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Pacifisti a Roma

No all'invio di armi

Iniziativa contro il decreto varato dal consiglio dei ministri che ha deciso la proroga per tutto il 2024 alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti al governo di Kiev. Una ulteriore conferma del coinvolgimento italiano in questa guerra.
20 dicembre 2023
Marinella Correggia

La rete dei Disarmisti esigenti (parte della rete internazionale Ican) e la Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà (Wilpf) hanno tenuto il 20 dicembre una conferenza stampa per il taglio delle spese militari e per il no agli aiuti in armi a paesi in guerra, contro il decreto varato dal consiglio dei ministri che ha deciso la proroga per tutto il 2024 alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti al governo di Kiev. Un coinvolgimento italiano in una guerra sanguinosa che (come rivelato ormai anche da media statunitensi) manda soldati al macello come nelle trincee ‘15-’18; oltre al rischio di ulteriore escalation. Munizionamento

I pacifisti, che con altri gruppi hanno dato vita martedì a una manifestazione a piazza del Pantheon, chiamano alla mobilitazione prima che, in una data da definirsi di gennaio o forse febbraio, il Parlamento sia chiamato a ratificare il decreto. Contro la ratifica, che si annuncia scontata, i pacifisti invocano l’articolo 11 della Costituzione e la volontà popolare che, ha spiegato Alfonso Navarra, “non è rappresentata dalla politica istituzionale: dai sondaggi risulta il dissenso della maggioranza degli italiani rispetto all’aumento delle spese militari e alle armi all’Ucraina”.

 

“Fermate subito i combattimenti, intervenga l’Onu per negoziare una tregua” recitava lo striscione dei pacifisti. I Disarmisti esigenti hanno mandato giorni fa una lettera a tutti i parlamentari e senatori, impegnati nella discussione della legge di bilancio per il 2024, chiedendo “la conversione delle spese militari e gli aiuti di guerra in investimenti socialmente ed ecologicamente utili”. Iniziativa del 20 dicembre 2023 a Roma contro l'invio delle armi in Ucraina. Cartello pacifista: stop alle trincee, stop ai morti, stop alle armi, pace in Ucraina

Come ha spiegato Ennio Cabiddu, da tempo attivo nell’opposizione alla fabbrica di armi Rwm in Sardegna, ai politici vengono proposti dieci punti per la pace. Fra questi: rifiuto del famoso obiettivo Nato, il 2% del Pil per le spese militari; legge nazionale per convertire al civile le produzioni militari; drastica riduzione delle missioni militari convertendo gran parte dei loro fondi per il servizio civile universale (da riformare) e i corpi civili di pace; accoglienza e asilo politico per i giovani in fuga dalle guerre; triplicare i fondi per la cooperazione allo sviluppo per arrivare ad almeno l’1% del Pil; legge per l’opzione fiscale (come da campagna Sei per la pace sei per mille); investimenti nelle spese civili, potenziando anche l’educazione civica e alla pace - a contrasto con le attività che che permettono di pubblicizzare l’opzione militare nelle aule, come ha denunciato l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole. E poi sostenere il progetto Donne pace sicurezza, in attuazione della risoluzione Onu 1325, tanto più che, come ha ricordato Antonella Nappi, il ruolo delle donne è  centrale per sviluppare una politica di vita anziché di guerra e morte. 

Quanto alla Nato, in ossequio alla quale ospitiamo illegalmente armamenti nucleari nelle basi militari, va semplicemente sciolta perché contrasta con lo stesso preambolo anti-guerra dello Statuto dell’Onu, ha sottolineato Navarra; qualunque alleanza militare si proponga un aumento delle capacità militari è dunque contro l’Onu. Iniziativa del 20 dicembre 2023 a Roma contro l'invio delle armi in Ucraina

Note: Il consiglio dei ministri ieri ha deciso la proroga per tutto il 2024 «alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti alle autorità governative dell’Ucraina». Dal ministero della difesa sostengono che «il prolungamento del conflitto russo-ucraino, in uno scenario internazionale aggravato dalla crisi mediorientale e dalla guerra tra Israele e Hamas, impone al governo Meloni una scelta di coerenza, di sostegno e, dunque, di proroga degli aiuti all’Ucraina, in linea con gli impegni internazionali assunti dall’Italia in sede Ue e Nato». Lo scopo del decreto, proseguono, è quello di «supportare la popolazione Ucraina, impegnata a difendere la libertà e sovranità della sua nazione, mettendo loro a disposizione, come è stato fatto finora, non solo armi, ma anche equipaggiamenti, gruppi elettrogeni e quanto necessario a sostenere le operazioni militari a difesa di civili inermi».

SE GIÀ ERA stato considerato anomalo il decreto con il quale il governo Draghi, fin dal primo giorno di conflitto, garantiva l’invio di armi e attrezzatura ad oltranza, adesso ci limita a disporre una proroga, che dovrà passare una volta sola al vaglio del parlamento. L’ombrello predisposto dal governo Draghi, intanto, vale fino alla fine dell’anno. È ancora in virtù di quel dispositivo che proprio ieri il comitato parlamentare di controllo dei servizi di sicurezza ha audito Crosetto, il quale per un’ora e mezza ha illustrato l’ottavo elenco secretato dei materiali, che pare questa volta contenga anche sistemi contraerei e antidrone. È questo l’espediente che consente di coinvolgere formalmente il parlamento senza affrontare a ogni invio una discussione in aula e un voto alla Camera e al Senato. Non è un caso che il primo a esprimere apprezzamento sia il dem ed ex presidente del Copasir Lorenzo Guerini: «Bene la continuità negli aiuti militari all’Ucraina decisa oggi in consiglio dei ministri per il 2024 – afferma Guerini – Il sostegno all’Ucraina è necessario per giungere a una pace giusta e rispettosa della sovranità territoriale e della libertà del popolo ucraino». Crosetto si mostra un po’ preoccupato sulle prospettive future: «I paesi occidentali non pensavano alla guerra e quindi le loro riserve non sono infinite – spiega prima di entrare al Copasir – L’Ucraina sta pagando questo, da una parte, e il fatto che non abbiamo economie di guerra. Non abbiamo trasformato le nostre produzioni in produzioni di armi, cosa che ha fatto la Russia. È uno temi che dovremmo porci nei prossimi incontri alla Nato e all’Unione europea». Secondo i dati del Kiel Institute, il paese che ha investito di più in armi per Kiev sono gli Stati uniti, con 44 miliardi di euro, seguiti dalla Germania (17,1) e dal Regno Unito (6,6). L’Italia, che ha speso 700 milioni, occupa il tredicesimo posto. Ma Roma è ancora più in basso nella graduatoria sulla trasparenza in relazione ai dati disponibili in quest’ambito: ha un indice di 2.2 rispetto a quello massimo di 4.9 raggiunto da Commissione europea, Germania e Islanda: è ventottesima su quarantadue paesi.

LA PARTITA è evidentemente anche politica. Non è un mistero che dentro la Lega ci siano alcuni mal di pancia sull’invio di armi. Se davvero il partito di Salvini dovesse votare in blocco si andrebbe dritti a una crisi di governo, visto che lo schieramento atlantico è considerato vitale da Meloni per l’esistenza e il posizionamento internazionale del suo esecutivo. Però ci sono alcuni indizi che fanno pensare a delle piccole forme di precauzione da parte. Il primo è che all’inizio l’ordine del giorno del consiglio dei ministri non contemplava la questione delle armi. Il progetto iniziale pare fosse quello di infilare il testo sul sostegno all’Ucraina dentro il Milleproroghe. Poi però sono subentrate questioni di opportunità politica (una misura talmente importante avrebbe fatto più rumore se nascosta nel gran calderone di inizio anno) e di tattica parlamentare (quella collocazione non forniva comunque sufficienti garanzie). E allora, anche spinti dalla sollecitazioni del Pentagono a «mandare segnali» di sostegno a Kiev, si è scelto per il decreto di ieri, che finirà in aula entro febbraio e che porta anche una firma che assomiglia a un sigillo di garanzia per la coerenza della politica estera meloniana: quella del ministro dell’economia leghista Giancarlo Giorgetti.

Giuliano Santoro - il Manifesto - 20.12.2023

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