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Vola petrolio vola: i prezzi verso il record storico

Le indiscrezioni su un piano della Commissione europea per regolamentare il settore energetico-finanziario e il ridimensionamento delle scorte della multinazionale francese Total, fanno schizzare il barile a 77,43 dollari.
8 settembre 2007
Sabina Morandi
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Sono bastate delle indiscrezioni su di un piano della Commissione Ue per stringere i regolamenti sui derivati energetici per scatenare la reazione isterica delle banche d'investimento e delle compagnie del settore. Eppure, sottrarre una preziosa risorsa al gioco finanziario più spregiudicato sarebbe davvero una buona idea, soprattutto in tempi come questi, con il prezzo del barile che punta dritto verso i suoi massimi storici esattamente come avevano previsto i teorici del picco, quelli che sostengono che la produzione dell'oro nero sia già in declino. Nella fase attuale i governi dovrebbero fare di tutto per ridurne il consumo e puntare su energie alternative invece di limitarsi a chiedere ai paesi produttori di spremere giacimenti sempre più stremati.
Negli ultimi giorni sono stati molti gli eventi che hanno contribuito a spingere la tariffa fino a 77,43 dollari al barile. La minaccia dell'uragano Felix, che ha sfiorato le piattaforme del Golfo del Messico, aveva già innervosito i mercati, in seguito rassicurati dal fatto che a crepare sono stati soltanto degli esseri umani. Quasi in contemporanea veniva la decisione del Kazakistan di bloccare i lavori nel super-giacimento di Kashagan per costringere l'Eni a ridiscutere un contratto considerato svantaggioso e, presumibilmente, a pagare consistenti penali per i ritardi accumulati. Kashagan era stato dipinto come un gigante formato saudita che avrebbe risolto ogni problema di aumento della domanda e chiuso la bocca ai teorici dell'esaurimento. Però, a differenza di quello saudita, il petrolio kazako è sporco e si può tirare fuori solo al prezzo di enormi investimenti.
Leader politici e amministratori delegati non hanno fatto in tempo a rassicurare gli investitori che, nell'arco delle ultime 24 ore, sono arrivati due colpi che hanno fatto schizzare di un dollaro e mezzo il prezzo del barile. Il mercato non ha preso bene lo sconfinamento dei jet israeliani nello spazio aereo siriano. Le rassicurazioni possono essere buone per i tg della sera ma non per i trader che hanno letto l'incidente come l'inizio di una nuova guerra o, peggio, come un'operazione di retroguardia in vista dell'attacco all'Iran. E visto che le riserve strategiche statunitensi di gas e petrolio sono ai minimi storici è bastato immaginare di dover rinunciare al petrolio di Teheran - che ovviamente, in caso di attacco, chiuderebbe i rubinetti - per mandare in panico gli interessati.
Ma la notizia peggiore, è stata riportata soltanto dai giornali economici: l'amministratore delegato della Total ha ridimensionato le aspettative di crescita e le riserve della compagnia petrolifera francese di un buon venti per cento. Notizia tanto più inaspettata in quanto i francesi - fra anch'essi sono presenti in Kazakistan - venivano considerati più affidabili di compagnie anglosassoni come Shell e BP che qualche anno fa hanno dovuto ridimensionare sostanziosamente le loro scorte. Total, si diceva, non deve affidarsi a pozzi supersfruttati e notoriamente in declino come Shell e BP, e vanta una maggiore efficienza dal punto di vista dei costi di gestione. Invece viene fuori che anche Total aveva gonfiato le proprie riserve nel più classico dei modi: conteggiando fra i barili anche quelli ben lontani dall'essere riempiti.
Il problema è che sul petrolio mentono tutti. Le compagnie private gonfiano i propri assets per migliorare la performance in borsa e sedurre gli investitori. Le compagnie statali dei maggiori paesi produttori - che la settimana prossima si riuniranno a Vienna - esagerano le proprie riserve per mantenere peso politico e conservare le quote di produzione assegnate. I paesi ricchi di giacimenti inesplorati - o sedicenti tali - promettono mari e monti per attirare investimenti. Dal canto loro i governi non fanno niente per costringere alla trasparenza gli interessati anche se non c'è nemmeno bisogno di dire quanto sarebbe importante, per la collettività, ottenere qualche informazione veritiera sullo stato dei giacimenti. Del resto come stupirsi? Sono bastate le voci sul piano di Bruxelles per scatenare la reazione compatta di finanzieri e petrolieri.

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