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Catastrofi prossime venture/ Al summit di Stoccolma l’allarme del Nobel Paul Crutzen su effetto serra e rischi per gli oceani

Tira una brutta aria, la Terra farà ecocrack

28 agosto 2004
Emanuele Perugini

Immagini Google «Abbiamo fatto tutto il possibile per salvare il pianeta dalla catastrofe? Abbiamo preso le decisioni politiche giuste? Lo sapremo entro il 2020». A parlare così è il premio Nobel 1995 per la chimica Paul Crutzen, del Max Plank Institute for chemistry (Germania) nel corso del primo Summit europeo della ricerca Esof 2004, in corso a Stoccolma.
«Gli effetti delle nostre azioni sono sotto gli occhi di tutti - ha spiegato nel corso di una affollata conferenza stampa il premio Nobel - e ormai il tempo a nostra disposizione sta per scadere. Abbiamo ancora pochi anni davanti a noi per invertire la tendenza. E credo che i prossimi quindici siano davvero cruciali».
Paul Crutzen è uno dei maggiori esperti di chimica dell’atmosfera. Ha vinto il premio Nobel proprio per le sue analisi sulla composizione chimica dei gas che avvolgono il pianeta e per aver capito che cosa provoca il buco nello strato di ozono che protegge la nostra vita dai raggi Uv più aggressivi.

Quello lanciato dal premio Nobel a Stoccolma è un grido di allarme che piega già verso il timore di una sconfitta annunciata, quasi un rassegnato arrendersi agli eventi. «Non credo che stavolta l’umanità sia in grado di reagire così velocemente e in maniera efficace come ha fatto nei confronti del buco nello strato di ozono - ha spiegato - Stavolta credo che non saremo in grado di eliminare del tutto e in tempo utile le sostanze che producono il riscaldamento del pianeta, perché dovremmo riuscire a convertire tutto il nostro sistema industriale».
Del resto, tutto avviene troppo in fretta, insiste Crutzen. «Da quando Homo sapiens è apparso sulla terra ha immediatamente interagito con l’ambiente, ma solo negli ultimi centocinquanta anni le sue attività hanno radicalmente cambiato l’equilibrio ambientale del pianeta». Un cambiamento tale da influire su tutto il sistema terrestre. Per questa ragione Crutzen definisce questa fase della storia planetaria come “era antropogenica”, un’era geologica caratterizzata dalle attività dell’uomo e dalla sua capacità di modificare l’ambiente.

«Negli ultimi 150 anni le nazioni industriali hanno prodotto quantità crescenti di nuovi composti chimici che reagiscono ciascuno in maniera differente non solo con l’atmosfera, ma più estensivamente con l’intera biosfera terrestre - ha spiegato lo scienziato tedesco - E negli ultimi cinquanta anni il tasso di immissione dei composti e quello di consumo delle risorse ambientali del pianeta è cresciuto a ritmi esponenziali pregiudicando così l’equilibrio dell’intero sistema».
I dati del resto parlano chiaro. Negli ultimi anni la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata di almeno il 30 per cento. Quella di metano, l’altro importante gas responsabile dell’effetto serra di almeno il 100 per cento. Secondo i calcoli elaborati dai ricercatori entro i prossimi cento anni la temperatura della terra aumenterà in media tra 1,8 e 5,8 gradi centigradi. «Non ci sono solo previsioni suscettibili di essere interpretate - ha spiegato Crutzen - ma vere e proprie evidenze che i cambiamenti climatici sono in corso. Lo dimostrano le centinaia di pubblicazioni realizzate fino a oggi dai ricercatori di tutto il mondo e le evidenze raccolte sul campo».
«Quello che dobbiamo assolutamente riuscire a fare - ha spiegato ancora - è ridurre al massimo questo tipo di emissioni, soprattutto quelle di anidride carbonica. Per farlo però dobbiamo adottare al più presto un tipo di economia basato sulle fonti rinnovabili e non sui combustibili fossili. E dobbiamo farlo molto in fretta - ha aggiunto lo scienziato - perché la situazione è già abbondantemente pregiudicata».

Non è solo l’effetto serra a preoccupare il premio Nobel, ma anche le altre possibili interazioni chimiche tra i diversi composti immessi nell’atmosfera e la biosfera. La storia del buco dell’ozono è sotto gli occhi di tutti come un esempio del danno che possiamo inconsapevolmente arrecare al nostro pianeta.
«Noi conosciamo solo una delle conseguenze dell’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera e cioè l’effetto serra. Invece non sappiamo nulla - spiega Crutzen - di come l’anidride carbonica reagirà con gli altri composti chimici presenti in tutta la biosfera terrestre».
Una delle questioni più delicate, per esempio, è l’interazione tra la crescente quantità di anidride carbonica disciolta in atmosfera, con l’acqua dei mari e degli oceani. La variazione di salinità che deriverebbe da questa interazione potrebbe infatti innescare dei fenomeni difficilmente prevedibili. Da un lato potrebbe minare profondamente la vita marina e di conseguenza anche quella umana, dall’altro potrebbe determinare un rapido spostamento della Corrente del Golfo con conseguenze disastrose per il clima. «I dati dei campioni prelevati nell’Artico durante le ultime campagne di perforazione - conclude Crutzen - mostrano che nel passato la regione ha conosciuto violenti mutamenti climatici nell’arco di soli dieci anni. In dieci anni, nessun governo, nemmeno quello più potente, potrebbe fare qualcosa per evitare la catastrofe».

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