Privacy, la libertà è già oltre il diritto

18 settembre 2007
Franco Berardi Bifo
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Goodbye privacy, è stato questo il tema centrale di Ars Electronica, la manifestazione che ha accompagnato per tutti gli anni 80 l'emergere della cybercultura e che ha avuto una funzione essenziale nel definire l'immagine della città austriaca di Linz, sede dell'evento, la cui vita economica un tempo girava intorno alla produzione di acciaio, e oggi è decisamente centrata sull'alta tecnologia. Nell'epoca pionieristica della cybercultura prevaleva in tutti i frequentatori la sensazione di partecipare alla costruzione di una sorta di mondo02. Ancor prima che la parola Internet significasse qualcosa, lo spazio immaginario condiviso era quello di una rete indipendente dal dominio terrestre dell'economia. Alla fine del decennio cyberculturale Peter Weibel (un artista, e un teorico attento techno-oriented) venne sostituito da Gelfried Stocker, un giovinotto di grandi capacità organizzative in perfetta sintonia con gli interessi della comunità economica cittadina. E Ars Electronica si trasformò in una sorta di fiera della sperimentazione high tech. Oggi il gadget predomina nell'esposizione e l'aspetto spettacolare ha acquisito un carattere decisamente popolare. Ciononostante continua a pulsare un cervello collettivo attento alle tendenza, capace di coglierne aspetti interessanti.
Nel corso della ventottesima edizione, conclusasi appena qualche giorno fa, filosofi come Beate Rossler e Brian Holmes, artisti come Jordan Crandall e Mario Peljihan, attivisti come Jaromil, hanno affrontato in un simposio il tema della privacy, con cui intendiamo generalmente una condizione protetta dallo sguardo pubblico, la possibilità cioè di compiere azioni e scambi puramente privati. Si elaborano regolamenti giuridici finalizzati a proteggere la privacy dei cittadini, ma si dimentica che la privacy non consiste solo nel diritto a non essere visti, ma anche nel diritto a non vedere, a non essere continuamente esposti alla visione e all'ascolto di ciò che non vorremmo vedere e ascoltare. La pubblicità viola continuamente questa privacy introducendo i sui messaggi visivi e sonori in ogni millimentro del nostro spazio visuale e in ogni secondo del nostro tempo. La diffusione degli schermi nei luoghi pubblici (stazioni ferroviarie, aereoporti, strade e piazze cittadine) fa parte di questa occupazione abusiva dello spazio pubblico e della dimensione privata della nostra sensibilità. In ogni luogo, in ogni tempo possiamo entrare nella modalità di azione telematica, e siamo costretti a farlo perché questo è l'unico modo di partecipare al mercato del lavoro. Siamo in condizione di raggiungere ogni punto del mondo, ma soprattutto siamo accessibili da ogni punto del mondo. In queste condizioni la possibilità stessa della privacy è cancellata, se diamo a questa parola il suo significato pieno, e non soltanto quello ristretto del linguaggio giuridico.
Un secondo aspetto interessante del festival è sintetizzato dall'espressione "web03 NeoAnalog". Si tratta dello sviluppo di interfacce rivolte non solo alla semplificazione dell'uso, ma soprattutto rivolte alla creazione di una modalità "meta-digitale". Per intenderci, la possibilità di disegnare direttamente sullo schermo con le dita, la possibilità di interagire con l'ambiente digitale senza dovere usare una tastiera, ma semplicemente muovendosi in uno spazio sensibile. La linea di tendenza è quella della ricostituzione di una modalità analoga di interazione con un ambiente che nasconde dispositivi digitali di grande complessità. La prospettiva è quella dell'integrazione del sensorio umano con una rete digitale sinestetica. Sul tema della convergenza delle radio nel web, è nato un dibattito con tecnici della radiofonia, attivisti di vari paesi impegnati in questo settore, e con un consulente governativo austriaco, Sebastien Loudon. Quel che mi ha più colpito è la riconsiderazione della questione deregulation-liberalizzazione-libertà di espressione. Tra coloro che agiscono nel campo della sperimentazione mediatica, è ormai del tutto sfatato il mito cyberculturale della libertà di espressione che convive con la deregulation o addirittura ne è favorita. Christoph Lindenmayer, ad esempio, ha sviluppato un'interessante considerazione critica dell'ideologia dell'openness e del peer-to-peer. L'idea che distribuire un computer connesso a tutti sia di per sé la soluzione del problema della libertà di espressione è un'illusione, visto che in condizioni di deregulation il potere delle grandi corporation schiaccia ai margini la voce della grande maggioranza dei produttori, che vengono così ridotti ad una minuscola periferia dell'universo mediatico. Il concetto di deregulation, che ha ambiguamente accompagnato l'emergere della cybercultura negli anni 90 si rivela ormai per quello che è: un falso ideologico. La parola suggerisce l'abolizione di ogni regolazione, di ogni norma impositiva. La realtà è quella dell'eliminazione di ogni regola che non sia quella più oppressiva di tutti, la regola economica, la regola del profitto, la regola dello sfruttamento del lavoro e dell'attenzione.

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