L'Iraq precipita nel caos, dicono i generali Usa
Nei loro briefing, o incontri di lavoro, anche ai militari come a molti executives piace molto mostrare schemi e diagrammi computerizzati in PowerPoint. Il diagramma mostrato un paio di settimane fa al Pentagono dai generali del Comando Centrale degli Stati uniti riguarda l'Iraq: è una sorta di barometro del conflitto interno, e mostra un paese che veleggia verso il caos.
Il diagramma in questione risale al 18 ottobre ed è materiale segreto, ma è arrivato in mano al New York Times che lo ha pubblicato ieri. Un grafico semplicissimo, sotto il titolo «Indice di conflitto civile»: è una scala che ha all'estremo sinistro la situazione «pace», all'estremo destro la situazione «caos». Prima dell'attentato che ha provocato una strage nel mausoleo shiita di Samarra, nel febbraio scorso, la freccia era quasi al centro, una situazione di relativo equilibrio: da allora si è spostata rapidamente verso la zona «caos».
Lo schemino mostra in modo davvero efficace come i generali Usa vedono la situazione irachena. La parola «guerra civile» era stata già pronunciata in agosto dal generale John P. Abizaid, il capo del Central Command: aveva parlato di «rischio di guerra civile» in Iraq, ma aveva anche detto di pensare che si potesse ancora evitare. L'amministrazione di Washington aborre la parola «guerra civile», come del resto la parola «caos». Dal diagramma arrivato al NYTimes però si capisce che i generali americani vedono così l'Iraq: un paese in pieno conflitto interno e sull'orlo del caos.
In fondo al riquadro c'è una sintesi: «Le aree urbane stanno vivendo una campagna di "pulizia etnica" per consolidare il controllo»; «La violenza è al livello più alto finora raggiunto, e si espande geograficamente».
Altrettanto sintetica è la legenda al diagramma. I fattori chiave nel valutare il conflitto civile sono la retorica ostile da parte di leader politici e religiosi delle diverse parti, misurata ascoltando sermoni e discorsi di leader sunniti e sciiti (è molto alta ma stabile). Poi l'influenza dei leader politici e religiosi più moderati sulle rispettive basi d'opinione: e questa è in netto ribasso. Altri fattori sono le uccisioni e attacchi settari, e i «conflitti spontanei di massa». Altre variabili considerate sono l'attività delle milizie armate (in aumento), i problemi di «governance» (cioè la corruzione e inefficaca del governo, giudicata alta), l'inefficacia della polizia («significativa») e quella dell'esercito, il numero di civili costretti a sfollare per fuggire alla tensione e violenza settaria (in aumento). Sono indicatori del «conflitto civile» infine l'accelerazionme dei kurdi iracheni verso la secesisone e l'annessione di Kirkuk, e la violenza generalizzata motivata da differenze settarie, che è entrata in una fase «critica».
Uno dei fattori considerati chiave in questa descrizione, dicono i militari, è l'attività delle milizie: i militari americani ammettono che le forze di sicurezza irachene, addestrate per anni, sono o incapaci di far fronte alla situazione, o infarcite dalle stesse milizie che dovrebbero combattere. E questa è anche un'ammissione di quanto sia una finzione la «sovranità» irachena, basata du un governo del tutto dipendente dal sostegno di Washington e su forze di sicurezza inefficaci. Non è preso in considerazione un dato che segnalano invece le organizzazioni umanitarie: in Iraq le famiglie hanno paura di mandare a scuola i figli, tanto è pericoloso uscire per strada, e secondo lo stesso ministero dell'istruzione di Banghdad la frequenza scolastica quest'anno è crollata del 30 percento.
La situazione è andata precipitando dopo l'attacco alla moschea di Samarra, confermano alti ufficiali del Central Command al giornale newyorkese (che parlano anonimamente). In effetto l'ultimo scivolamento verso la zona «caos» è della settimana precedente al briefing del 18 ottobre: pochi giorni dopo il generale Abizaid ha incontrato il presidente george Bush, il segretario alla difesa Donald Rumsfeld e il generale Peter Pace, capo dello stato maggiore, per informarli della situazione in Iraq. Si può immaginare che la parola «caos» sia stata evocata.
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