Ogm a grappoli la vite è biotech
Autunno, tempo di vendemmia. Ma stavolta, insieme ai classici chicchi rossi o dorati se ne sono raccolti altri, più piccoli e privi di semi: chicchi geneticamente modificati provenienti dal primo campo sperimentale italiano, 500 metri quadrati in provincia di Ancona, di proprietà dell'Università Politecnica delle Marche.
Cominciata nel 1999 e terminata l'agosto scorso, la sperimentazione aveva lo scopo di testare una varietà di uva da tavola molto particolare, caratterizzata da chicchi senza semi, resistenti agli antibiotici e in grado di maturare senza bisogno di essere fecondati. L'uva ottenuta da vite geneticamente modificata, infatti, è sterile, e consentirebbe agli agricoltori di ottenere raccolti fuori stagione, anche in condizioni climatiche sfavorevoli all'impollinazione e all'accrescimento dei frutti; inoltre, essendo stata modificata per resistere all'antibiotico kanamicina, può essere facilmente identificata come Ogm. La resistenza a questo antibiotico è infatti un sistema di marcatura usato per riconoscere le piante transgeniche da quelle convenzionali: quando vengono irrorate dalla kanamicina, le foglie biotech restano verdi, mentre le altre ingialliscono e muoiono. Peccato però che questi marcatori siano stati messi sotto stretta sorveglianza dall'Unione Europea, che nella Direttiva 2001/18 riconosce il rischio potenziale che tale resistenza agli antibiotici possa essere trasmessa dalle piante Ogm a batteri patogeni, e da qui all'uomo (tranquilli, per la parte relativa alle sperimentazioni la Direttiva entrerà in vigore soltanto il 1 gennaio 2009!).
Resta aperta anche la questione del monitoraggio degli impatti ambientali, dal suolo alla stabilità del transgene, previsto dalla stessa Direttiva ma di cui la sperimentazione sembra non essersi affatto occupata. E la questione non è di secondaria importanza quando si manipola il codice genetico: il gene inserito continuerà a comportarsi come previsto anche nelle successive generazioni di piante, oppure cambierà posizione e funzione, con conseguenze difficili da prevedere?
Forse una risposta arriverà da una sperimentazione in Sud Africa, dove i ricercatori dell'Università di Stellenbosch hanno modificato le varietà di vite Sultana e Chardonnay con un gene marcatore in grado di colorarsi di blu, rendendo così evidente ogni suo spostamento. Si tratta della prima sperimentazione in campo per il continente africano, dopo che altre varietà di vite Ogm sono state già testate in serra.
Nel resto del mondo, invece, la vendemmia transgenica è già una realtà, anche se «confinata» nei campi sperimentali. In testa ci sono gli Stati Uniti, con almeno otto vigneti biotech (non è un azzardo ipotizzare che è da lì che arriveranno in Europa le prime richieste di commercializzazione di vite Ogm) seguiti da Francia, Canada, Australia, con una sperimentazione ciascuno. Uno stop è arrivato invece dalla Germania, che lo scorso anno ha interrotto una prova in campo, già autorizzata fino al 2010, perché le piante biotech, modificate per resistere ai funghi patogeni, non stavano dando i risultati sperati. Anche altri paesi, come la Romania, si stanno avvicinando alla vite Ogm, ma è difficile fare una stima dei campi sperimentali, perché la documentazione non è facilmente consultabile e la sperimentazione varia da paese a paese. Si passa così dalla quasi totale assenza di informazione degli Usa, dove una richiesta di sperimentazione può arrivare ad essere autorizzata senza che nessuno ne abbia notizia, all'esempio francese di un nuovo modello di governance dell'innovazione. In questo caso tutto il percorso, cominciato nel 2004, viene costantemente accompagnato da una serie di consultazioni pubbliche, in cui tutti i rappresentanti della filiera vitivinicola, insieme alle associazioni dei consumatori, hanno la possibilità di collaborare alla valutazione degli impatti, in una logica di libero accesso alle informazioni.
Non è stato così in Italia, dove la sperimentazione dell'Università delle Marche è stata condotta senza alcun confronto tra ricercatori, pubblico e parti sociali, isolandosi dal contesto delle reali esigenze del sistema vitivinicolo italiano. Difficile immaginare che questo modo di fare ricerca possa conciliarsi con l'esigenza dei cittadini di partecipare alla definizione delle finalità della scienza, con i bisogni reali dei consumatori in tema di sicurezza alimentare, ed infine con le scelte del sistema vitivinicolo italiano. Bisognerebbe quindi spiegare come mai l'università abbia ritenuto utile finanziare una ricerca lunga sette anni che probabilmente non avrà mercato, visto che l'uva transgenica non la mangerà nessuno. E' grazie all'incentivazione delle produzioni di eccellenza, legate alla tradizione e al territorio, che negli ultimi venti anni il mercato ha vissuto un vero e proprio «rinascimento»: nei primi sei mesi di quest'anno l'export ha registrato un aumento record dell'8%, con un boom negli Usa (+11%) e una crescita in Europa (+ 4%.) Tutto vino garantito ogm free.
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