Cosa pensa la terra madre
5.12.05
No. Non l’hanno ancora capita. Devo raddoppiare gli sforzi.- Così pensa la Terra, la Grande Madre, la Gaia dei New Age, strana, imperscrutabile, sottile, brutale, violenta nelle sue collere, vivente anche nel macigno, dappertutto vivente. E come ogni altro ente, anche la Terra è soggetta alla Necessità. Ma mi piace pensare che il suo Genio (mens agitat molem) ubbidisca alla Necessità con un gusto speciale, che goda di sferrare colpi vendicativi contro il suo ospite intelligente, l’abitatore che ha perduto ogni freno nell’offenderla, verso il quale salgono inutilmente i suoi appelli e i suoi avvertimenti.
Decisamente l’uomo non le piace più, alla Grande Madre, se mai le è piaciuto, da quando ha cominciato a fare sprizzare il fuoco. E allora giù: non resta che colpire sempre più duro. Siamo davvero certi che il vero architetto dell’Undici Settembre sia stato un cretino represso e laureato come quel Mohammed Atta di Amburgo? Il mio lobo dell’intuizione mi suggerisce che il colpo contro quelle orrende Torri sia stato ordito sulle rive di quei bacini lacustri di spavento, giù giù nell’impensabile e nell’inesplorabile, che scoprono gli eroi di Jules Verne nel loro viaggio Al Centro della Terra, dove le divinità ctonie hanno allestito la loro Sala Operativa Antiuomo. Da quei luoghi profondi (oh guarda, un uso originale della parola famosa: de profundis!) per anni, per decenni, misteriose antenne hanno trasmesso alla superficie il più straordinario segnale che sia stato inventato: in Morse tre punti-tre linee-tre punti, a formare Save Our Souls, S.O.S., e non siamo stati pochi a fermare in cuore quel suono di disperazione, e ne sono nati tanti libri, avvertimenti intensi, generosi, di pensatori sensibili al dolore del mondo, ai gemiti della natura non più in grado di sofferire la pesantezza (a sua volta non priva di disperazione) della mano umana.
E qualcuno avvertiva, dall’arte, dalla scena, dal laboratorio, dalle cattedre, dalle tribune dei congressi mondiali: guardate che si strappa, che la corda sta per spezzarsi, che tra poco sarà troppo tardi. Questi refrains echeggiano tuttora, sempre più stanchi e più inutili, e nel ripeterli potremmo - se non è per medicare noi stessi e appagarci in un dovere eseguito - risparmiare il fiato. Ciascuno dei due non può più tornare indietro: l’uomo nell’offensiva della distruzione del vivente, la Terra nel suscitare colossali onde di maremoto, nell’accendere smisurati fuochi sotto il sedere delle calotte ghiacciate, nello sputacchiare di sprezzanti capovolgimenti climatici tutte le terre dove penosamente (e quanto provvisoriamente) abitiamo. E il 2005, dal formidabile Santo Stefano di un anno fa, è stato un anno di botte forti e macabre da parte delle forze cosmiche delegate ad eseguire una vendetta tanto legittima quanto inarrestabile. E’ in via di scadimento triste anche la fettina di clima temperato del nostro paese di Esperia, sorriso di mitezza qui dove la canzoncina di Mignon vedeva «i limoni fiorire».
Climaticamente ci stanno deportando tutti al di là degli Urali... (Consiglio al Nordico smanioso di comprare casa in Italia: ragazzo, lascia perdere, questa morsa di gelo non annuncia primavere future degne del nome; si sta pensando, per l’autostrada del Sole, ad un nome più proprio).
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