Dice addio a Napoli la Sesta flotta Usa ma non lascia altri recapiti
http://www.liberazione.it/giornale/040226/LB12D6B2.asp
«Preferiamo che ci sia un annuncio americano», ha detto ieri Frattini alla Reuters e la sua non smentita suona come la conferma che davvero la Sesta flotta del Pentagono lascerà l'Italia - o, almeno, Napoli - come anticipato nei giorni scorsi da Lucio Manisco su Liberazione.
Ma dove andranno le portaerei dello zio Sam? Il nuovo piano le vedrebbe, secondo indiscrezioni pubblicate dal Financial Times, El Mundo, e dal Guardian, ancorare in Spagna, a Rota sull'Atlantico. O, al contrario, a Taranto, come sostiene Peacelink, organizzazione pacifista molto radicata nella città pugliese. La sua ipotesi, basata su un documento del Pentagono del 2002, è stata poi smentita da fonti militari Usa (per quello che valgono) ma rilanciata recentemente dal settimanale Il mondo che cita un accordo tra Cheeney e Palazzo Chigi dopo colloqui tra Bush e Berlusconi. A Taranto, secondo questa fonte, traslocherebbe anche il "grande orecchio" di Echelon che si trovava fino a due anni fa a S. Vito dei Normanni (Brindisi). Inoltre, quel porto è l'unico con le caratteristiche "Hrf hq Nato" per la Us Navy.
Il ministro degli esteri di Berlusconi, invece, sembra indicare l'est. A proposito parla di un «ridispiegamento parziale rispondente alla logica di un'attenzione al Mediterraneo orientale o a paesi strategici come la Turchia». L'Italia, in cambio, accede alla rotazione nelle posizioni apicali di alcune direzioni Nato. Ma Frattini ci tiene ad aggiungere che «Napoli non sarà comunque abbandonata (infatti dovrebbe restare lì il comando della VI Flotta, ndr)» per rispondere soprattutto ai timori presenti nell'indotto occupazionale di questa e altre città - come Gaeta - occupate dalle basi Usa.
Anche il suo collega alla Difesa, Martino, rispondendo sempre ieri ad un'interrogazione della deputata Prc Elettra Deiana non esclude «che possa essere inserita anche una diversa dislocazione della presenza Usa su tutto il territorio nazionale» nell'ambito della "ristrutturazione" in corso dovuta sia a motivi economici sia alle esigenze dell'intrapresa della guerra globale permanente da parte dell'alleato nordamericano. Il question time di Deiana si riferiva soprattutto ai destini della Maddalena, l'isola a nord della Sardegna occupata da una base nucleare Usa dal '72 in base ad accordi segreti mai ratificati in Parlamento e sulla quale pende una delibera della Regione Sardegna che ne pretende lo smantellamento. Ma lo stesso Martino, alla fine di settembre, ne aveva annunciato l'ampliamento che, in realtà, non sarebbe altro che la costruzione di una nuova imponente base a terra. Da anni, inoltre, i pacifisti e il comitato sardo "Gettiamo le basi" denunciano l'aumento abnorme di patologie tumorali e malformazioni neonatali, dovute alla radioattività della zona. Dopo l'incidente al sommergibile Usa Hartford (ottobre 2003), il rapporto della Criirad, un ente indipendente, ha rivelato anche che la presenza nelle acque di torio 234 (derivato dall'uranio) è 400 volte superiore alla norma. Martino - in buona compagnia di governi di ogni polo - ha sempre ignorato queste denunce e, anche ieri, si è trincerato dietro il segreto militare per non dire in cosa consista esattamente la modifica dell'assetto Usa sul nostro territorio. Si parla da tempo, e Colin Powell lo ha confermato recentemente incontrando il nuovo segretario generale Nato, di "snellimenti" in una trentina di altri siti. Ne resterebbero cento e alcuni, la Maddalena, Taranto, forse Sigonella e Camp Darby, potrebbero addirittura diventare più ingombranti.
Resta insoluta, di fronte alla ridislocazione ormai più che annunciata, la domanda di Elettra Deiana al ministro: «Desecretiamo e rinegoziamo oppure si continua a dire yes?». Le Carovane di pace e la manifestazione del 20 marzo serviranno anche a promuovere la smilitarizzazione dei territori e delle nostre vite. Senza se e senza ma.
Che. Ant.
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