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L'arcobaleno rinnovabile

Ogni futuro governo sarà posto di fronte alla direttiva europea sulle «tre venti» ambientali. Cura del ferro, sviluppo dei porti per facilitare il cabotaggio, ricerca di ogni forma di efficienza, riqualificazione energetica degli edifici, investimento in risorse e test sulle rinnovabili.
10 marzo 2008
Massimo Serafini
Fonte: Il Manifesto

- Due ragioni rendono necessaria una svolta radicale e globale nelle politiche energetiche: il tendenziale esaurirsi del petrolio, più in generale delle fonti non rinnovabili e la drammatica accelerazione dei cambiamenti climatici. Entrambe sollecitano decisioni politico programmatiche capaci di portare il mondo fuori dalla dipendenza dal petrolio, più in generale dalle energie fossili.

In poche parole il petrolio il carbone e il gas rimasti non bastano più a soddisfare una domanda di energia in crescita esponenziale, sia perché il 20% dell'umanità che consuma l'80% delle risorse (dalle quattro tonnellate equivalenti petrolio anno per abitante degli europei alle otto degli statunitensi) vuole, in nome della crescita economica, consumare ancora di più, sia e soprattutto perché si sono stabilmente e giustamente affacciati sulla scena mondiale oltre due miliardi (cinesi, indiani e brasiliani) di nuovi consumatori di mobilità, illuminazione, riscaldamento, rinfrescamento, alimentazione, merci.

La crescita esponenziale del prezzo del barile, che ormai si è stabilizzato al di sopra dei cento dollari, fotografa questa contraddizione fra domanda ed offerta di greggio, forse la meno grave delle conseguenze provocate dalla scarsità di energie non rinnovabili. Essa, infatti, ha già spinto il mondo ad un riarmo, anche atomico, generalizzato e la tentazione di usarlo per conquistare il controllo del petrolio rimasto è elevatissima e per ora prevalente.

La seconda ragione che rende necessario uscire dalla dipendenza dai fossili è la drammatica accelerazione dei cambiamenti climatici. Il quarto rapporto sul clima dell'Ipcc (Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici) ci dice che nei prossimi cinquant'anni se non si riuscirà a fermare il surriscaldamento del pianeta, causato dalla combustione dei fossili, dovremo convivere con processi di progressiva desertificazione di ampie zone della terra, con un aumento esponenziale degli eventi estremi (uragani e tifoni) con un aumento del livello dei mari dovuto allo scioglimento dei ghiacci.

Basta un solo dato per far capire la dimensione dei problemi che il cambio di clima solleva alla politica: nei prossimi decenni sono previsti oltre duecento milioni di profughi ambientali.

Per rispondere a questi problemi non basta sostituire petrolio con solare e tutto può andare avanti come prima. Serve introdurre notevoli discontinuità ed innovazioni nelle politiche economiche, in quelle fiscali ed industriali e negli stessi comportamenti e stili di vita della popolazione: va messo in discussione insieme al petrolio anche il dogma dell'eterna ed infinita crescita economica su cui invece sono tuttora attestate le culture politiche delle destre, ma anche di una larghissima parte della sinistra.

E' evidente che questa svolta politica non la si può progettare se non a livello globale e quindi nel quadro di un'azione per modificare i rapporti di forza attuali che vedono prevalere risposte come la guerra preventiva al nodo della scarsità delle risorse energetiche non rinnovabili e il rifiuto di qualsiasi vincolo a ridurre i gas serra (Kyoto) per quanto riguarda il cambio di clima.

Nei prossimi due anni (elezioni americane, ma anche le decisioni di Cina, India e Brasile) si capirà quale sarà la risposta che prevarrà e in che direzione andrà il mondo. Si capirà soprattutto se il movimento di Porto Alegre per un altro mondo possibile saprà ritrovare capacità di mobilitazione e quindi incidere su questi processi, dando così anche forza al tentativo che l'Europa sta facendo di assumere la guida della lotta al riscaldamento globale (decisione unilaterale e vincolante per i suoi stati membri di ridurre, entro il 2020, le emissioni climalteranti del 20% e di aumentare entro la stessa scadenza e sempre del 20% l'efficienza e la dipendenza dalle fonti rinnovabili: le cosiddette tre venti)

Queste sono le grandi questioni al centro delle decisioni energetiche, sulle quali dovrebbe concentrarsi anche lo scontro elettorale italiano, che invece sembra quasi ignorarle. Chi governerà questo paese dopo il 13 di Aprile starà con la direttiva europea sulle tre venti o, come è stato fatto per Kyoto, la boicotterà, scaricando sulla popolazione (a proposito di caro vita) le inevitabili multe che la Ue ci infliggerà per le inadempienze? Ecco una buona domanda da porre alle varie forze politiche in campo. Una domanda che hanno già sicuramente fatto Enel ed Eni e con loro Confindustria, suggerendo anche le risposte, con il risultato di spingerle lontano dalle tre venti e dall'Europa.

Alcune brevi e schematiche note conclusive per far comprendere cosa significa invece proporsi di realizzarle. In primo luogo due no: al carbone che aumenta le emissioni e al nucleare che non emette anidride carbonica ma non sa come smaltire i rifiuti radioattivi che produce. Detto il «non fare» vediamo il fare: cambiare modello energetico; sottoporre alla cura del ferro e del cabotaggio i trasporti; aumentare l'efficienza; sviluppare le fonti rinnovabili.

Proviamo per ognuna delle proposte a fornire qualche schematica spiegazione, qualche ragionevole proposta di alternativa

Abbandonare il modello monopolista e centralistico di ora per passare a quello distribuito sul territorio significa conquistare democrazia energetica: ogni casa, ogni condominio, comunità, quartiere, centro commerciale, fabbrica produrrà l'energia di cui ha bisogno sfruttando la fonte rinnovabile più conveniente secondo le caratteristiche del sito. In questo quadro più intervento pubblico, adeguamento della rete e riforma e ridefinizione della missione di Enel ed Eni.

Sottoporre città e territorio ad una cura del ferro per spostare la mobilità di persone e merci dalla gomma al treno e al cabotaggio tra i porti, cioè concentrare su questi le scelte infrastrutturali e non su strade ed autostrade e trasporto individuale.

Far compiere a questo paese un gigantesco sforzo per migliorare la propria efficienza energetica: un piano di riqualificazione energetica degli edifici che ne riduca i consumi di elettricità e calore e sposti le attività di costruzione verso la manutenzione e riqualificazione del già costruito e non su nuova occupazione di territorio. Conquistare una reale autonomia energetica al paese sfruttando le uniche fonti energetiche di cui è ricco e cioè il sole, il vento, le biomasse, la forza dell'acqua fluente e il calore che scorre sotto terra.

Un messaggio alla Sinistra arcobaleno: proponendo queste scelte in Assia si è spostato il 12 per cento dei voti verso sinistra. Non vale la pena provarci anche qui?

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