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Tozeur, devastata dal turismo

Il modello occidentale divento il punto di riferimento. L'attrazione del turismo di massa genera dei bisogni che la produzione locale non può soddisfare. I giovani sono pronti a vendere l'anima per ottenere una moneta, un oggetto o persino un indirizzo... Primi elementi di un'illusione migratoria che coltivano come solo sbocco della loro frustrazione (5). Questi rapporti fuggevoli mascherano la qualità dell'ospitalità tradizionale.
6 agosto 2004
Claude Llena*

Tozeur è una cittadina della Tunisia, alla frontiera con l'Algeria e il nord-est del Sahara. È anche una delle oasi più famose del mondo, irrigata da 200 sorgenti. È ricca di uno splendido palmeto di più di mille ettari, con 400mila alberi. Un angolo di verde circondato da dune (erg) e da un deserto di pietre (reg). Da generazioni, il palmeto nutre gli esseri umani che vi vivono, degli homo situs (1) integrati al biotropo del territorio (2). La produzione degli orti (insalate, coste, carote, banane, datteri...) garantisce l'equilibrio alimentare della popolazione sedentaria; l'organizzazione agricola, basata su un'utilizzazione ragionevole dell'acqua, permette una produzione importante di alimenti. Dal XIV secolo, il piano di irrigazione di origine araba permette una ripartizione dell'acqua misurata dal «gadous» o clessidra idraulica. Tutti hanno accesso gratuitamente all'acqua che circola in tutte le parcelle, grazie a un'ingegnosa rete di irrigazione.
I conflitti che riguardano l'irrigazione vengono sottoposti a un tribunale popolare sovrano che assicura l'equilibrio sociale di una popolazione autosufficiente sul piano alimentare. Tutti hanno il loro posto in questa organizzazione che assicura al gruppo i mezzi della propria riproduzione.
Ma questo fragile equilibrio economico e sociale è stato fortemente scosso all'inizio degli anni '90, quando in cui il governo dà la priorità al turismo internazionale. Finanzia la costruzione di un aeroporto internazionale a Tozeur per ridurre l'ingorgo della costa sovrappopolata del Mediterraneo. Viene costruita una dozzina di alberghi di lusso per attirare i turisti del mondo intero verso dei soggiorni organizzati. Tutto è garantito dal tour operator, dalla festa berbera la sera, con musicisti «folklorizzati», fino alla passeggiata di qualche ora sui dromedari. I visitatori, tagliati fuori da ogni comunicazione con la popolazione locale, partecipano a questo apartheid turistico nella giustapposizione di un mondo schizofrenico dove i soli contatti esistenti sono di orgine commerciale. Cosa che non permette mai ai due mondi di capirsi né di condividere le stesse preoccupazioni. I visitatori, reclusi in un rapporto sociale di consumo, consumano l'acqua senza moderazione: perforazioni per l'irrigazione di giardini e prati verdi, e tubature d'acqua potabile approvvigionano le riserve per turisti. «Chi viaggia senza incontrare l'altro, non viaggia, si sposta» (3). Porta con sé le proprie rappresentazioni del mondo e riparte con le stesse idee, rafforzate dall'esperienza, visto che non ha potuto arricchirsi al contatto della cultura dei popoli autoctoni.
La situazione degli agricoltori del palmeto, aggravata da una diminuzione delle piogge e da una crescita generale della media delle temperature annuali, è così fortemente peggiorata. L'acqua, gestita storicamente in modo ragionavole, è diventata un bene come un altro. «Chi può pagare ottiene il prodotto». Questa sostanza abbondante è diventata rara, una volta mercificata. Ormai è a pagamento per l'irrigazione del palmeto (150 euro l'ettaro l'anno per un'irrigazione settimanale).
A questo prezzo, pochi agricoltori hanno potuto soppravvivere. Progressivamente, i lavoratori dell'oasi abbandonano il lavoro dei campi per dedicarsi alle attività turistiche. Passano rapidamente dalla logica dell'Homo situs a quella dell'Homo oeconomicus, che volta le spalle a secoli di sopravvivenza sul territorio.

Questo non resterà senza conseguenze per le persone più fragili della comunità, i giovani. Alcuni di loro troveranno un impiego fisso (contratto a durata indeterminata) negli alberghi e presso i tour operators della città. La grande maggioranza, ancora più flessibile (lavoro in affitto o contratti a durata determinata) serve come riserva di aggiustamento rispetto alla domanda turistica. Ma dopo gli avvenimenti dell'11 settembre 2001 è un'attività in crisi. Con più del 40% di disoccupazione, tutta la zona è ormai dipendente dall'offerta esterna.
Prima di tutto sul piano alimentare. Le verdure arrivano ogni domenica da fuori: sono prodotte in luoghi a forte produttività, dove gli equilibri ecologici e sociali vengono scossi, ma con dei costi di produzione inferiori a quelli del palmeto. Il calcolo e la filosofia in termini di costi si sono imposti al posto della capacità di auto-organizzazione dei popoli del palmeto (4). Un economicismo larvato ha destabilizzato il fragile equilibrio del territorio. In secondo luogo, vi sono conseguenze a livello finanziario. Di fronte alla mancanza di liquidi, l'economia turistica resta la sola fonte di reddito monetario. Ma questa attività dipende dal contesto internazionale. Il mito del deserto, alimentato dai media, conosce, è vero, un certo successo. Tuttavia, neppure i prezzi attraenti degli ultimi tempi riescono a controbilanciare il timore del terrorismo. Conseguenze, infine, anche nel campo culturale.

Il modello occidentale divento il punto di riferimento. L'attrazione del turismo di massa genera dei bisogni che la produzione locale non può soddisfare. I giovani sono pronti a vendere l'anima per ottenere una moneta, un oggetto o persino un indirizzo... Primi elementi di un'illusione migratoria che coltivano come solo sbocco della loro frustrazione (5). Questi rapporti fuggevoli mascherano la qualità dell'ospitalità tradizionale.
Ahmed, vecchio scrivano pubblico della città, ne è testimone: «ancora fino a qualche anno fa, i giovani erano ben disposti a fare degli sforzi per rispettare la tradizione... Ma adesso, questa gioventù ci fa disperare. Non vogliono più lavorare la terra degli antenati, preferiscono pervertirsi al contatto dei gruppi di turisti. Cercano i soldi e non l'amicizia: sono due cose diverse. Il musulmano deve accogliere lo straniero e dividere con lui ciò che ha di meglio.
- Ma non cercate di mostrare loro quali sono i valori del popolo tunisino? - Certo, ma sono affascinati dal mondo occidentale...».
La minoranza di possidenti e il capitale turistico del nord hanno rapidamente messo le mani su questa rendita turistica, a detrimento della popolazione locale. Peggio, il turismo viene visto come la sola soluzione per il preteso sviluppo della zona. Il vettore principale di questa colonizzazione dell'immaginario resta il mito dello sviluppo e dell'Occidente. «Una volta, lavoravo con mio padre nel palmeto - racconta Bechir, 20 anni, seduto su una panchina in attesa dei turisti - ma il lavoro era duro. E sovente, malgrado gli sforzi, non riuscivamo a portare a casa i soldi necessari. Con il turismo, qui a Tozeur non c'è più posto per l'agricoltura. Il lavoro che facevano i nostri antenati, noi non siamo più disposti a farlo. Preferiamo lavorare con i turisti». Ma se i turisti non vengono? «Beh, aspetteremo che arrivino... La situazione finirà per migliorare ad un certo punto!».

Questo inquinamento fisico e morale è simbolizzato dall'arretramento del palmento di fronte al deserto. Solo il 25% delle terre sono coltivate, mentre numerosi palmeti muoiono non innaffiate e senza cure. Il palmeto serve da ricettacolo per le bottiglie in plastica di acqua minerale - residuo materiale e derisorio dell'inquinamento turistico. In più, dall'anno scorso, un faraonico cantiere di costruzione di un campo da golf in pieno deserto deforma i bordi del palmeto. Come far crescere un prato con 50 gradi all'ombra per la metà dell'anno? È la sfida tentata da questo cantiere di sterro che andrà ad attingere nella falda freatica per mantenere dei prati seminati in pieno deserto.È lecito pensare che il peggio debba ancora arrivare.
Ecco come una regione un tempo autosufficiente a livello alimentare, fiera della propria cultura e della propria identità, abbia lasciato a una minoranza il compito di organizzare il suo presente e il suo avvenire. I progetti basati sull'ideologia dello sviluppo voltano le spalle alla tradizione per imporre un'industria alberghiera e turistica al servizio degli occidentali e di una minoranza possidente, che potranno giocare a golf sotto le palme (6)... Piacere osceno e derisorio, che rimette in questione i fragili equilibri ecologici e sociali della popolazione locale. Aspettando i turisti e malgrado i precetti fondamentali dell'islam, una parte di questa popolazione destrutturata si dà all'alcol per dimenticare che ha venduto l'anima e il palmeto. D'altronde è proprio nel palmeto che si raggruppano i bevitori, al riparo dagli sguardi, al fresco dell'ombra delle palme e, forse anche, in modo simbolico, per onorare ciò che ha fatto la fierezza e poi il disincanto (7) dei popoli della regione.

Note: * Insegnante-ricercatore in scienze sociali, università Montpellier III.

(1) Come suggerisce la teoria dei siti, l'homo situs è un individuo che interpreta e si adatta con i mezzi del gruppo alle situazioni a cui è messo a confronto. È un elemento del biotropo del territorio, che non cerca per nulla di dominare ma semplicemente a sopravvivervi.
È anche un uomo sociale, che pensa e agisce. Leggi Hassan Zaoual, Territoires et dynamiques économiques, L'Harmattan, Parigi, 1998.

(2) Il territorio, nel senso della definizione che ne dà Roger Brunet in Le territoire dans les turbulences, Belin-Parigi, 1999: «Il territorio (...) è uno spazio appropriato (...). Appropriato va letto nei due sensi: proprio per sé e proprio per qualche cosa».
(3) Frase di Alexandra David-Neel, grande viaggiatrice francese del XX secolo.

(4) Vedi gli atti degli incontri regionali, «Autoproduzione e sviluppo sociale», che si sono svolti a Marsiglia il 5 ottobre 2000. In particolare, l'intervento di Guy Roustang: «Riconoscere l'importanza dell'autoproduzione».

(5) Cfr. Pierre Vermeren, «Il miraggio di Schengen. I marocchini che sognano l'Europa», Le Monde diplomatique/il manifesto, giugno 2002.

(6) Samir Amin parla di borghesia compradora in Au-delà du capitalisme sénile, Puf, Parigi, 2002. Per sfumare questo dominio, mostra l'indebolimento della posizione dei ricchi: «le contraddizioni globali nord-sud sono destinate ad aggravarsi. Di fronte a questa situazione, la vulnerabilità e la fragilità dei poteri compradori (...) nei paesi del sud rendono possibile (...) l'instabilità del loro dominio».

(7) Nel senso di Max Weber in L'Etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, 1945.
(Traduzione di A.M.M.) aa   qq
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