A Dream of Iron
A Dream of Iron, Kelvin Kyung Kun Park
Alcune persone cercano Dio in una spiritualità astratta, mentre altri lo trovano nel mondo. Dopo aver perso il suo amante per motivi religiosi, il regista Kelvin Kyung Kun Park decide di trovare il suo dio personale che possa dimostrare che esiste un sublime “domestico”. Park vive a Ulsan e cerca il suo dio tra le compagnie metallurgiche della città, i cui operai siderurgici sono per lui come monaci buddisti, con i loro rituali di servizio a un potere superiore. Park guarda così alla crescita dell’industria del ferro attraverso un filtro spirituale, catturando con la sua telecamera immagini straordinarie: vasche gigantesche di metallo liquido, gru colossali, fasce di metallo grandi quanto le navi container nel cantiere Hyundai. Combinando ambienti industriali di grandi dimensioni e la piccolezza dell’uomo, il film è un sogno di ferro, una storia d’amore non corrisposto e una ricerca spirituale, tutto in uno.
Fonte: http://www.artribune.com/dettaglio/evento/42964/film-screening/
L'industrializzazione della città portuale di Ulsan ha portato la Corea verso la modernità, ma ha anche segnato il definitivo tramonto di quell'età di comunione con la natura e adorazione degli dei (rappresentati come balene nei pittogrammi rupestri della zona) alla prostrazione di fronte al Dio della macchina (al Dio denaro?).
E' un peccato, perchè la componente documentaristica offre squarci suggestivi , che ricordano le visioni pseudo-fantascientifiche di Apocalisse nel deserto di Werner Herzog: panoramiche aeree su sterminati scheletri di navi, laminati, pistoni, fornaci, gru e macchinari ciclopici, una sinfonia visiva un po' surrealista alla Le Ballet Mécanique, ma angosciosa come un film cyberpunk di Shinya Tsukamoto. Il ritmo è però spezzato da riprese subacquee di balene o di rituali monacali: come ha potuto Park non accorgersi dei rovinosi cali di ritmo che questa scelta ha comportato?
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