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Il rapporto Oms realizzato in cinque anni da 1360 esperti appartenenti a 95 nazioni

Terra alla rovina L'Onu: «A rischio la sopravvivenza»

31 marzo 2005
Gemma Contin

La terra «L'attività dell'uomo sta sottoponendo le funzioni della terra a uno sforzo così grande che le capacità del pianeta di provvedere al sostentamento delle future generazioni non possono essere date per scontate».

Si conclude così il rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sul "Millennium Ecosystem Assessment" (Ma), cioè sullo stato dell'ecosistema planetario agli inizi di questo terzo millennio, presentato ieri a Roma e in altre nove città, tra cui Oslo, dove alcuni scienziati che hanno concorso a estendere il documento finale lo hanno presentato a nome dei 1360 esperti di 95 nazioni che nel corso degli ultimi cinque anni hanno effettuato le ricerche e redatto il corposo volume.

Dopo il trattato di Kyoto, non sottoscritto e disatteso proprio dagli Stati Uniti d'America, che più di ogni altro paese concorrono a sfruttare le risorse naturali a bruciare idrocarburi e a inquinare l'ambiente, e dopo gli allarmi inascoltati degli ambientalisti, accusati quasi sempre di catastrofismo, arriva puntuale un documento che andrà ad allungare le relazioni dimenticate sullo stato di salute del pianeta Terra, mentre l'umanità che temporaneamente lo abita continua a ballare sull'orlo dell'abisso.

«Gli umani stanno danneggiando il pianeta a una velocità e con un innalzamento, mai raggiunto in precedenza, del rischio di un improvviso e irrimediabile collasso», si legge nel documento, perché siamo una popolazione mondiale che continua a crescere e che negli ultimi cinquant'anni «ha inquinato o sovrasfruttato i due terzi dell'ecosistema dal quale dipende la vita». Con una domanda di beni in progressiva espansione, che sta determinando lo sfruttamento accelerato ed estensivo delle risorse naturali, della terra, dell'acqua, delle piante, delle produzioni agricole, dei boschi e dei mari; procedendo alla deforestazione, alla distruzione delle biodiversità animali e vegetali, alla creazione di zone morte sempre più vaste negli oceani a causa di disastri ecologici, di incidenti e di attività che hanno riversato negli anni milioni di tonnellate di derivati petroliferi o vi hanno inabissato migliaia di fusti di rifiuti tossici.

Sicché, dice il rapporto: «L'attività umana sta ponendo seri rischi alle naturali funzioni della Terra... per far fronte soprattutto alla crescente domanda di cibo, acqua, fibre, legname e combustibile.

«Rispetto ai precedenti 50 anni, gli umani hanno modificato l'ecosistema più rapidamente ed estensivamente di ogni altra comparabile epoca storica... Dal 10% al 30% delle specie di mammiferi, degli uccelli e degli anfibi rischiano l'estinzione».

«Ciò sta provocando una sostanziale e largamente irreversibile perdita delle biodiversità», aggiunge la ricerca, che fornisce alcuni parametri puntuali del processo in corso, per rendere tangibile la dimensione del degrado e dei rischi. Primo: «Dal 1945 a oggi è stata convertita alla coltivazione più terra che nel XVIII e XIX secolo messi assieme». Secondo: «Lungo le coste canadesi dei Nuovi Territori, nel 1992 è avvenuto pressocché il collasso dell'industria della pesca, dopo anni di sovrapescaggio e di annientamento delle risorse ittiche». Terzo: «In Africa, il riscaldamento dei Grandi Laghi, dovuto al cambiamento di clima, ha creato le condizioni per una nuova diffusione del colera, mentre l'utilizzo di fertilizzanti defluiti nell'acqua ha provocato la distruzione delle alghe, principale alimento per i pesci». Quarto: «Più della metà di tutti i fertilizzanti sintetici prodotti a partire dal 1913 e usati sul pianeta, sono stati impiegati dopo il 1985».

L'elenco potrebbe continuare all'infinito: dalle mangrovie sulle coste della Thailandia la cui estirpazione a scopi di inurbamento sta distruggendo le colture di gamberetti; dal riversamento lungo le corse delle acque reflue domestiche e industriali cariche di nitrati e di fosfori che ne distruggono la flora e la fauna acquatica; dalle modificazioni delle colture autoctone sostituite progressivamente con le sementi delle multinazionali proprietarie dei brevetti sui semi e i fertilizzanti; fino alla distruzione delle barriere coralline; alla deforestazione in ogni parte del globo allo scopo di impiantare aziende agricole a produzione intensiva, con la perdita di milioni di ettari di polmone verde e, assieme, con la distruzione di migliaia di specie animali e vegetali che costituiscono le biodiversità locali. Per finire con l'estrazione e lo sfruttamento delle risorse energetiche fossili non rinnovabili e la loro conversione in combustibili che a loro volta si trasformano in fumi inquinanti, polveri sottili e gas serra, che funestano la vita nelle grandi metropoli e nelle aree a maggior antropizzazione sparse sul pianeta.

Il rapporto di 2500 pagine, sostanzialmente un bilancio di economia ambientale che rivela di avere tutti i conti e i saldi "in rosso", dichiara di aver «l'intento di informare chi ha la responsabilità delle scelte politiche globali». Ma, avverte il professor Zakri, uno degli alti funzionari delle Nazioni Unite che ne hanno coordinato l'estensione: «Poiché le risorse naturali e la loro protezione è tutt'altro che una priorità per chi le considera gratis e illimitate, i governi dovrebbero riconoscere che invece sono un bene limitato, in esaurimento, e che hanno un costo». Dunque qualcuno dovrà cominciare a pagare, e presto, e salato, quello che distrugge.

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