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Uno studio su Science dimostra che ogni anno le vetture a idrogeno potrebbero salvare centinaia di migliaia di vite

Petrolio killer

4 luglio 2005
Federico Ferrazza

autobotte idrogeno "Un enorme beneficio per la salute pubblica". Così Mark Jacobson, ricercatore della Stanford University (California) ha definito l'adozione di veicoli con motori alimentati a idrogeno. Lo scienziato statunitense parla con cognizione di causa, visto che insieme alla sua équipe ha analizzato cosa succederebbe se i motori a benzina (o diesel) fossero sostituiti con quelli a idrogeno. E ora ha pubblicato la sua ricerca su Science. Che, a prima vista, lascia pochi dubbi: ogni anno si risparmierebbero centinaia di migliaia di vite. In particolare negli Stati Uniti i decessi diminuirebbero di circa 6.000 casi l'anno a causa dell'abbassamento del numero delle persone affette da asma e da altre patologie respiratorie.

Insomma, numeri che quantificano i benefici che porterebbe una transizione da un'economia basata sul petrolio a una sull'idrogeno. E numeri che testimoniano che anche se (come avviene oggi) la maggior parte dell'idrogeno viene prodotto con combustibili fossili (per lo più gas naturali), un motore a idrogeno è comunque più efficiente: 45 per cento contro il 35 dei motori diesel più avanzati.

"Lo studio", spiega Raffaele Vellone, direttore del Progetto Idrogeno e Celle a combustibile di Enea, "è importante perché spinge ad accelerare il mercato dei veicoli a idrogeno, che possono portare, tra gli altri, due vantaggi: miglioramento della salute e del rendimento energetico". La ricerca ha tentato il più possibile di dimostrare quali siano i danni provocati direttamente o meno dall'uso del petrolio. Per esempio si parla del nitrocomposto organico perossiacetilnitrato. Questa sostanza inquinante (che si forma anche a partire dai gas di scarico delle automobili) oltre a essere irritante per gli occhi è in grado di alterare il colore delle piante, causando quindi problemi di ricambio dell'anidride carbonica.

L'esigenza di sostituire i motori che usano il petrolio, si scontra però con i costi che l'idrogeno comporta, anche quello prodotto con combustibili fossili. Costi che, per esempio nel caso delle vetture, difficilmente raggiungeranno mai, anche in una produzione di massa, quelli delle auto a benzina. "Ma non si può tener conto solo di questo aspetto", dice Vellone: "occorre innanzitutto calcolare quali saranno i costi per l'ambiente e per la nostra salute se continueremo su questa strada". Inoltre da tenere d'occhio i cosiddetti costi evitati, quei soldi che entrano nelle nostre tasche, anche indirettamente, dopo aver acquistato una macchina a idrogeno. La possibilità, nelle grandi città, di prendere sempre e comunque l'auto anche quando c'è il blocco del traffico è senza dubbio un vantaggio. Come quello di poter disporre di un motore che invecchia di meno di uno a benzina.

Lo studio statunitense, poi, entra in una piccola polemica con un'altra ricerca pubblicata su Science: in quello studio si sosteneva che le perdite di idrogeno nei processi di distribuzione e di rifornimento potrebbero alterare la composizione chimico-fisica della troposfera e della stratosfera. Non è così, secondo Jacobson e colleghi. Che hanno stimato queste perdite nell'ordine tre per cento (lo studio precedente parlava del dieci) e quindi non dannose per gli strati bassi della nostra atmosfera.

Ora, quindi, resta da trovare un modo per coinvolgere industria e istituzioni nell'affrontare la questione idrogeno e nel disegnare un percorso che porti, anche in un futuro non proprio prossimo, ad abbandonare il petrolio. In questo senso in Italia qualcosa si sta muovendo. Tra qualche settimana, infatti, nascerà la Piattaforma Nazionale dell'Idrogeno, un tavolo di lavoro a cui parteciperanno tutti gli attori interessati (Regioni, aziende, comunità scientifica, associazioni di categoria) che cercheranno, così, di coordinarsi tra loro. Bisognerà poi informare l'opinione pubblica sui vantaggi (di salute, ambientali e così via) dell'idrogeno. Un lavoro per niente semplice. Anche perché come dice Jacobson: "Non è che le persone non si preoccupano di questi argomenti, non ne sanno proprio nulla".

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