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Dal civile al militare il passo è breve

10 agosto 2004
Manlio Dinucci
Fonte: www.ilmanifesto.it
10.08.04


Gli incidenti alle centrali nucleari giapponesi - il più grave quello di Mihama - avvenuti per tragica coincidenza nell'anniversario del bombardamento atomico di Nagasaki, riportano in primo piano la questione del nucleare. Sono in funzione nel mondo 441 reattori elettronucleari, che forniscono il 7% della produzione totale di energia primaria commerciale e il 17% di quella di energia elettrica. Essi sono distribuiti per l'80% in 17 paesi industrializzati dell'Ocse e per il restante 20% in altri 14 paesi. In generale, la costruzione di centrali elettronucleari si è notevolmente rallentata, soprattutto a causa dei costi economici, collegati ai crescenti problemi relativi alla sicurezza degli impianti e alla conservazione delle scorie radioattive: oltre 250mila tonnellate di metallo pesante, cui se ne aggiungono ogni anno 10mila, che resteranno altamente pericolose per secoli e millenni.

Vi è inoltre il problema che, anche se le centrali nucleari offrono il vantaggio di non emettere gas-serra, esse emettono piccole dosi di radioattività le quali, nel lungo periodo, possono arrecare danni agli esseri viventi. Molto maggiori sono le emissioni radioattive degli impianti di arricchimento e ritrattamento del combustibile nucleare. Frequenti sono, inoltre, le fuoriuscite accidentali di radioattività provocate da guasti e incidenti.

L'ulteriore problema, il più grave, deriva dal fatto che, non esistendo una netta linea di demarcazione tra uso civile e uso militare del materiale fissile, i paesi che lo producono possono servirsene per costruire armi nucleari. Oltre agli otto paesi che già posseggono armi nucleari (Stati uniti, Russia, Francia, Cina, Israele, Gran Bretagna, India, Pakistan), ve ne sono almeno altri trentasette che si ritiene siano in grado di costruirle. Tra questi, la Corea del Nord potrebbe aver già raggiunto tale capacità.

Nello stesso Giappone vi è una corrente politica favorevole alla costruzione di un arsenale nucleare nazionale, consono al suo status di seconda potenza economica mondiale. Avendo una sviluppata industria elettronucleare comprendente 53 reattori, esso ha accumulato oltre 38mila chilogrammi di plutonio 239, sufficienti a fabbricare circa 7mila testate nucleari. Anche se non si può prevedere in quali circostanze un governo giapponese potrebbe lanciare la sfida nucleare, uscendo dal Trattato di non-proliferazione ratificato nel 1976 e scontrandosi col forte movimento anti-nucleare esistente nel paese, tale possibilità è reale.

Altrettanto reale è la possibilità che altri paesi cerchino di costruire armi nucleari e prima o poi ci riescano. Non può infatti restare immutata per sempre la situazione in cui un piccolo gruppo di stati mantiene l'oligopolio delle armi nucleari. In questo «club nucleare» dominano gli Stati uniti che, scavalcando le Nazioni unite, si arrogano il diritto di stabilire quali paesi possano e quali non possano possedere armi nucleari.

Nello stesso giorno in cui 59 anni fa gli Usa sganciarono su Nagasaki una bomba al plutonio, la consigliera per la sicurezza nazionale, Condoleeza Rice, ha accusato l'Iran di aver ripreso la fabbricazione di centrifughe non per uso civile ma per ricavare il plutonio necessario a produrre in futuro armi nucleari. «Non possiamo permettere che l'Iran sviluppi armi nucleari», ha concluso con tono minaccioso.

Analoghi minacciosi avvertimenti sono stati lanciati dal governo israeliano che, a differenza di quello iraniano, non aderisce al Trattato di non-proliferazione e, non sottoposto ad alcuna verifica da parte della Iaea, è l'unico in Medio Oriente a possedere e a tenere puntate sugli altri paesi della regione dalle 200 alle 400 testate nucleari.

Particolarmente preoccupante è il fatto che il comando militare israeliano ha iniziato domenica scorsa a distribuire pillole allo iodio alla popolazione della zone vicine al centro nucleare di Dimona (dove si producono segretamente armi nucleari), «per proteggere i residenti dal fallout radioattivo provocato da un attacco missilistico al centro nucleare o in caso di incidente a un reattore» (letta su Haaretz, 8 agosto). Tale decisione rientra evidentemente nella campagna per preparare i governi e l'opinione pubblica a un attacco «preventivo» israeliano contro gli impianti nucleari iraniani.

Un attacco che potrebbe provocare, anche per l'Europa, effetti più gravi della catastrofe di Cernobyl.

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