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Basta guerre comunque le si chiamino: Dal nuovo modello di difesa del 1991 al libro bianco della Pinotti. Come calpestare l’art. 11 della Costituzione, liberare la guerra e definire un nuovo modello di società militarizzata

i diritti e i valori devono essere riconfermati e difesi sempre perché possono entrare in crisi continuamente
26 ottobre 2017

Brazil

Sabato 14 e domenica 15 ottobre presso il Centro Sociale 28 maggio di Rovato (BS) si è svolto il convegno contro la guerra “Basta guerre comunque le si chiamino”. Nella giornata di sabato ci sono stati gli interventi di Manlio Dinucci (La terza guerra mondiale oggi: quali i motivi, gli attori, gli interessi, le caratteristiche; Rossana De Simone (Dal nuovo modello di difesa del 1991 al libro bianco della Pinotti. Come calpestare l’art. 11 della Costituzione, liberare la guerra e definire un nuovo modello di società militarizzata); Giorgio Cremaschi (Neoliberismo e guerra. Quali gli effetti sulla società e come possiamo resistervi); Giorgio Beretta (Spese militari ed esportazione di armi nel tempo della guerra); Antonio Mazzeo (Ricerca e sviluppo militare. Il reclutamento alla guerra dell’università e della scuola); padre Alex Zanotelli e don Fabio Corazzina (Globalizzazione, crisi, guerra e fenomeni migratori. La risposta militare del sistema); Angelo Baracca (Contro i dottor stranamore della guerra atomica. Bandire le armi atomiche anche in Italia, le armi nucleari dalle basi aeree, le navi con armi o propulsione nucleare dai porti e fermare la filiera nucleare (dalle centrali nucleari ai vettori come l’F35). Domenica si è svolta una assemblea partecipata e appassionata con interventi dei comitati contro la guerra e i suoi strumenti. http://28maggio.org/convegno-la-guerra/

Questi sono gli appunti utilizzati per l’intervento “Dal nuovo modello di difesa del 1991 al libro bianco della Pinotti. Come calpestare l’art. 11 della Costituzione, liberare la guerra e definire un nuovo modello di società militarizzata”:

Perché è significativo mettere in relazione il modello di Difesa di Rognoni del 1991 e quello del 2015 del ministro Pinotti? La risposta sta in una delle due date che secondo lo storico E.J. Hobsbawm ha costituito uno spartiacque del novecento, il 1991, anno che ha segnato il crollo dell’URSS e degli altri paesi socialisti dell’Europa orientale dopo la caduta del Muro di Berlino (l’altra è il 1914, anno di inizio della Prima guerra mondiale).

Nel 1991 gli Stati Uniti emettono il “National Security Strategy of the United States” (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti) in cui si legge che gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza realmente globale e con una portata e un'influenza in ogni dimensione, politica, economica e militare. Per gli americani diviene urgente ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso dell’Alleanza atlantica, perché venuta meno la “minaccia sovietica”, l’Europa potrebbe ritenere inutile la NATO e prepararne lo scioglimento come accaduto per il Patto di Varsavia nel 1995 magari creando un proprio esercito. La NATO deve dotarsi di un nuovo nemico: il pericolo non sarà più "unidirezionale" ma piuttosto "multidirezionale" e la minaccia alla pace sarà dovuta alla frammentazione politica e avanzata dei nazionalismi, movimenti migratori e conflitti etnico-religiosi, infine dal terrorismo interno ed esterno.
Il 16 gennaio 1991 ebbe inizio l'operazione "Desert storm", la prima guerra del Golfo, con gli Stati Uniti alla guida di una coalizione di 35 stati, l’8 novembre a Roma si ratifica il nuovo concetto strategico dell’Alleanza Atlantica, il 26 novembre il ministro Rognoni presenta alla Camera il nuovo Modello di Difesa italiano e, con la dichiarazione di indipendenza della Slovenia dalla Jugoslavia del 25 giugno 1991, si dà l’avvio a quella che sarà la prima guerra in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale.

NUOVO CONCETTO STRATEGICO DELL’ALLEANZA ATLANTICA 1991 e nuovo Modello di Difesa italiano: nuova interpretazione dei concetti di sovranità, sicurezza e tecnologia intesa come capacità di potenza.

Nel documento “Strategic Concept 1991” della NATO si legge che “Contrariamente alla predominante minaccia del passato i rischi che permangono per la sicurezza dell'Alleanza sono di natura multiforme e multidirezionali, cosa che li rende difficili da prevedere e valutare. Le tensioni potrebbero portare a crisi dannose per la stabilità europea e perfino a conflitti armati, che potrebbero coinvolgere potenze esterne o espandersi sin dentro i paesi della Nato”. Di fronte a questi e altri rischi “la dimensione militare della nostra Alleanza resta un fattore essenziale, ma il fatto nuovo è che sarà più che mai al servizio di un concetto ampio di sicurezza”. Si definisce così un nuovo concetto di sicurezza non più solo come risposta a una minaccia, ma sulle capacità di prevenirle anche al di fuori dell’area nord-atlantica, superando di fatto la dottrina strategica legata all’articolo 5 che prevedeva la NATO come organismo di mutua difesa nei confronti di un attacco proveniente dagli Stati del patto di Varsavia.
Tale strategia è fatta propria anche dall’Italia nel momento in cui il ministero della difesa Rognoni pubblica il rapporto Modello di Difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. Il documento riconfigura la collocazione geostrategica dell'Italia definendola “elemento centrale dell'area geostrategica che si estende dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d'Africa e il Golfo Persico con realtà ambientali, sociali, economiche, etniche e religiose fortemente differenziate”. Queste le linee guida: prevenzione attiva cioè proiezione in operazioni di polizia, gestione delle crisi, slittamento del termine difesa in sicurezza. La sicurezza nazionale diventa la giustificazione dello sviluppo dell’apparato delle Forze armate e apre alla figura di un comandante militare con pieni poteri. La tutela degli interessi nazionali è tutela degli obiettivi economici. Se il pericolo viene dal sud, crescita democratica, fondamentalismo religioso, integralismo anti-occidentale, diviene necessario essere capaci di proiettarsi in qualsiasi parte del mondo e per questo c’è bisogno di una industria della difesa e dello strumento militare.

Stando al documento della NATO pubblicato in Italia non è necessaria la ratifica parlamentare. Vi sono state due sentenze della Corte costituzionale tedesca che consentono di capire come i giudici si sottomettano al volere del potere esecutivo su sentenze relative alla partecipazione NATO in operazioni fuori area. Il partito socialista tedesco nel 2001 contestava l’approvazione del governo del nuovo concetto strategico della NATO con un ricorso per conflitto di attribuzione in quanto non aveva chiesto l’approvazione del Parlamento. La Corte respinge il ricorso perché il nuovo concetto strategico è una generica dichiarazione di intenti e non una modifica tacita del Trattato e perché gli interventi militari a tutela della pace e della sicurezza non sono in contrasto con il diritto consuetudinario, ma al contrario una attuazione dei principi della carta ONU. Il secondo ricorso riguarda la trasformazione da difesa a strumento di polizia internazionale con l’impiego dei caccia Tornado in Afghanistan. La Corte respinge il ricorso interpretando in modo ampio la nozione di legittima difesa collettiva.

IL RUOLO DELL’ONU

Le forze armate dei membri NATO devono dunque assicurare maggiore stabilità e mobilità, contribuire alle missioni ONU, e più in generale a operazioni di polizia volte a prevenire sicurezza e la cooperazione in Europa fondate su identici valori. Rispetto alla Carta ONU si è visto che l’uso della forza si è indirizzata verso operazioni di peacekeeping (mantenimento della pace) e autorizzazioni alla forza annullando di fatto la distinzione fra interventi armati di Stati e quelli di organizzazioni internazionali. L‘evoluzione del concetto di minaccia alla sicurezza, che ha caratterizzato l’attività della NATO, è avvenuta infatti parallelamente all’evoluzione del concetto di minaccia alla pace e sicurezza internazionale secondo la prassi del Consiglio di Sicurezza ONU (emergenza umanitaria cap. VII, natura umanitaria dell’intervento) e dal venir meno di ogni distinzione tra guerra internazionale e guerra interna. Il riferimento arriva dalle Risoluzioni 1970 e 1973 del 2011 nel caso della Libia, violazione dei diritti umani di Saddam sul proprio popolo o quella dei leader di stati africani (guerre civili). L’ONU ha dato l’autorizzazione a missioni umanitarie circoscritte senza bombardamenti o invasioni di un determinato Stato, ma l’illiceità può o deve essere sanata dal consenso dello Stato che ha sollecitato l’intervento. L’intervento nella ex-Jugoslavia ha inoltre introdotto elementi di novità nella pratica del Consiglio di sicurezza perché lo scopo era quello di fronteggiare una crisi umanitaria che ne diveniva l’aspetto caratterizzante. L’ONU a questo punto non poteva che dichiarare che l’autorizzazione di misure coercitive erano state adottate solo dopo aver accertato l’esistenza di una minaccia alla pace.

CASO DELLA EX JUGOSLAVIA: Non c’è stata autorizzazione dell’ONU nell’intervento NATO nel Kossovo, primo attacco NATO contro uno Stato sovrano, ma quella alla fine dei bombardamenti una missione NATO di stabilizzazione della pace e protezione di diritti umani (peacebuilding). Tuttavia dopo la risoluzione 836 del 4 giugno 1993 i velivoli dell'alleanza atlantica furono autorizzati a condurre raid armati contro obiettivi al suolo onde fornire protezione alle unità della missione dei caschi blu in Bosnia (UNPROFOR), in particolare nelle sei "zone di sicurezza" istituite attorno ad altrettante città assediate dalle forze dei serbo-bosniaci di Sarajevo, Srebrenica, Žepa, Goražde, Tuzla e Bihać. Tale modello fu usato anche in relazione alla situazione della Repubblica Democratica del Congo (risoluzione 1565 del 2004). Il 30 agosto 1995 la NATO scatenò l'Operazione Deliberate Force (in risposta al bombardamento del mercato di Sarajevo del 28 agosto 1995) contro le forze della Repubblica Serba in Bosnia di Karadžić. Aggirate le posizioni dei vertici ONU, contrari ad ogni tipo di intervento per non screditare i caratteri di imparzialità della loro missione, il generale Rupert Smith, comandante dei caschi blu in Bosnia ed Erzegovina, si accollò la responsabilità di ogni decisione al riguardo e diede il via libera all'intervento occidentale.

ARTICOLO 11 della Costituzione: Si è cercato di aggirare il valore dell’art. 11 laddove parla della limitazione della sovranità a favore delle organizzazioni internazionali con argomentazioni che supponevano la scomponibilità dell’articolo in due proposizioni indipendenti e slegate per neutralizzare il divieto iniziale. D’Alema difese in Parlamento la partecipazione dell’Italia all’intervento armato in Kossovo ricordando questa tesi delle due parti. Questa non è una giustificazione giuridica ma politica. Con il modello Rognoni fra l’altro non si era posta la domanda se le organizzazioni internazionali siano in grado di garantire gli obiettivi costituzionali (nel caso della prima guerra del Golfo Giulio Andreotti si era appellato all’art. 117 che vincola la legislazione al rispetto degli obblighi internazionali). Per i costituenti la necessità della limitazione della sovranità era in funzione della pace, solidarietà internazionale e giustizia nei rapporti dei popoli. Già nel Manifesto di Ventotene per un'Europa libera e unita (del ’41 ma pubblicato nel ’44) veniva indicata la sovranità statale assoluta come causa principale dei conflitti e primo ostacolo alla pace in linea con il progetto federalista di Giulio Einaudi. Il superamento delle chiusure nazionalistiche e la considerazione della sovranità nella sua assolutezza era dunque l’ostacolo principale per la pace, ma la limitazione della sovranità doveva avvenire in condizione di reciprocità, di uguaglianza fra gli Stati. Ma è proprio Il principio di uguaglianza, uno dei cardini dell’ONU, quello che viene derogato dal fatto che 5 nazioni hanno diritto di veto (USA, Cina, Regno Unito, Francia e Russia). Stessa cosa accade con il Trattato di non proliferazione nucleare. Anche il TNP perpetua il regime privilegiato dei 5 paesi che hanno il diritto di possedere l’atomica mentre agli altri Stati è proibito.

Non è un caso che la Corte Costituzionale abbia messo in rilievo come le limitazioni di sovranità debbano avvenire in condizione di parità (riferimento particolare alla UE).

Ma se il concetto di sovranità s’indebolisce quando considerato nella prospettiva del diritto internazionale e i diritti umani e la loro garanzia rappresentano uno dei profili essenziali dell’attuale realtà dei rapporti internazionali (gli Stati non sarebbero più in grado di opporre lo schermo della sovranità territoriale per permettersi di abusare in modo inaccettabile del loro potere sulle comunità soggette), la comunità internazionale si è mostrata incapace di rispondere alle nuove sfide della guerra asimmetrica e della propagandata “guerra al terrorismo” che ha caratterizzato fine e inizio di due secoli. Si è assistito ad uno stravolgimento radicale del diritto internazionale con gli Stati Uniti (e gli alleati) che usano le Nazioni Unite e il suo Consiglio di sicurezza come una copertura per le proprie guerre. Per non offendere l’opinione pubblica occidentale la guerra ha inoltre subito varianti terminologiche come guerra giusta, umanitaria, democratica e preventiva. Questo slittamento è avvenuto con l’affacciarsi di nuove forma di conflitto che per alcuni costituzionalisti pongono in luce la difficoltà di assicurare il rispetto del divieto contenuto nella prima parte dell’art. 11. Ritengono cioè che la limitazione della sovranità a favore di organizzazioni internazionali sia necessaria per legittimare il ricorso alla forza in nome della sicurezza collettiva. Conseguentemente il ripudio della guerra e la limitazione della sovranità vengono considerati due principi che hanno lo stesso rango fondamentale.

Lo stravolgimento dell’art.11 della Costituzione (ma non solo) dovrebbe far capire che i diritti e i valori devono essere riconfermati e difesi sempre perché possono entrare in crisi continuamente.

LIBRO BIANCO PER LA SICUREZZA INTERNAZIONALE E LA DIFESA 2015

C’è un binomio che ci offre una immagine chiara sulla continuità ma anche differenza fra il modello di difesa di Rognoni e quello della Pinotti. Ed è sicurezza e sviluppo tecnologico. L’interconessione con il concetto di sovranità è immediata già nelle prime pagine del Libro Bianco: “L’esigenza di uno Stato più capace di tutelare gli interessi nazionali deriva dai mutamenti che osserviamo in un mondo sempre più complesso. Il nuovo millennio, infatti, si caratterizza soprattutto per due cambiamenti epocali: la globalizzazione e la rivoluzione digitale, che alimentano una sempre più forte interconnessione e interdipendenza fra le diverse aree geografiche, Paesi, settori economici, mercati e culture. Una lungimirante e pragmatica politica di sicurezza internazionale e di difesa è essenziale per dotare il nostro Paese di uno strumento idoneo a tutelare la più importante delle conquiste che con grandi sacrifici abbiamo ottenuto: la nostra libertà. Ci può, inoltre, proteggere dai rischi e da eventuali minacce e ci consente di far fronte alle nostre responsabilità all’interno della comunità internazionale”.
Oggi il concetto di sicurezza non può essere riferito solo ad un territorio o ad interessi materiali di una nazione, ma anche allo spazio cibernetico che comprende le reti di informazione e di comunicazione e tutti i dispositivi fissi e mobili che si connettono a internet. Per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico dobbiamo far riferimento alle tecnologie elettroniche, informatiche e dei sistemi di telecomunicazione visto che lo scontro fra potenze avviene su piani economici-finanziari e militari. E’ indubbio che la leadership mondiale si gioca sullo sviluppo della tecnologia per assicurarsi una supremazia totale. Necessariamente In un mondo ormai così globalizzato e interconesso non è più possibile mettere fra parentesi vari argomenti o temi (guerra, spese militari o industria bellica), cioè isolarli, ma bisogna sempre far riferimento al contesto globale, al sistema o modello di sviluppo nel quale viviamo. Nel modello di difesa della Pinotti il paese deve allora salvaguardare i propri interessi nazionali, la protezione e tutela delle popolazioni nelle aree di crisi e sviluppare livelli crescenti di sicurezza e stabilità globale. Ciò significa portare la guerra all’interno della società, nelle città e contro chiunque venga considerato come minaccia alla stabilità. Da questo punto di vista si rende necessaria la creazione di una sorveglianza globale a costo di mettere in pericolo il rapporto fra libertà democratiche e sicurezza. Pensiamo al tema dell’immigrazione che ha subito il passaggio da questione sociale a minaccia per la sicurezza mettendo in discussione l’abilità del controllo territoriale di uno Stato e quindi l’idea stessa di sovranità.
In perfetta continuità con il modello di Rognoni il nuovo afferma che la difesa deve proseguire la realizzazione di uno strumento militare integrato e moderno, prevenire le minacce e intervenire per eliminarle. La riorganizzazione delle Forze Armate prevede una direzione del comando militare centralizzato con un livello esecutivo decentrato. In continuità sono anche le priorità geo-strategiche del Paese: la sicurezza della regione euro-atlantica costituisce una priorità in linea con l’assoluta adesione alla NATO, così come è necessaria la piena integrazione dei paesi europei in una difesa europea. Inoltre è confermato l’interesse verso l’area euro-mediterranea essendone al centro: area balcanica, area del Mar Nero, Medioriente e Maghreb visto che è la regione dove si assiste all’affermarsi di gruppi terroristici (per cui è necessario superare i concetti passati di difesa e sicurezza). L’Italia non può più scegliere se entrare in guerra o no ma deve esercitare un ruolo di responsabilità a livello internazionale che abbia l’ONU come riferimento. La partnership strategica fra difesa, industria della difesa e sicurezza e mondo della ricerca deve essere rafforzata e meglio integrata. Nel Libro Bianco si chiarisce che ai fini della sicurezza degli interessi nazionali l’Italia ha bisogno di un comparto industriale nazionale ed autonomo, qualificato e al passo con i mutamenti che riguardano il mercato della difesa e lo sviluppo di progetti a più alto contenuto scientifico e tecnologico. E’ necessario quindi identificare le tecnologie e i sistemi da perseguire attraverso collaborazioni europee e non senza dimenticare, però, che esistono competenze sovrane Queste sono le capacità tecnologiche critiche “cioè quelle chiave e abilitanti, incluse le tecnologie a duplice uso, di cui il Paese dispone o ha necessità di dotarsi. Su tali competenze è necessario mantenere un grado di sovranità nazionale, indipendentemente dalla collaborazione internazionale, poiché sono essenziali e irrinunciabili per soddisfare le proprie esigenze”( vedere la richiesta di tutela delle competenze del gruppo Leonardo (ex Finmeccanica) in vista dell’accordo nel settore militare con Naval Group, che fa parte della recente intesa raggiunta tra Fincantieri e Stx France nel settore civile).

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