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La tecnologia ci impoverisce

La civiltà dei consumi ha le pile scariche

Ci stanno pigliando in giro (d'affari). Certo, questo giro d'affari produce Pil e chi se ne importa se poi questi milioni di pile scariche finiscono per costituire un serio problema ecologico, poiché la loro facilità di smaltimento è inversamente proporzionale alla loro qualità.
9 luglio 2004
Sandro Veronesi
Fonte: www,corrieredellasera.it
8.07.04

Sappiamo che ormai gli oggetti di largo consumo sono progettati perché non durino; sappiamo che la tecnologia che produce computer, televisori, telefonini, videoregistratori, autoradio, lettori al laser, consolle di gioco e compagnia bella prevede fin dall'inizio che a cedere prima delle altre siano certe determinate componenti e sappiamo che una volta che quelle componenti avranno ceduto ci verrà detto che non vale la pena ripararle, perché il costo della riparazione si avvicinerà molto al prezzo dell'oggetto nuovo; sappiamo perciò che le discariche sono piene di oggetti funzionanti al 95%, buttati via solo perché non valeva la pena riparare le componenti progettate allo scopo di cedere. Sappiamo tutto questo senza bisogno di dati statistici, perché ce lo dice la nostra esperienza. Ognuno di noi, pur privo di competenze specifiche, ha notato molte volte, negli oggetti rotti, quanto sarebbe stato facile produrli in modo che non si rompessero; e mai ci è stato dato di constatare che in seguito quella correzione sia stata adottata. Per forza: è un sistema. Finché il guadagno del produttore proverrà esclusivamente dalla quantità di pezzi venduti, la strategia sarà quella di affermare il marchio tramite poderose campagne pubblicitarie e produrre oggetti qualitativamente scadenti a un prezzo relativamente basso. Ci sarebbe tanto da dire sull'assurdità di questa strategia, che impoverisce la gente mentre la dota di tecnologia sempre più mediocre, se non fosse che ce n'è un’altra, ancora più smaccata e assurda, della quale occorre secondo me parlare con urgenza: la - chiamiamola così - «strategia delle pile scariche». Pare infatti evidente che l'astuzia degli stateghi si sia ormai definitivamente spostata sul controllo delle batterie, più che degli oggetti in sé, e anche qui non c'è bisogno di dati, basta l'esperienza quotidiana di ognuno di noi. Le pile sono infatti diventate un handicap collettivo, perché pur aumentando di prezzo, anziché migliorare le prestazioni le hanno inesorabilmente diminuite. In effetti, giocando sulle batterie, tutto diventa ancora più facile. Prendiamo un telefonino: è superfluo, ormai, progettarlo in modo che la tastiera dopo un certo tempo cominci a dare dei problemi, così da innescare il processo del «non vale la pena ripararla» e spingere il consumatore a comprarne uno nuovo. E' molto più redditizio dotarlo di una batteria che dopo un certo tempo, e qualunque sia la cura tenuta nella sua manutenzione, cominci a non funzionare più. L'oggetto così resta integro e il consumatore è costretto a comprare una pila nuova circa due volte l'anno, con una spesa che, fatalmente, torna a innescare il «non vale la pena», spingendo verso l'acquisto di un telefonino nuovo. Per i più coriacei, quelli che continuano a sforzarsi di non cambiare telefonino per via della batteria, scatta nel giro di un paio d'anni la logica del «nuovo modello», che oblitera i precedenti rendendo via via sempre più difficile, e infine impossibile, reperire sul mercato le loro batterie. E il gioco è fatto. Ho parlato del telefonino perché sono sicuro che tutti abbiano avuto un'esperienza del genere, ma se si moltiplica il ragionamento per tutti gli altri oggetti a batteria che abbiamo per casa, il giro d'affari appare nella sua reale dimensione. Non a caso, nel frattempo, le pile raggiungono prezzi sempre più alti: una pila da 9 volts per un walkie-talkie giocattolo da 19,90 euro costa ormai 5 euro e, se un bambino di sei anni fa tanto di dimenticarsi il ricevitore acceso una maledetta volta, la pila muore stecchita nel giro di ventiquattr'ore. E non è un caso nemmeno che Ikea, la dea del consumo a basso costo, venda anche le pile e le piazzi addirittura alla cassa, dove tutti, aspettando il proprio turno, fanno lo stesso fulmineo ragionamento sulla convenienza di tornare a casa con un'imprevista riserva di energia capace di resuscitare una quantità di oggetti e giocattoli ancora perfettamente funzionanti ma condannati al disuso dalla morte delle pile.
Ci stanno pigliando in giro (d'affari). Certo, questo giro d'affari produce Pil e chi se ne importa se poi questi milioni di pile scariche finiscono per costituire un serio problema ecologico, poiché la loro facilità di smaltimento è inversamente proporzionale alla loro qualità. Ma, come sempre, questa nostra civiltà boccheggiante ignora totalmente l'aspetto simbolico di tutta la faccenda - essendo i simboli i veri e ultimi banditi del Nuovo ordine mondiale. Mandiamo in giro la gente con le pile scariche, sempre in debito di energia, dotata solo teoricamente di un pazzesco potenziale di tecnologia personale e perennemente frustrata dall’impossibilità di goderne oppure a questo cinicamente rassegnata. Cosa simboleggia tutto ciò? E perché il suo valore simbolico viene ignorato? Come si vede, oltre alla quantità di risposte tecniche e politiche che la nostra civiltà dovrebbe darci, su come sviluppare i consumi senza farne pagare il prezzo all'equilibrio psichico o ambientale, ci sono domande banalissime di cultura generale che vengono considerate irrilevanti e invece testimoniano di una superficialità quasi criminale. Fino al paradosso di ritrovarsi assediati da una campagna pubblicitaria che accompagna il collocamento in Borsa delle azioni di una società distributrice di energia elettrica, in cui Alessandro Gassman viene bardato da Alessandro Volta e, dopo avergli fatto elencare tutte le funzioni svolte dalla suddetta società, gli viene fatta pronunciare la ridicola domanda slogan: «Non perché l'ho inventata io, ma non bastava la pila?». Eh no, cari Alessandri, non bastava: la pila oggi non serve più ad alimentare di energia le cose, serve ad alimentare i fatturati.

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