del consiglio d’amministrazione di MBDA Italia, la società avrebbe già completato la costruzione a Karachi di due facilities, una per la manutenzione del nuovo sistema missilistico e la seconda per effettuare i test di guida degli Aspide. “L’addestramento dei militari pakistani ha preso il via alla fine del 2009 e alcuni ufficiali hanno visitato in più occasioni le sedi di MBDA in Italia”, ha spiegato Perfetti. Determinante l’apporto dell’Aeronautica militare italiana che ha sperimentato l’efficienza del sistema sin dal 2005 con otto test di lancio presso il poligono di Salto di Quirra (Sardegna), alla presenza di una delegazione delle forze armate pakistane. “I militari italiani stanno continuando a operare in stretto collegamento con gli acquirenti”, ha aggiunto il massimo dirigente di MBDA Italia. “E i primi test operativi sono stati eseguiti in Pakistan nel luglio 2010, dopo la consegna della prima batteria Spada 2000” . Per l’azienda italiana che vanta un fatturato annuo di 450 milioni di euro, la consegna del sistema missilistico “Spada 2000” al paese asiatico rappresenta il 25% circa del portafoglio ordini.

Recentemente, un altro gioiello di guerra “made in Italy” è entrato a far parte degli arsenali del Pakistan. Si tratta del sofisticatissimo aereo spia e senza pilota “Falco UAV”, realizzato dalle officine di Selex Galileo (già Galileo Avionica), altra società del comparto Finmeccanica. Il “Falco” è un velivolo che vola a medie altitudini, ha un raggio di azione di 230 km, un’autonomia superiore alle dodici ore ed è in grado di trasportare carichi differenti tra cui, in particolare, sensori radar ad alta risoluzione che sondano metro per metro il terreno inviando le immagini ai centri di comando terrestri per una loro elaborazione. Ma gli UAV possono essere definiti solo impropriamente come “aerei spia”: sotto le due ali, infatti, possono portare sino a 140 chili di bombe. Prodotto nello stabilimento Galileo di Ronchi dei Legionari (Gorizia), anche il “Falco” è stato sperimentato per la prima volta a Salto di Quirra. L’ordine da parte delle forze armate pakistane risale alla fine del 2008 ed è di venticinque velivoli senza pilota, un’unità di volo di riserva e delle stazioni di controllo terrestri (GCS). “I velivoli che sono stati trasferiti al Pakistan a partire dell’estate 2009 vantano un’autonomia di volo prolungata e maggiori capacità di carico del modello Falco UAV utilizzato oggi dalle forze armate in Afghanistan”, affermano i manager di Selex Galileo. Il battesimo sul campo è avvenuto in occasione della grande offensiva lanciata nella Swat Valley dalle forze armate pakistane nell’autunno 2009: come ammesso dalle autorità militari locali, i “falchi” prodotti in Italia furono lanciati per localizzare e bombardare “tutti i tipi di obiettivi, inclusi depositi munizioni, bunker, nascondigli e altre infrastrutture utilizzate dagli insorti”.

La consegna dei velivoli senza pilota non è stata assolutamente gradita da Washington, che in precedenza aveva posto il veto alla vendita al Pakistan di un modello UAV di fabbricazione statunitense per il timore che i servizi d’intelligence “alleati” potessero trasferire i dati raccolti durante le missioni ai leader delle organizzazioni ribelli. Ciononostante Selex Galileo, con il pieno sostegno del governo Berlusconi, ha continuato a fornire il “Falco” ai militari di Islamabad e oggi ne assicura in loco la manutenzione e l’aggiornamento.

I voli dei droni sui cieli di Pakistan e Afghanistan sono ritenuti di massima rilevanza strategica e nonostante la crisi nelle relazioni bilaterali, c’è la ferma intenzione del Pentagono e della Cia di continuare a utilizzare una pista d’atterraggio a Shamsi (Baluchistan) per i decolli degli UAV in dotazione alle forze armate Usa. “Continueremo i nostri voli di sorveglianza contro i ribelli che operano ai confini con l’Afghanistan nonostante la richiesta pakistana di abbandonare la base militare”, hanno dichiarato all’agenzia Reuters due ufficiali statunitensi. “Possiamo inoltre contare su adeguate infrastrutture fuori dal Pakistan, principalmente in Afghanistan, ma in futuro potremmo anche utilizzare unità navali per le necessarie operazioni dei droni contro obiettivi ribelli in Pakistan”. Intanto continuano gli attacchi missilistici dei “Predator” nelle regioni nord-occidentali del Pakistan, dove a metà luglio, in sole dodici ore, sono rimaste uccise almeno 38 persone, tutti guerriglieri secondo il Dipartimento della difesa, ribelli e civili inermi secondo fonti indipendenti pakistane. Il primo bombardamento è avvenuto nel villaggio di Gorvak, nel Waziristan settentrionale, e ha causato una ventina di vittime. Altri missili sono stati lanciati contro un’abitazione nell’area di Shawal (nord Waziristan), uccidendo dieci sospetti “militanti”. L’ultimo attacco statunitense è stato contro il villaggio di Dremala, Waziristan meridionale, un’area vicinissima al confine con l’Afghanistan. Otto le vittime, più alcuni feriti. I giochi di guerra Usa e Nato in Pakistan sono tutt’altro che virtuali.

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