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Ferragosto, è tempo di riconciliarci con Madre natura

E’ necessario ricostruire un rapporto e un’armonia che nelle
società tradizionali sono quasi scontati. Altrimenti continueremo a sembrare una collettività che cammina sul sentiero del suicidio
16 agosto 2004
Carlo Petrini
Fonte: www.lastampa.it
15.08.04

Seyyed Hossein Nasr  Come ormai da tradizione, prendiamoci lo spazio dell’agricoltura ferragostano per qualche riflessione più profonda, approfittando di questo meritato momento d’ozio estivo. Dopo il «Manifesto del contadino impazzito» dell’anno scorso, questa volta voglio prendere spunto da un discorso tenuto da Seyyed Hossein Nasr, eminente professore di islamistica dell’Università di Washington. L’argomento è «Uomo e natura, ricerca di una comprensione rinnovata».

Partendo dalla constatazione di un mondo in cui non si può più tollerare lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, con disastrose conseguenze climatiche, ambientali ed ecologiche che promettono di minacciare la nostra esistenza in futuro, andiamo al cuore del problema, da ricercarsi nel paradigma uomo/natura che guida le azioni dell’umanità, soprattutto quella più ricca. Molte sono le iniziative lodevoli degli ambientalisti e di chi ha a cuore questi temi, ma è necessario andare oltre, ricostruire letteralmente un rapporto e un’armonia che nelle società tradizionali sono quasi scontate. Altrimenti continueremo a sembrare una collettività che cammina sul sentiero del suicidio.

Il paradigma vigente trae fondamento dall’idea che l’uomo è l’assoluto dominatore sulla terra, padrone del proprio destino. Si unisce a questa concezione lo sviluppo tecnologico, lo studio quantitativo della natura, che dall’Illuminismo in poi l’ha ridotta a un semplice qualcosa da misurare. Ecco allora che la materia, l’accumulo, il dominio sulla natura per guadagnare sono diventati il nostro credo: ogni forma di materialismo ha preso piede, tralasciando ciò che non si può calcolare, misurando anche la felicità con il possesso.

Questo ha condotto al saccheggio delle risorse naturali, dimenticando cose come spiritualità, sacralità della vita, etica, moralità. Oggi questi aspetti sono assimilati al sentimentalismo e alla poesia, ma ricordiamoci che erano tra i fondamenti di tutte le nostre civiltà premoderne, in cui l’uomo partiva dal presupposto di una discendenza divina, di un mandato sulla terra fatto di responsabilità verso tutto il creato. Persino il male viene negato oggi: ogni civiltà, religione, popolazione crede di vivere nel bene e che gli altri siamo portatori del male. La comprensione che tutti siamo bene e male allo stesso tempo ci può riavvicinare alla natura, ovvero ci può far comprendere il danno che possiamo farle, per evitarlo. Tutto è meccanizzato, compresa la nostra visione dell’universo, fino a considerare gli animali e l’ambiente come una macchina da sfruttare.

Non è così: «Possiamo e dobbiamo riscoprire una visione della natura come una realtà affascinante, alla quale siamo collegati non solo attraverso la fisica, la chimica e la biologia, ma anche psicologicamente, intellettualmente e spiritualmente. Dobbiamo recuperare una conoscenza della natura che va oltre i confini della scienza quantitativa senza negare quello che è stato scoperto nell’ambito quantitativo e materiale… Abbiamo creato una civiltà così squilibrata rispetto all’ambiente naturale che, se si guarda al futuro, si può affermare che questa civiltà è di per sé l’arma di distruzione di massa più pericolosa». Io comincerei a prenderle davvero sul serio queste riflessioni, a ridare peso anche ad altri aspetti della nostra vita. Edgar Morin dice che la parte affettiva dell’essere umano, con suoi i miti e le illusioni è fondamentale, perché non nega la realtà, ma costruisce una realtà sopportabile. Che vita vogliamo condurre e che pianeta vogliamo lasciare ai nostri figli?

C’è una considerazione poi che fa capire quanto tutto questo non sia sentimentalismo o che il sottoscritto sia stato colto da una crisi mistica improvvisa: se c’è una cosa molto naturale essa è la morte, teniamo sempre conto che sarà la natura ad avere l’ultima parola. Non siamo noi i padroni del mondo, smettiamo di credere al pardigma che l’uomo è l’assoluto dominatore su tutto e ne può disporre a suo piacimento, non è così. Per salvare la terra è forse necessario cambiare il nostro modo di pensare e iniziare a guardare indietro nel tempo: se non cambiamo forma mentis rimarremo come «sonnambuli che camminano sull’orlo di un precipizio».

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